lunedì 21 ottobre 2013

IL GOLEM di Giorgio Sangiorgi

La sciagura e l’ossessione

Yosseph Barouch non era certo una persona dal cuore leggero. Per lungo tempo aveva covato un odio soffocato nei riguardi dei suoi simili, e le ragioni di questo rancore erano ormai perdute nei meandri della sua infanzia.
I capelli di Yosseph erano precocemente incanutiti ed ognuno di essi pareva andare un po’ per conto suo, dando alla sua testa l’aspetto irto e spinoso di un roveto. Le sue mani erano lunghe e ben curate, anche se non potevano nascondere un tremito, che però lui preferiva imputare ai troppi caffè piuttosto che all’età avanzata.
Con lui c’era il suo amico Avraham, un ometto pingue e calvo. Essendo piccolo, Yosseph lo sovrastava di tutta la testa.
La stanza in cui erano rivelava, in ogni suo particolare, le origini ebraiche del proprietario. Simboli arcaici appesi alle pareti, un grandissimo candelabro d’oro a sei braccia sul caminetto. E sulla parete di fronte una libreria malinconica, ricolma di tomi polverosi, dai colori sbiaditi, sicuramente molto antichi e dai titoli inquietanti come Talmud, Sefer yetzirà o Zohar.
I due uomini erano seduti su due poltrone, sicuramente vecchie e logore quanto loro.
Avraham si guardava intorno nervoso. Da sempre impressionato dall’aspetto tetro di quella stanza e di quella casa, rigirava tra le mani un bicchiere ormai vuoto.
«Quello che vuoi fare è orribile, Yosseph,» trovò finalmente il coraggio di dire. «In tutti questi anni ho sempre cercato di esserti amico, anche se ora comincio a sospettare che da parte tua ci fosse solo dell’interesse… Tu mi stavi vicino solo perché volevi che ti cedessi il pezzo più raro della mia collezione di pergamene. Non l’avrei mai fatto e lo sai, perché anche tu hai un poco lo spirito del collezionista. Ma ora mi trovo in cattive acque…
«Me ne dispiace…» disse freddamente Yosseph.
«Non essere ipocrita…» lo fermò Avraham, che si stava infervorando. «Non posso provarlo, ma ora credo che dietro le mie attuali difficoltà economiche ci fossi proprio tu…»
L’altro non mosse un ciglio e Avraham continuò: «Prima di venire qui, ero anche rassegnato a cederti. Con la somma che mi offri potrei ripianare i miei bilanci e rimettere in sesto i miei affari… Ma ora, ora vedo cose che prima mi sfuggivano. Questi libri che prima consideravo solo una sorta di palcoscenico sullo sfondo del quale tu ti muovevi, ora mi parlano. E tutti insieme bisbigliano una sola cosa, un nome perduto che non dovrebbe mai più essere pronunciato: Golem!»
Detto questo Avraham si accasciò, come sfinito, sulla sua poltrona.
Yosseph, invece, con calma, si alzò dalla sua e si diresse alla libreria per estrarne un volume, che non doveva essere molto antico, al massimo dei primi dell’ottocento. Con pacatezza tornò al suo posto e glie ne mostrò la copertina che riportava un titolo inequivocabile: Golem.
«Una bella edizione, ormai introvabile,» disse sfogliandone qualche pagina. Poi ammise: «Hai ragione. Quella che ti chiedo di darmi non è solo il capriccio di un collezionista, un manoscritto ingiallito dal tempo… Come ora avrai certamente capito, su di essa è segnato uno dei nomi di Dio. Il segreto dimenticato da secoli e che serve a far vivere un golem… Pensa, Avraham, tu ed io… Insieme potremmo dare la vita ad un pezzo di argilla, come fece Dio con il primo uomo.»
«Ma perché? Perché una cosa simile…?» chiese Avraham, quasi accorato. «Che bisogno ne hai?»
Barouch si alzò e fece qualche passo nella stanza, con gli occhi vitrei di chi ricorda.
