lunedì 15 luglio 2013

ROSSO SANGUE di Paolo Secondini e Luca Filippi

 Gaspara Stampa, poetessa e raffinata cortigiana, odiava il carnevale. Non sopportava il frastuono di voci, risa e grida di quanti, in maschera, affollavano calli, campi e ponti di Venezia. Quell’euforia collettiva, così grande e superficiale, strideva, ora più che mai, col suo immenso dolore.
Affacciata a una bifora dell’antico palazzo, osservava il sole che, declinando, illuminava di vivi barbagli il Canal Grande, screziandone l’acqua di un rosso vermiglio.
- Ora sapete il nome della persona che dovrete eliminare - disse Gaspara Stampa mentre, voltandosi, si allontanava dalla finestra.
L’uomo era in piedi, in mezzo alla stanza, stretto in un nero tabarro, il volto celato da una baùtta, la maschera bianca come l’orribile teschio della Morte. Non aveva ancora pronunciato una parola.
- Quale somma esigete? - domandò, subito dopo, la cortigiana.
L’uomo rimase ancora in silenzio e trasse di tasca un piccolo foglio che porse alla donna. La cifra era esorbitante, ma quel lavoro andava fatto il più presto possibile.
Gaspara prese due sacchetti pieni di ducati, che aveva riposto in uno stipo, e li consegnò all’uomo.
- Il resto a lavoro ultimato - concluse la cortigiana. - Vi aspetto la sera di martedì grasso, verso il tramonto.
Il sicario soppesò il denaro, prima di farlo sparire tra le pieghe del tabarro. Poi si voltò e, uscito dalla stanza, scese le scale del palazzo. Gaspara udì i suoi passi che si allontanavano gradatamente, infine il secco rumore del portone che si chiuse alle spalle dello sconosciuto. Si affacciò nuovamente alla finestra e sentì sulla pelle la brezza della sera.
“Sarò dannata in eterno” pensò la cortigiana, “ma in amore e in guerra ogni cosa è lecita. Persino uccidere.”
*** 
Seduta davanti alla toeletta con ripiano di marmo e un’imponente specchiera, Gaspara Stampa si ravviò i capelli. L’immagine che vide riflessa non le piacque: il tempo passava per tutti. Anche sopra il suo viso aveva lasciato segni implacabili.
Perché gli uomini dovevano essere così miopi? Perché il suo amante di un tempo, il conte Bragadin, non riusciva a vedere, dietro la bellezza che sfioriva, il più profondo sentimento che la pervadeva? Come aveva potuto, il conte, innamorarsi di Veronica Brai, la quale, pur essendo la donna più bella di Venezia, era decisamente una mediocre, senza qualità culturali come Gaspara, che oltre a comporre poesie, sapeva cantare e conversare?
Con uno gesto di rabbia scagliò a terra la fiala di essenza alla rosa che aveva ordinato apposta dallo speziale, per un estremo tentativo di seduzione. Il vetro si infranse in mille frammenti, disperdendosi sul pavimento. Poi Gaspara si avviò a passi decisi verso il camino. La legna ardeva scoppiettando e il fuoco le illuminò il volto, riscaldandole le guance.
La donna si strappò dal petto una catena d’oro sottile. Il pendente scintillò tra le sue dita, catturando la luce guizzante della fiamma: era un crocefisso antico, tempestato di granati e ametiste, l’unica cosa preziosa che avesse ereditato da sua madre. Si diceva che quel crocefisso fosse appartenuto a un cardinale e che il papa in persona lo avesse benedetto.
Gaspara si inginocchiò, arrivando tanto vicino alle lingue di fiamma, e gettò l’oggetto, sacro e prezioso, nel fuoco.
- Se non posso averlo io il conte Bragadin, non sarà di nessuna! - gridò poi, con voce straziata, coprendosi il volto con le mani. - Rinuncio al Signore Iddio Onnipotente... Satana, angelo caduto, solo tu puoi aiutarmi a compiere giustizia! Prenditi pure la mia anima, purché la vendetta si compia. L’infame meretrice deve morire.
D’un tratto le finestre della stanza si spalancarono, e il vento freddo della notte, quasi con un ululato sinistro, sferzò il viso della cortigiana che cadde a terra, priva di sensi.
