lunedì 16 novembre 2015

IN NOME DEL FILE di Teresa Regna

“Hai provato con le FAQ? Se non riesci ad ottenere la risposta che vuoi, entra nel Forum e invia una mail all’indirizzo dell’azienda!”, sbottò il ragazzino. Emise uno stanco sospiro, carico di impazienza: insegnare ad un adulto ad usare il computer era un compito di una difficoltà incredibile, quasi impossibile.
La criniera rosso scuro della madre si mosse in un cenno di diniego. “Come faccio ad entrare nel Forum?”, chiese, la voce resa stridula dalla consapevolezza della propria incompetenza informatica.
“Sei un caso disperato”, dichiarò Matthew. Si impossessò del mouse e cliccò sull’icona del Forum, grande quanto una mongolfiera su un campo di football. Eppure la mamma non l’aveva nemmeno vista, come se fosse un singolo pixel.
Lo schermo era completamente nero, più buio della notte profonda, e Matthew era a scuola. Annabelle Larson non sapeva cosa fare: a volte pensava di essere elettronico-fobica, o comunque di poter vantare una totale assenza di neuroni deputati alla comprensione di strumenti elettronici e affini. Riusciva a complicare anche le situazioni più semplici, a sbagliare o saltare i passaggi essenziali, a dimenticare le istruzioni udite un paio di minuti prima; trascinare con il mouse per lei costituiva una fatica immane, e la sola ricerca del giusto file le costava uno sforzo assolutamente inappropriato alla circostanza. Insomma, era un’incapace: persino con il cellulare aveva difficoltà ad andare d’accordo.
Quando guardò con maggiore attenzione il monitor, vide comparire un logo fluttuante, con il nome del figlio a lettere cubitali, color giallo canarino. Sobbalzò, presa da uno spavento tanto improvviso quanto insensato. Pur temendo di combinare qualche pasticcio, provò a cliccare sul mouse. La bocca le si allargò in un sorriso compiaciuto: era comparsa la schermata iniziale, con tutte le icone al posto giusto. Riprese la ricerca del documento, che aveva interrotto per controllare la cottura del pollo al forno, e si ripromise di chiedere a Matthew una delucidazione riguardo allo strano fenomeno che aveva osservato.
“Cosa hai combinato?”. Robert Larson non era propenso a perdonare alla moglie i tentativi andati a vuoto di orientarsi nel dedalo di files che popolavano la memoria del suo PC. Non quando si concretizzavano nella cancellazione involontaria di dati di cui aveva bisogno, in ogni caso.
“Non ne ho idea”, confessò la donna, in tono quanto mai sincero.
“Vediamo se riesco a rimediare ai pasticci della mamma”, si intromise Matthew. Era ormai rassegnato a trascorrere le serate a fare da istruttore alla donna maldestra e pasticciona che l’aveva partorito undici anni prima. E, anche se non era proprio la sua occupazione preferita, rimetteva il computer in piena efficienza senza pronunciare una sola parola di protesta.
 ***
“Questo è il giorno più bello della mia vita!”, esclamò Matthew, un attimo prima di raccogliere il fiato necessario a spegnere le dodici candeline disposte a cerchio sulla torta. La glassa color della neve che la ricopriva aveva l’aspetto di una vera squisitezza; tutti i suoi amici erano ammassati intorno al tavolo, con in testa buffi cappellini e in bocca trombette dal suono acuto, e applaudivano freneticamente, neanche fossero stati invitati da una star del rock. Alyssa gli sorrideva, con un’espressione estatica stampata sul volto, dal lato opposto del tavolo, esibendo il suo splendido corpo da dodicenne avvolto in un corto vestitino fucsia. La sua prima, vera ragazza: una bellezza bionda da mozzare il fiato, che i compagni di classe gli invidiavano e la mamma adorava.
