domenica 1 dicembre 2013

IL CACCIATORE di Paolo Secondini



Il cavallo affondava con le zampe nella soffice neve caduta nella notte. A cavalcioni sulla sua groppa, il crow lo incitava con piccoli suoni gutturali e, di quando in quando, ne spazzava dalla criniera i cristalli di ghiaccio che si formavano continuamente.
Il freddo era intenso, la nebbia fitta. Non si vedeva a più di tre metri di distanza in quel tratto montuoso della Teton Range, tra lo Stato del Wyoming e quello dell’Idaho. Ciò nonostante, l’indiano sapeva orientarsi molto bene. Conosceva quel territorio a menadito, per tutte le volte che vi aveva cacciato da solo o con altri guerrieri del villaggio. In quel luogo del resto era nato, vissuto e, probabilmente, sarebbe anche morto.
D’un tratto, volse la faccia verso il cielo e, aspirando con forza, fiutò l’aria per qualche momento. Non poteva sbagliarsi: la preda era molto vicina. Benché non riuscisse a vederla, ne sentiva l’inconfondibile odore selvaggio.
Il cavallo emise un basso nitrito, quasi un iroso brontolio. Anch’esso aveva avvertito la presenza di qualcosa.
«Buono, buono!» disse il crow, battendogli sulla criniera piccoli colpi con la mano. Si piegò sul collo dell’animale come a parlargli all’orecchio. «C’è qualcosa laggiù, dietro quegli alberi. Potrebbe trattarsi di un cervo o di un orso. Tra poco lo sapremo.»
Accarezzò con dolcezza la testa del cavallo poi, silenziosamente, scivolò dalla groppa affondando nella neve fino ai ginocchi. Si levò la pelliccia di bisonte, affinché non gli fosse di impaccio, e lasciò che cadesse sulla candida coltre che ricopriva il terreno. L’avrebbe recuperata più tardi.
Con addosso una casacca leggera rabbrividì fortemente, ma resistette. Poi condusse il cavallo al tronco di un albero; legò le sue briglie a un grosso ramo.
«Ora sta’ buono!» gli mormorò di nuovo all’orecchio. Lo accarezzò sulla folta criniera spazzandone ancora i molti cristalli di ghiaccio. «Resta qui e cerca di non far rumore.»
Il cavallo, come se avesse capito il senso di quelle parole, scosse più volte la testa, quindi si volse a guardare il crow, quasi a fissarlo negli occhi. Conosceva assai bene il suo padrone, come pure le sue mosse, le sue intenzioni e, soprattutto, il suo indomito coraggio. 
Con il fucile imbracciato, l’indiano avanzò a passi lenti, curvo in avanti, circospetto, gli orecchi tesi a ogni rumore. Era uno scaltro cacciatore. Mai una volta che fosse tornato al villaggio a mani vuote.
Ma quella mattina la preda era molto più astuta e infallibile di lui.
L’urlo si alzò improvviso e prima che il crow potesse voltarsi, un violento fendente si abbatté sul suo capo. Cadde a terra senza un lamento, il volto affondato nella neve, che subito si tinse  del suo sangue.

* * *

L’indiano respirava a fatica e, ancora cosciente, capì che quella era l’ultima caccia della sua vita.
Con uno sforzo sovrumano cercò di resistere alla morte: voleva prima sapere chi o che cosa lo avesse colpito.
Sentì un rumore di passi che scricchiolavano nella neve. Poi, ci fu silenzio.
Con un altro indicibile sforzo il crow dischiuse le palpebre e scorse, a breve distanza dal suo viso, un paio di grossi stivali confezionati con pelle d’orso. Non poteva sbagliarsi: erano, quelli, i noti stivali di John Johnston, lo spietato uccisore di crow, il solitario delle montagne, il folle, il reietto, la belva assetata di sangue, l’uomo da tutti conosciuto come Mangia Fegato Johnston.
Com’era possibile?  Quel dannato assassino era morto e sepolto ormai da due mesi!... Probabilmente qualcuno gli aveva sottratto gli stivali (tanto a lui non servivano più), profanando la sua tomba.
L’indiano fu invaso da un senso di terrore, quando nell’aria risuonò la forte e sprezzante risata del suo assalitore.
Si volse a osservarne il viso emaciato, di colore verdastro, a tratti nero – gli parve in stato avanzato di putrefazione –, dalle orbite vuote, dai denti lunghi, ingialliti…
Non ebbe alcun dubbio: era, quello, il viso di Johnston. E sebbene la morte lo avesse trasfigurato, il crow non stentò a riconoscerlo.
Ebbe un sussulto e, mentalmente, pregò Wakan Tanka, il Grande Spirito, di fargli al più presto esalare l’ultimo respiro, prima che John Johnston – o quello che era – gli aprisse la pancia con il coltello, e vi affondasse la mano per strappargli il fegato.

4 commenti:

  1. Racconto d'atmosfera, bene ambientato, che rievoca il bellissimo film di Sydney Pollack con Robert Redford: "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" (1972). Minimalista ma efficace nel rievocare l'ansia della caccia, vissuta da colui che da cacciatore si trasforma in vittima. Lo scenario invernale getta quasi una coltre si silenzio sulla tragedia, esaltandone emotivamente l'angoscia. Con notevole suspense si arriva al colpo finale, e qui il tutto assume una marcata sfumatura horror. Il cacciatore di scalpi, strappando il fegato della sua vittima, sembra uscito da un'altra dimensione... una dimensione infernale.

    Giuseppe Novellino

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  2. Un altro ottimo racconto di Paolo. Western con finale horror. Bellissimo.

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  3. Ciao Paolo, ti sei fatto ispirare da Giuseppe riguardo al genere? Il racconto è semplice e immediato, un piacevole sviluppo di un tema classico. Ma, toglimi una curiosità; sbaglio o quel "Mangia Fegato Johnston" è un personaggio realmente esistito? Ho avuto l'impressione di conoscerlo già.
    Sauro Nieddu

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    1. Be', no! Giuseppe non mi ha ispirato, in quanto la mia passione per il western è "vecchia", almeno quanto la sua. Sono da sempre un cultore di film e romanzi western (il mio autore preferito è il mitico Louis L'Amour, ma anche il nostro Mino Milani, di cui ho letto l'intera serie dedicata a Tommy River - Edizioni Mursia. Piacevolissima. Un vero peccato che Milani non abbia più scritto nulla quanto alle avventure di River). Diciamo, piuttosto, che Giuseppe ha sollecitato in me il desiderio di pubblicare qualcosa di western: senza i suoi racconti, infatti, non avrei pubblicato niente di questo genere. Ho detto suoi racconti, perché ho un altro suo western di prossima pubblicazione. Anche questo fantastico e avvincente, IL CAVBADENTI. Avrei anch'io un altro racconto western fantastico (piuttosto lunghetto), Bounty Killer, ma non so se lo posterò.
      Quanto al mio racconto, IL CACCIATORE, mi sono lasciato ispirare (come Giuseppe ha indovinato) dal film western (stupendo!) CORVO ROSSO, NON AVRAI IL MIO SCALPO. In cui si parla di John Johnston, del suo odio per gli indiani, che hanno deciso di dargli la caccia. John Johnston è esistito veramente, ma nella realtà non so se fosse identico, come comportamento e altro, a quello descritto nel film.

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