«Fin dalla giovinezza, ho sempre sentito pesare su di me la meschinità di questa vita. Tutti gli attimi che sprechiamo, occupati in atti inutili e vili. Cibarci, dormire… riprodurci. Infinite incombenze ricavate nel nulla di una vita senza scopo. Ma questo... Questo è sbirciare nello scrigno segreto riservato solo agli dèi. Questo è realizzare ciò che ad ogni uomo fino ad ora è stato precluso. Qualcosa che dà un senso, un brivido infinito…»
«Sei pazzo! Ecco quello che sei,» si adirò nuovamente Avraham. «Non pensi a Myriam, tua figlia? Lei si che meriterebbe tutte le tue attenzioni.»
«Oh! Quella…» rispose freddamente il suo interlocutore. «La dimostrazione vivente di quanto ti ho detto. Volevo generare la vita, ma ho sbagliato il sistema. Del resto cosa attendersi da un gesto così… animalesco. Una bambina sorda e cieca. Cosa vuoi che m’importi di lei…»
«Capisco,» fece Avraham stravolto da questa rivelazione. «Sì, adesso capisco che sei pazzo davvero. E piuttosto che dare in mano a te un potere così grande, preferisco distruggerlo…»
Dicendo questo, Avraham estrasse qualcosa dalla tasca e si diresse verso il fuoco acceso. Era la famosa pergamena e le sue intenzioni erano più che evidenti.
Nessuno avrebbe potuto sospettare che Yosseph fosse ancora tanto forte e veloce. In un istante aveva afferrato il polso di Avraham, per impedirgli di distruggere l’oggetto che egli tanto desiderava. Con l’altra mano invece lo colpì dietro la testa, con tanta forza che questi cadde esanime.
Subito fu sulla pergamena, antica ma ancora resistente. Per un attimo restò a guardarla, incantato. I colori erano ancora vivi e una Stella di Davide, di un sibillino color indaco, vi appariva in tutta la sua gloria. Vicino ad ognuna delle sei punte si vedeva un simbolo nero, mentre al centro, in rosso e nero, un’iscrizione che Barouch non tentò neanche di tradurre. Sapeva che era l’agognato e segreto nome di Dio.
A quel punto mise l’oggetto sacro in un tascapane che si mise a tracolla, per essere sicuro di tenerlo con sé.
Solo a quel punto si interessò nuovamente di Avraham. Costui era immobile, con la faccia a terra.
Yosseph lo girò e con raccapriccio si accorse che la sua vittima aveva una profonda spaccatura sulla fronte. Nella caduta, doveva aver battuto la testa sul rialzo del caminetto, che, ad una più approfondita immagine, si rivelò macchiato di sangue.
Fu allora che nella mente di Barouch scattò qualcosa che covava da molto tempo. Forse da quando era morta la moglie, in un brutto incidente, o da prima, quando era nata Myriam, chiusa in quel suo mondo impenetrabile. Un trauma comunque alimentato da quel sordo odio, quel profondo disprezzo per l’umanità, antico come lui stesso.
Afferrò dunque il cadavere del suo conoscente, per trascinarlo nelle cantine della casa. Un luogo nel quale mai nessuno sarebbe venuto a cercarlo. Fatto questo tornò di sopra, nella cucina, ove fece una discreta raccolta di strumenti da taglio. Alcuni coltelli, una vecchia mannaia.
Tornando in cantina, si fermò un momento davanti a una porta e l’aprì. La piccola Myriam dondolava ossessivamente sul suo letto, in cerca di un affetto che non aveva mai avuto. Per un attimo, Yosseph sentì quanto la odiava, fu tentato di usare tutto quel metallo su di lei e por fine a quella vita miserabile.
Poi fu preso dall’ansia di occultare ciò che aveva fatto di Avraham. Chiuse la porta e scese in cantina per svolgere il suo lugubre compito.
Maledetto grassone, pensava mentre lo riduceva in pezzi sempre più piccoli.