Annabelle, infatti, osservava con sguardo amorevole la fidanzatina del figlio, gli amici riuniti per festeggiarlo, la torta che aveva preparato per l’occasione, i robot super colorati che aveva ingaggiato per animare la festa di compleanno; con comprensibile orgoglio, invece, sbirciava, di tanto in tanto, uno dei regali destinati a Matthew: un biglietto di compleanno commissionato ad un sito specializzato, che aveva ideato, realizzato e stampato lei stessa. In quindici copie, per dimostrare al marito e agli amici di non essere più una perfetta imbecille informatica.
Mentre i ragazzi, guidati da uno degli animatori, si rincorrevano impugnando dei laser giocattolo, Alyssa si avvicinò all’unica persona adulta presente. “Complimenti per la torta, signora Larson: era ottima”, asserì.
Era sempre tanto compita e beneducata che Annabelle l’avrebbe adottata, se avesse potuto. “Grazie, cara”, le rispose, in tono allegro. “Ti stai divertendo?”:
“Certo, e molto”.
La banale conversazione, tipico scambio di battute tra un adulto e un ragazzo, venne bruscamente interrotta dall’arrivo di Robert Larson, che gratificò la moglie di un bacio appena accennato su una guancia.
Alyssa, dopo averlo salutato con cortesia, si affrettò ad allontanarsi. Raccolse un laser caduto sull’erba bassa,
e cominciò ad inseguire un compagno di classe, brandendo l’arma senza grinta né convinzione.
Il gioco ebbe termine con la cattura di alcuni prigionieri da parte della squadra del festeggiato, il quale li sottopose, per punire la loro incapacità guerresca, ad una terribile tortura: il solletico.
Robert e Annabelle si unirono alle risate squillanti dei ragazzi, lieti che la festa fosse stata un successo.
Quella sera, a cena, Matthew, rivolgendosi alla madre, sbottò “Ho ricevuto da te i due regali più belli della giornata”. Lo sguardo carico di stupore della donna gli strappò un sorriso divertito. “Parlo della festa e del biglietto d’auguri”, spiegò. “Ha fatto tutto da sola”, proseguì, volgendo il viso verso il padre. “E credo che non abbia più bisogno di lezioni di informatica”.
Annabelle scompigliò i capelli del figlio con una carezza affettuosa. “Tutto merito dell’insegnante”, affermò.
***
“Questo è il giorno più brutto della mia vita”, esalò Matthew, con un filo di voce. Aveva esaurito le lacrime: il dolore aveva scavato un solco profondo nel suo cuore di adolescente. Fissò lo sguardo cupo in quello ancora più cupo del padre, e lo sfidò “Io vado di sopra, nella mia camera. Se gli ospiti che si stanno rimpinzando di dolci vogliono vedermi, che vengano a cercarmi: non resterò qui un minuto di più”.
Robert lo guardò correre su per le scale, situate in una nicchia dell’ampio soggiorno, ed emise un sospiro sconsolato. Era d’accordo con il figlio, ma non poteva esimersi dal rimanere inchiodato al pavimento, distribuendo strette di mano e ricevendo pacche sulla spalla. Come se la perdita di Annabelle potesse essere compensata da una parvenza di contatto umano e da un banchetto di proporzioni colossali, offerto da solleciti vicini e parenti che non vedeva da anni.
“Povero ragazzo”, disse una vecchia zia, raggrinzita dagli anni, che ostentava una parure di brillanti sull’abito da lutto disegnato da un famoso stilista. “Cosa farà, senza la madre?”.
“Si accontenterà del padre”, borbottò Robert, a mezza voce. Strinse i pugni, maledicendo il pirata della strada che aveva cancellato dalla sua vita sia la moglie che la gioia di vivere, e si avviò a passo cadenzato verso la cucina. Accanto al tavolo ricolmo di ogni ben di Dio, vide Alyssa, che sbocconcellava svogliatamente una fetta di torta di mele. “Va’ da lui”, la pregò.
La ragazza gli rivolse un sorriso mesto, depose in tutta fretta il piattino di carta e si avviò in direzione della porta che dava nel soggiorno. Arrivata davanti alla camera di Matthew, bussò con delicatezza. Quando ebbe ottenuto in risposta un grugnito inintelligibile, si decise ad entrare.
