sabato 10 ottobre 2015

L’ANGELO DI LEGNO di Fabio Calabrese

Erano le prime ore del pomeriggio di sabato. La stazione dei carabinieri di Colleselva appariva tranquilla e silenziosa. La stazione era una palazzina a due piani; al pianterreno erano in funzione il servizio di piantone, il centralino, la macchina sempre pronta per eventuali emergenze, ma negli uffici al primo piano c'era solo il maresciallo Morelli, seduto alla scrivania, che rimuginava sugli ultimi eventi. La maggior parte dei militi aveva già raggiunto la famiglia per il fine settimana.
Esaminando i fascicoli che aveva davanti, Morelli provava uno strano senso d'inquietudine. Colleselva era uno di quei luoghi dove non accade mai niente. Più volte nel corso degli Anni Morelli aveva desiderato un caso importante, la cui soluzione gli procurasse uno scatto di carriera, e ora, all'improvviso, nel giro di meno di ventiquattro ore, si trovava per le mani un furto con scasso e un omicidio.
Senza queste circostanze così insolite, sarebbe andato anche lui a casa per il fine settimana, ma ora... non aveva ancora neppure pranzato. Quasi senza accorgersene, mordicchiò nervosamente il cappuccio della penna a sfera che teneva in mano. Certo, i due delitti erano collegati, ma quella era una faccenda davvero strana!
Venerdì mattina era arrivata la telefonata del parroco della chiesa di Santa Maria, la chiesa del paese, che segnalava un furto. Morelli si era recato sul posto con la pattuglia.
Il parroco, Morelli lo conosceva già, era un ometto smunto e nervoso che appariva in preda a una forte agitazione. Era il solito problema, pensò il maresciallo: l'Italia era piena di capolavori artistici, spesso disseminati in chiesette di paese, e non c'erano quasi mai sistemi antifurto adeguati. Tuttavia non gli risultava che lì ci fossero opere d'arte di valore. Durante la seconda guerra mondiale, il paese si era trovato sulla direttrice di marcia degli alleati che risalivano la Penisola, e i Tedeschi che contrastavano la loro avanzata palmo a palmo, ed era stato letteralmente raso al suolo, compresa la chiesa che era stata disfatta in un mucchio di macerie, travi, mattoni e calcinacci, e poi ricostruita nel dopoguerra. Lì pensava che non ci fosse nulla che avesse più di settant'anni.
“Cosa è stato rubato?”, chiese.
Il parroco gli mostrò il portone che presentava evidenti segni di scasso, poi lo condusse attraverso la navata centrale fino all'altare maggiore che si trovava vicino all'abside. Di fianco all'altare sulla destra c'era una nicchia ora vuota che, il maresciallo l'aveva ben presente, solitamente ospitava una statua lignea, un angelo, alta una cinquantina di centimetri.
“L'angelo”, disse l'ecclesiastico, “Hanno rubato l'angelo”.
“Si tratta di un oggetto di valore?”, chiese Morelli.
“Vuole scherzare, maresciallo?”, replicò il parroco, “L'angelo di Jacopo da Colleselva è praticamente l'unico oggetto antico della chiesa, è di fattura cinquecentesca ed è scampato intatto al bombardamento del 1944”.
“Quindi”, rispose Morelli, “Dobbiamo presumere che il ladro sapesse bene quello che faceva, e questo ci orienta verso il furto su commissione”.
I suoi uomini procedettero ai rilievi del caso. Il portone della chiesa era stato forzato verosimilmente con un piede di porco, un attrezzo metallico piuttosto grosso che aveva sfasciato la serratura e profondamente scheggiato il legno. Sulla nicchia invece non c'erano tracce: la statua dell'angelo era semplicemente poggiata, non fissata sul suo sito, e il ladro non aveva fatto altro che prenderla. Non c'erano impronte digitali, il ladro aveva probabilmente indossato dei guanti. Lungo la navata furono trovate delle impronte; erano di scarponi del tipo più usato in campagna, forse erano del ladro e forse no, erano di taglia 42.
“Il ladro è probabilmente un uomo. Se le impronte di scarpe sono le sue, è di altezza media. A giudicare da come è stato scassinato il portone, deve essere di costituzione piuttosto robusta. Non è che questo restringa molto il campo delle indagini”.
 Più tardi, il maresciallo passò a trovare il professor D'Alessandro. Quest'ultimo era un insegnante in pensione ed era un po' lo storico locale. Anni prima aveva scritto una monografia su Colleselva. Se c'era qualcuno che sapeva tutto quanto era possibile sapere sull'angelo di legno, aveva pensato Morelli, era certamente lui.