Divina creazione

Nei giorni seguenti fu disturbato solo una volta dalla polizia che era venuta a chiedergli se aveva visto Avraham. Lui scosse le spalle. Parlò dell’amico come di una conoscenza insignificante e superficiale. Disse di averlo conosciuto ad una mostra di antiquariato, il che era vero, e che i loro rapporti erano solo stati dettati da quella comune passione.
Il poliziotto non sospettava nulla.
Si sapeva che i due si conoscevano, ma Avraham lo frequentava comunque molto poco, perché stare con Barouch non era affatto piacevole. Quella sera poi, l’ometto non aveva detto ad alcuno dove andava. Forse perché si vergognava di essere sull’orlo della bancarotta.
Nessuno poteva sospettare Yosseph di omicidio, anche perché nessuno mai avrebbe potuto ritrovare il cadavere. Nessun cadavere, nessun omicidio. Andava da sé. Solo un tizio scomparso. Ogni tanto succedeva.
Liberato così da ogni angoscia, Yosseph si dedicò alla fabbricazione del suo amato golem, nello studio che aveva attrezzato, ormai da tempo, con tutto il necessario. Aveva studiato a lungo scultura, per poter dare alla sua creazione la forma più perfetta possibile. Così per giorni si dedicò a modellare l’argilla secondo le proporzioni del corpo, ricavando i pieni e i vuoti, i turgori dei muscoli, le spigolosità delle nervature.
Ogni giorno portava una ciotola di cibo alla figliola e la lasciava lì, come si farebbe con un cane. Poi correva alla sua opera ossessiva.
Finalmente gli parve che il suo Adamo fosse pronto. Lo aveva fatto grande, alto quasi due metri, con le fattezze di una sorta di Apollo, anche se il viso risentiva di alcune approssimazioni, dovute al fatto che Yosseph era pur sempre un autodidatta.
Finalmente è tutto pronto, pensò. I secoli guardano dentro questa mia casa e vedono un gigante costruito da un altro gigante.
Solennemente andò a prendere la pergamena che avrebbe creato la vita.
Con essa tra le mani si chinò sul suo capolavoro, nel cui petto aveva lasciato una nicchia. Con cautela vi inserì la pergamena e poi la cementò in quel torace, con nuova quantità di argilla.
Era il momento del rito.
Candele resinose bruciavano tutt’intorno. Lui si sedette su una sedia, che aveva sistemato ai piedi del golem sdraiato. Sulle ginocchia aveva un libro antico, dal quale lesse per ore le antiche formule rituali.
Alla fine, stanco, si appisolò.

Prima c’era il buio. Poi apparve una stella a sei punte. Infine c’era il Golem. Il Golem chi era? Il Golem cos’era? Il Golem era solo?

Due occhi scuri si aprirono.
Yosseph ebbe un fremito di paura. La sua creazione era in preda ad improvvisi sussulti e scuotimenti. La vita entrava nel colosso con violenza e lo faceva sobbalzare. Un fenomeno che presto si chetò.
Fu quando il petto del golem iniziò a sollevarsi lentamente. Un respiro affannoso riempi la stanza e, in un certo senso, spezzo la tensione che vi si era accumulata.
Il golem era vivo! E Yosseph era un Dio.
«Alzati!» gli ingiunse per saggiarne l’ubbidienza.
Il golem, con sua soddisfazione, si alzò. Con lentezza, faticosamente, ma si alzò.
Il sentimento di onnipotenza che si era accumulato in Yosseph da quando aveva messo le mani sulla pergamena, ora era centuplicato. Si sentiva il padrone del mondo. Ora che conosceva il segreto della vita, che conosceva, avendolo imparato a memoria, il segno che dava la vita, la vibrazione del rito che poteva far questo, ora poteva fabbricare un esercito di golem. Che lo avrebbe servito, che gli avrebbe ciecamente ubbidito. Un manipolo che avrebbe fatto di lui un dominatore,
E quella meraviglia d’argilla poteva essere un arma inesorabile, micidiale.
Dove provarla e gli diede il più ferale degli ordini, come un grido che Yosseph tratteneva nella sua gola da tutta una vita, la manifestazione dell’odio che ribolliva nelle sue vene.
«Vai! Vai, mio degno figlio, mia creazione assoluta. Vai e distruggi tutta l’umanità!»
Il golem però esitava.
Yosseph non si preoccupò. Un golem doveva ubbidire al suo padrone, così come solo la morte del suo padrone poteva impedirgli di portare a termine ciò che gli era stato ordinato. Era una macchina inarrestabile.
Yosseph ripeté l’ordine con maggiore enfasi: «Avanti, mostro! Vai e uccidi!»
Un comando che fece breccia nella semplice mentre di una creatura che non era poi così sofisticata. Barouch gli avevano dato un ordine ed il golem ubbidì.
Ubbidì a modo suo. Afferrò la testa di Yosseph tra le mani e strinse, strinse finché le sue potenti dita d’argilla vivente non vi penetrarono. Iniziò allora a roteare il corpo di Yosseph per aria, come fosse una frombola. E poi lo abbatté, più volte, seminando il caos nello studio ordinato.
Alla fine lo lasciò andare contro una parete, ormai privo di vita.
L’ordine dato al golem era stato eseguito. Una “umanità” era stata distrutta. Ora però che il padrone era morto, anche l’ordine era stato revocato.
Un certo equilibrio era stato ripristinato. Una vita era nata senza il consenso divino. Una vita era stata tolta senza il consenso divino.

