venerdì 1 marzo 2013

L'ULTIMA NOTTE STELLATA di Giuseppe Novellino

                            



     La sera era rigida, ma limpida.
     Una brezza pungente accarezzava le case di periferia, le piante scheletrite, le panchine gelate.
     Sarebbe stata una notte di plenilunio.
     Moana si era ritirata sul tetto del brutto palazzo, dove viveva con la mamma diabetica e un padre cerbero. Stava con tutto il suo dolore, con il braccio pieno di buchi e il bimbo che le cresceva nella pancia. Da tre anni Moana uccideva la mamma e trasformava il padre in un cupo nemico. E lui la picchiava.
     A diciotto anni con un figlio. Fatto con Luca, con Roman o con Mick? Non c’era molta differenza, perché tutti e tre erano out, ai margini, falliti e tossici… come lei. Se suo padre l’avesse saputo, l’avrebbe uccisa.
     La luna e le stelle risplendevano nel cielo terso.
     Si stava bene lassù, sopra i tetti delle case di periferia, a contemplare il nero cielo infinito. Eppure una lacrima spuntò sul viso scarno di Moana.
     Che bella notte per morire! Una notte limpida e fredda come la morte.
     Lei e la sua creatura avrebbero fatto il volo definitivo, sotto quel cielo stellato. Il suo corpo sarebbe finito vicino a una malferma panchina, sull’orlo del parcheggio; ma lassù sarebbe rimasto a risplendere il firmamento.
     Sentì uno strano calore accarezzarle la schiena. Si voltò e lo vide.
     Era brutto, anzi spaventoso, ma non incuteva paura.
     Si sedette accanto a lei e si mise a guardare il cielo stellato.
     - Chi sei? – chiese Moana.
     Non rispose.
     Era inguainato in una nera tuta di pelle, come un motociclista. Il naso adunco, il mento prominente, da vecchio. La guardava con due occhi sporgenti in un viso butterato. I capelli, radi ma lunghi, svolazzavano alla gelida brezza.
     Solo dopo un po’, l’uomo disse:
     - Non ti conviene farlo. Non in una notte come questa.
     - Perché?
     - Questa è l’ultima notte.
     - L’ultima notte… per chi?
     - Per tutti.
     Continuò a guardarlo con espressione interrogativa.
     - Arsenico.
     - È questo il tuo nome?
     - Sì.
     - Non ho voglia di starmene ad ascoltare le tue fesserie. Non riuscirai a trattenermi.
     - Tu dici?
     - Sì… dico.
     Silenzio. Solo gelide folate si rincorrevano sui tetti degli squallidi caseggiati.
     Poi le stelle si fecero più vivide. Moana non sentiva più freddo.
     - Cominciano a soffrire – fece l’uomo.
     - Chi?
     - Le stelle.
     Tra le mani dell’uomo si materializzò una nera coperta. - La vedi?
     - Quello straccio?
     - Ti do l’onore di piegarla.
     - Chissà quale onore! – disse acida Moana.
     - Ma questa non è una coperta qualsiasi.
     - Ah no, e che sarebbe?
     Arsenico non rispose.
     Si udì l’urlo lacerante di una sirena, laggiù nell’intrico delle strade.
     - Io ho scelto te, Moana.
     - Mi hai scocciato – mormorò la ragazza. – Lasciami in pace.
     Adesso le stelle erano incredibilmente brillanti. Il cielo sembrava illuminato, come se fosse il fondale di un immenso presepe. Il tetto del palazzo era avvolto in un chiarore spettrale.
     - Tu vuoi scendere da questo palazzo, ma lo farai come voglio io.
     - E come? – fece lei incuriosita.
     - Scenderai per le scale, lentamente, ma solo dopo avere piegato questa coperta.
     Moana lo fissò a lungo. Adesso si sentiva affascinata da quella presenza.
     La luce delle stelle proiettava ombre sul viso dell’uomo.
     Poi la ragazza prese la coperta e cominciò a piegarla, con cura.
     Alla fine levò lo sguardo sull’uomo, ma lui non c’era più. Poi osservò la coperta, ben piegata. Su di essa appariva una frase a caratteri luminosi:

Una ragazza madre ha piegato la coperta.
In questa ultima notte. La notte di Arsenico Stellare.


     Vetri infranti, urla, stridore di freni, una forte esplosione… e crolli in lontananza.
     Poi Moana cominciò a scendere le scale.

                                                      (Per gentile concessione dell’autore)


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