Il professore aveva un paio di occhiali dalla montatura spessa e una bianca chioma leonina, sebbene dovesse aver superato i settant'anni, si muoveva con passo ancora elastico e aveva uno sguardo vivace.
“Maresciallo, venga!”
Il professore fece strada a Morelli fino a uno studio ingombro di libri e di carte, con un'affollata libreria dove era stipata una quantità di volumi dietro a una scrivania piuttosto in disordine.
“Così”, disse, “Hanno rubato l'angelo di Jacopo da Colleselva!”
“Jacopo da Colleselva”, chiese Morelli, “Cosa mi può dire di lui?”
“On beh”, rispose il professore, “Jacopo è la nostra gloria locale, è stato uno scultore vissuto nel quindicesimo secolo. Nel mio libro ne ho parlato diffusamente, e c'è una storia interessante proprio riguardo all'angelo”.
“Me la racconti”, disse Morelli.
“Lei saprà che l'angelo è sopravvissuto sia all'incendio del 1716 sia al bombardamento del 1944. Fu ritrovato fra le rovine della chiesa miracolosamente intatto, nemmeno una scheggiatura, sebbene dell'edificio non fosse rimasto niente di intatto”.
“Mi parli dell'incendio settecentesco”, chiese il maresciallo.
“In realtà non c'è molto da dire. Nel 1716 la vecchia chiesa andò a fuoco per motivi non precisati, magari che so, una candela accesa venuta a contatto con un paramento. L'incendio fu furioso, durò diversi giorni e distrusse tutto quanto. L'angelo fu ritrovato intatto fra le travi carbonizzate, nemmeno annerito a quanto dicono”.
“Mi diceva di Jacopo”, chiese il maresciallo.
“Oh si”, disse il professore, “L'artista ci ha lasciato un diario dove ha parlato diffusamente di questa statua, un documento davvero prezioso, di cui ho riportato ampi stralci nella mia monografia. E' una storia curiosa. Pare che Jacopo abbia avuto un contrasto col curato dell'epoca circa il pagamento di un precedente lavoro, e che non gli fosse stato dato interamente quanto pattuito, e per questo fu molto indeciso se accettare o no un nuovo incarico, alla fine decise di fargli una statua, “ma lignea”.
“Ma lignea”, chiese Morelli, “Che significa?”
“Beh, probabilmente il precedente lavoro era in materiale più pregiato, marmo forse. Jacopo pensava, credo, che scolpendo la statua in materiale più economico, sarebbe stato più facile stavolta accordarsi sul prezzo”.
Il professore prese un volume dalla libreria.
“Ecco, guardi”, disse, “Questa è una copia del mio libro. Qui c'è una foto di una pagina del diario di Jacopo, ed è proprio quella dove parla dell'angelo”.
Morelli concentrò la sua attenzione sull'immagine. Sebbene si trattasse di una scrittura quattrocentesca, era sorprendentemente chiara, una specie di onciale carolingia. Trovò il punto di cui il professore gli aveva parlato. “Ma lignea”? Lo spazio tra il “ma” e la parola successiva era quasi inesistente, e la “e” era solo un trattino senza occhiello.
“Io direi”, commentò, “che abbia voluto dire di aver fatto una statua maligna, forse qualche stregoneria per vendicarsi del modo in cui era stato trattato in precedenza”.
“Ecco, non volevo dirglielo”, replicò D'Alessandro, “Volevo che ci arrivasse da sé, anche se non è questa l'interpretazione che ho avallato nel mio libro. Guardi, un paio di mesi dopo ha annotato:
“Consegnato Angel Legna al curato di Santa Maria. Sono quasi pentito, questa volta sono stato pagato regolarmente”.
“Angel Legna”, commentò Morelli, “Aveva dato un nome proprio alla statua”.
“Si”, disse il professore, “Ma non è tutto. Ci faccia caso, “Angel Legna” è un palindromo, cioè un'espressione che rimane uguale se letta da sinistra a destra o da destra a sinistra”.
"E allora?”
“I palindromi sono spesso usati nelle formule magiche, come il famoso “Sator Arepo Tenet Opera Rotas”. Ci faccia caso. Leonardo Da Vinci è stato il caso più eccezionale ma non è isolato. A cavallo fra quattrocento e cinquecento gli artisti sono più o meno tutti un po' scienziati, un po' alchimisti, un po' maghi”.
“Si”, chiese Morelli, “Ma ci sono racconti di fatti soprannaturali legati a questa statua?”
“Veramente, non che io sappia”, rispose il professore, “A parte la misteriosa sopravvivenza della statua all'incendio e al bombardamento, ma questo significa poco. Tenga presente che l'angelo era collocato in un luogo sacro, all'interno di una chiesa. Questo avrebbe tenuta bloccata qualsiasi influenza diabolica. Lei avrà presente i gargoyle, le statue demoniache che nel medioevo venivano messe nelle chiese. Per spaventare gli spiriti maligni, si dice. Per questo o per impedire loro di nuocere?”