Non parlo e non sento

Il golem, dopo alcuni minuti in cui parve non potersi più muovere, uscì dallo studio alla scoperta del mondo. Non conosceva le cose, non conosceva se stesso.
Non sapendo aprire una porta si limitò ad abbattere quelle che incontrava.
Però ad ogni passo, mentre il pavimento scricchiolava sotto il suo notevole peso, lui si sentiva più sicuro. Desiderava solo una cosa, uscire da quell’orribile casa.
Fu allora che sentì un rumore provenire da una delle stanze. Un’altra porta.
Provò ad aprirla più gentilmente e questa volta spaccò solamente la maniglia. Dietro vide un esserino piccolo piccolo.
Aveva dei capelli lunghi e biondi e con i suoi occhi quasi totalmente albini osservava un punto qualsiasi dietro di lui.
La bambina allungò le mani, per toccare e capire da dove venivano le vibrazioni che percepiva nella stanza. Sotto le sue dita passò il viso del gigante. Duro come la pietra, liscio come la ceramica.
Lui ricambiò il gesto e le toccò il viso. Non potevano comunicare più di così. Lei cieca e sorda. Lui praticamente muto e privo di ogni esperienza precedente. Che desolazione… Eppure.


La mattina dopo una strana coppia uscì a piedi dal paese.
Lui era molto alto e robusto. Nonostante la stagione già mite era molto imbacuccato, con un pesante cappotto e una sciarpa che non lasciava intravvedere quasi la maggior parte del suo viso.
Lei era una bambina con un buffo cappellino messo di traverso.
Si tenevano per mano, una piccola mano in un enorme mano guantata, e camminavano lentamente verso la campagna.
Dove stavano andando? Dove mai avrebbero potuto andare?
Quella notte aveva piovuto e le strade luccicavano già, sotto i raggi del sole che spuntava dall’orizzonte.




4 commenti:

  1. Racconto avvincente, quello di Giorgio (cui diamo un caloroso benvenuto su Pegasus Sf), racconto indubbiamente fantascientifico con qualche venatura horror. Si legge piacevolmente grazie a uno stile piano, asciutto, lineare.

    RispondiElimina
  2. Bel racconto fanta-horror sull'antico tema del Golem. La narrazione riesce a dare un buon respiro alla materia e spinge il lettore a meditare sul tema della vita e sul grande sogno di poterla dominare e creare. Molto ben delieata la personalità del protagonista. Davvero inquietante.

    Giuseppe Novellino

    RispondiElimina
  3. Davvero un bel racconto ricco di suspense.
    G.S.

    RispondiElimina
  4. Un tema che mi affascina fortemente. Ottima e appassionante narrazione.

    RispondiElimina