***
 Di nuovo Gaspara Stampa era affacciata alla bifora dell’antico palazzo. Osservava il cielo e il mare arrossati dal sole al tramonto.
Il carnevale, finalmente, volgeva al termine.
Quella sera si era vestita come per un’occasione eccezionale. Aveva i capelli raccolti in una elaborata acconciatura e intrecciati con fili di perle. Indossava la collana di coralli che le aveva regalato, tempo prima, il conte Bragadin.
Appena avuta la certezza che la rivale fosse stata eliminata, si sarebbe precipitata dal suo amato, per consolarlo della perdita e godere del piacere di averlo tutto per sé.
Vide una gondola avvicinarsi al portone del palazzo. Il sicario, sempre intabarrato e col volto coperto, era stato ai patti: puntuale, stava per renderle conto del proprio operato. La donna sentì nuovamente un vento gelido sferzarle il volto, e uno strano, inspiegabile ululato.
Senza che ne avesse sentito i passi, avvertì la presenza del sicario alle sue spalle. Gaspara si voltò. L’uomo era di nuovo in mezzo alla stanza, immobile e muto.
- Allora, avete compiuto quanto avevamo stabilito? - domandò lei, il cuore palpitante nel petto.
Il suo interlocutore, con un movimento appena percettibile del capo, assentì.
Negli occhi della donna guizzò un lampo di trionfante eccitazione, le gote si tinsero di rosso, e le parve che tutto il suo essere riprendesse vita, come pervaso da una nuova linfa.
Gaspara si precipitò alla toeletta dal ripiano di marmo per prendere il sacchetto con gli ultimi ducati che aveva promesso al sicario. Si guardò nella grande specchiera con soddisfazione: sembrava ringiovanita di anni. Fu allora che, con un brivido, si accorse dello strano fenomeno. Riflesso nello specchio vedeva solo il suo volto e non la figura intabarrata che pure sapeva essere alle sue spalle. Sbiancò in viso e, di scatto, si voltò.
- Chi... sei...? - balbettò la cortigiana in un sussurro, lasciando cadere a terra il sacchetto con i denari.
I ducati rovinarono sul marmo bianco e rosso di Verona, producendo un suono metallico innaturale. Il sicario fece dei passi in avanti poi, con rapido gesto, si liberò della baùtta: una cascata di capelli ramati caddero sul nero tabarro e Gaspara si trovò di fronte Veronica Brai, con un’espressione di trionfo sul volto, gli occhi grigi e freddi, come lastre di ghiaccio.
- Come è possibile? - disse, stupita, la cortigiana, arretrando di qualche passo.
- Mia cara e ingenua Gaspara - esclamò Veronica, la voce dura, crudele. - Mai invocare forze che non siamo in grado di controllare.
La Stampa vide lo scintillio dello stiletto nella luce ormai crepuscolare. Sopraffatta, non riuscì né a parlare né a difendersi: sentì il freddo del metallo penetrarle nel cuore, mentre la bocca le si riempiva di sangue.
Il volto di Veronica trasfigurò e la pelle di porcellana lasciò il posto a una cotenna terrea, bucata da occhi rossi come le fiamme dell’inferno.
Nessuno si accorse, nell’euforia degli ultimi istanti del carnevale, della gondola che scivolava lenta presso il palazzo della poetessa e della figura misteriosa che l’imbarcazione trasportava.
Stretto nel tabarro nero, l’essere mostruoso, appagato dal sangue appena versato, riprese le forme voluttuose tornando a essere Veronica, bellissima e capricciosa cortigiana, pronta a divorare il cuore e l’anima dei suoi amanti.
Il diavolo, si sa, è femmina.

2 commenti:

  1. Bello! Lettura piacevole e finale sorprendente. C'è da imparare molto leggendovi, oltre alla delizia del racconto in sé, che non delude mai.

    Massimo Licari

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  2. Racconto impeccabile, pieno di suspense. Bella l'atmosfera veneziana in prospettiva storica.

    Giuseppe Novellino

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