La conversazione fu interrotta dallo squillo del telefonino di Morelli. Il maresciallo aveva lasciato detto di non essere disturbato salvo emergenze.
Si affrettò a rispondere.
“Maresciallo, sono il vicebrigadiere Livotti. Abbiamo un omicidio. Ho mandato la volante a prelevarla”.
La pensione Belsito non era di certo un ambiente lussuoso, offriva appena un posto letto decente e passabilmente pulito a commessi viaggiatori e gente del genere. La tenutaria era una donna sui quarant'anni che avrebbe avuto un aspetto anche piacevole senza quel pallore innaturale e quello sguardo fisso; chiaramente era in stato di shock.
Vedendo la divisa di Morelli, disse con voce atona:
“Stanza 102, primo piano. Andate voi. Io non ci salgo un'altra volta”.
Livotti informò il suo superiore che era stata lei a ritrovare il cadavere.
Appena arrivato di sopra, Morelli si apprestò a vedere uno spettacolo raccapricciante: si sentiva fin dalle scale l'odore del sangue che si andava rapprendendo.
La porta della camera era aperta, e il passepartout era infilato nella serratura dalla parte esterna, mentre la chiave del cliente era ancora appoggiata sul comodino accanto al letto. Il corpo dell'uomo era disteso sul letto e non era un bello spettacolo, era coperto da grandi ferite slabbrate come se fosse stato sbranato da una belva. Grandi macchie di sangue si stavano rapprendendo fra le lenzuola.
“La proprietaria mi ha detto che ha aperto lei con il passepartout e che la stanza era chiusa dall'interno”, disse Livotti, e indicò la finestra con li vetro sfondato, “Sembra che l'assassino sia entrato e uscito dalla finestra”.
“No, brigadiere”, disse Morelli che si era avvicinato alla finestra, “Non entrato, solo uscito. Guardi i frammenti di vetro giù in strada, invece non ci sono vetri nella stanza”.
“Ma allora”, chiese Livotti, “Come è entrato?”
“Solo in un modo, deve averlo portato o fatto entrare la vittima”.
“E' un bel salto”, disse il sottufficiale, “Dev'essere un tipo atletico”.
"Chissà”, commentò Morelli, “Forse è volato”.
 “Volato, e che cos'è, un uccello?”
“Un uccello o forse un angelo. In ogni caso dubito che sia un essere umano. Guardi come è conciato il morto, sembra l'opera di un animale da preda”.
Identificare la vittima non fu difficile, aveva lasciato la carta d'identità alla portineria della pensione, si trattava di un certo Righi, e aveva diversi precedenti per furto, negli ultimi tempi pareva essersi specializzato nei furti di opere d'arte. Anche le suole degli scarponi coincidevano con le impronte ritrovate nella chiesa, pareva il candidato ideale come autore del furto dell'angelo. Già, ma chi o che cosa l'aveva ucciso, e l'angelo dov'era finito?
Un'idea il maresciallo Morelli se l'era fatta, ma per accettarla i suoi superiori e i giudici avrebbero dovuto avere una forte credenza nel soprannaturale. Cosa avrebbe dovuto mettere nel rapporto, cosa avrebbe dovuto raccontare loro, che Jacopo da Colleselva che era un po' artista e un po' stregone aveva scolpito per vendetta una statua maligna, un gargoyle sotto le sembianze di un angelo, rimasta prigioniera per secoli dentro l'edificio sacro, ma che aveva rivelato un'indole sanguinaria appena tolta da là? Come avrebbero potuto credergli?
Cosa si sarebbe potuto fare con una creatura del genere? Non certo metterla in cella, forse bruciarla se la si fosse potuta catturare. E adesso dov'era?
Guardò le fotografie che gli aveva dato il professor D'Alessandro. Foto dell'angelo fatte in tempi diversi e da prospettive diverse. Certo, poteva dipendere dalla prospettiva o essere l'effetto della suggestione, ma gli sembrava che da una all'altra l'angelo non fossa mai esattamente nella stessa posizione, che dall'una all'altra si fosse impercettibilmente mosso.
Un dubbio gli attraversò la mente: una creatura del genere era in grado di capire che per lei certi uomini rappresentavano un pericolo maggiore di altri, magari almeno in una certa misura leggere i pensieri?
Un rumore gli fece alzare gli occhi; un rumore poco fuori della finestra, un rumore come un frullo d'ali ma con qualcosa di legnoso.

 

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