Il ragazzo giaceva sul letto sfatto, a faccia in giù nel cuscino. “Vattene!”, ordinò, senza la convinzione che avrebbe fatto capire alla fidanzatina che aveva davvero intenzione di escluderla dal suo dolore.
“Non posso: tuo padre mi ha chiesto di salire”.
“E tu non puoi fare a  meno  di  obbedirgli,  vero?  Sei troppo perfetta!”.
“Io, perfetta? Vuoi scherzare?”. Nonostante si fosse schermita, Alyssa sapeva di essere diversa dalle altre ragazze: obbediente, beneducata, gentile, sincera. Costituiva la risposta alle preghiere di ogni madre. 
“Anche la mamma ne era convinta”, proseguì Matthew, in tono accorato. “Mi ripeteva sempre che non avrei potuto trovare una fidanzata più dolce di te”.
Sedendo sul letto, accanto al ragazzo, Alyssa fece il gesto di scompigliargli i capelli. Venne bloccata da una mano ferma che le agguantò il polso.
“Non farlo: mi ricorda troppo la mamma. E non voglio ricominciare a piangere”.
“Perché non accendi il computer? Potremmo giocare a pinball, l’uno contro l’altro”; propose la ragazza. “Forse riusciresti a distrarti”.
Matthew si drizzò a sedere. “Buona idea”, convenne. Accese il PC, ma non cliccò immediatamente sui giochi. “Prima vediamo se c’è posta per me”. Aprì l’Outlook Express, scelse il bottone ‘connesso’ e attese i pochi secondi necessari affinché il computer effettuasse l’operazione. La cassettina verde lo avvertì che stava ricevendo un messaggio, ma nessun mittente apparve accanto alla minuscola busta. Si voltò verso Alyssa, in cerca di un consiglio spassionato. “Cosa faccio, apro ugualmente?”.
“E se ci fosse qualche virus?”, gli rilanciò la ragazza.
“Il programma di protezione ha funzionato fino ad oggi: non ho nulla di cui preoccuparmi”. La curiosità era una molla più potente del pericolo che il suo software avrebbe potuto correre.
“La decisione spetta a te: il computer è tuo”.
“O.K.”. Cliccò sul messaggio anonimo, strinse forte gli occhi, poi li sbarrò di scatto. “Vorrei sapere chi è quell’idiota che fa questi scherzi!”, sbottò.
Alyssa si sporse dietro le sue spalle e lesse ‘Non darti pena per me: sono in un posto stupendo. Ti amo tanto. Mamma’. Rispettando lo sgomento del ragazzo, preferì non commentare il messaggio.
Matthew cercò il conforto di cui aveva un disperato bisogno tra le braccia della fidanzatina. La strinse brevemente, con forza, poi rivolse di nuovo lo sguardo allo schermo. Un altro messaggio, anch’esso senza mittente, aveva fatto la sua comparsa.
Lo lessero insieme, intenzionati a cercare il colpevole, l’essere abietto che non rispettava nemmeno il più atroce dei dolori. ‘Non è uno scherzo, tesoro. Posso comunicare con te attraverso il computer: è sufficiente che pensi intensamente cosa voglio dirti e il messaggio compare nella posta destinata a te. Anche se non posso vederti, riesco ad indovinare i tuoi pensieri. Alyssa è lì con te, vero? Sento la sua presenza: è come se una nuvola di positività avvolgesse la tua mente. Sarò con te ogni volta che lo vorrai, in modo che non ti senta mai solo. Ma non dirlo a tuo padre: non capirebbe. Sarà il nostro piccolo segreto. Mamma’.
Una lacrima solcò la guancia pallida del ragazzo, seguita a ruota dalla sua gemella. Posò la mano sullo schermo, accarezzando le parole appena lette. “Mamma”, sospirò. “Provami che sei davvero tu...”. Si interruppe, tirando su col naso, e  passò  il  dorso della  mano  sugli occhi.
Un terzo messaggio si materializzò all’istante. ‘Ricordi quando ti prendevo in giro per la tua passione per il computer? Dicevo che prima o poi sarebbe divenuto la tua vera religione. In nome del file...’.

 

 

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