mercoledì 9 luglio 2014

GLI AMBIGAMI di Pierre Jean Brouillaud



Il caso di Marjorie B. è uno degli ultimi a essere stato trattato coi vecchi metodi d'investigazione, metodi che facevano appello alle capacità deduttive necessariamente limitate del cervello umano.
È per questo motivo che c'è voluto così tanto tempo per svelare i suoi segreti anche se era stato affidato a uno degli intelletti più fini della California, l'ispettore Jonas Ignacio Martinez?
Marjorie B. è morta un bel pomeriggio di giugno in un incidente accaduto sul celebre miglio dei miliardari. La sua auto ha mancato una curva, è caduta nel Pacifico dove si è schiantata sugli scogli prima di ribaltarsi e colare a picco. Marjorie è morta sul colpo come i due cocker che l'accompagnavano. Beninteso, la macchina era dotata di pilota automatico, che era guasto come ha dimostrato l'inchiesta.
Il caso si sarebbe potuto chiudere lì.
Ma l'ispettore Martinez voleva sapere perché Marjorie B. che aveva un autista fra la sua numerosa servitù, non si era fatta accompagnare da lui. Certo, ci si poteva domandare perché questa signora proprietaria di un veicolo a guida interamente automatica avesse bisogno di un autista, ma questo era uno status symbol. Quel giorno aveva rifiutato l'aiuto di quello che per scherzo chiamava Caronte, un nome che aveva recentemente sentito in un programma televisivo e che era, sembra, presso gli antichi, quello del traghettatore incaricato di trasportare le anime all'inferno.
Si interrogò Caronte e lo si era accusato di negligenza nella manutenzione della vettura. Lo si disattivò, essendo un robot.
E il caso fu chiuso. Per la polizia.
Ma oggi siamo in grado di ricostruire le circostanze che precedettero la scomparsa di Marjorie B.
Da dieci anni, Marje per gli intimi, quarantacinque anni al momento della scomparsa, viveva separata di fatto ma non divorziata dal marito Malcolm, il re dei fast food residente nel New England. Lei si era installata a Santa Monica sulla costa del Pacifico, mettendo tra loro due tutta la larghezza del continente. Non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla sua indipendenza e viveva senza preoccupazioni.
Sino al giorno in cui ricevette dalla sua amica e rivale Shirley questo stupefacente messaggio:
“E' Fatta! L'ho fatto! Quanto tempo che ci pensavo! Non te ne ho parlato per farti una sorpresa. E non dubito che sarai sorpresa, Marjorie, ho fatto clonare Jef. E Jef è estasiato. Lo diverte tanto vedersi altrimenti che in immagine nello specchio!”
Jef era il marito di Shirley.
Che folle idea! Non che il costo fosse un ostacolo per una donna come Shirley che aveva fatto fortuna nei cosmetici, ma Marje trovava un uomo già abbastanza ingombrante.
Shirley era sempre stata un'originale. Passi, ma a quale impulso obbediva quest'ultima originalità? Tra due sorsi di Earl Gray Marje si batte la fronte. “Ma sono scema? Non mi ha confessato una sera che aveva un po' abusato dei cocktail, che aveva certe voglie? Alla sua età? Cinquant'anni, cinquantadue per l'esattezza. E' vero che ha, vediamo, dodici anni meno di suo marito. Ma certo! Si è offerta a fianco del suo vecchio barbogio, un giovane amante. Un menage a tre in piena legalità!”
Poiché questo ormai era deciso. A quali condizioni? Non ricordava bene, sembrava molto complicato, ma la cosa più importante era dimostrare agli amici, ai conoscenti, a Shirley che lei, Marjorie, aveva anche lei i mezzi per una simile stravaganza, e che non sarebbe rimasta indietro.
E dopotutto, perché non sperimentare queste nuove tecnologie che facevano furore? Clonare? Si ma chi? Sarebbe stato assurdo far fare una copia identica di uno dei suoi domestici. Non si clona un robot, se ne compra un altro, dell'ultima generazione. E d'altronde la qualità dei loro servizi lasciava a desiderare, non c'era alcuna ragione di duplicare il presente personale.
Alla fine, per fare un esperimento senza troppe conseguenze, fece clonare Pipo, il suo pappagallo e Bobby, il suo cocker.
Per un momento si divertì, ma poi scoprì che due pappagalli erano gelosi, si detestavano e passavano il tempo a insultarsi scambiandosi nomi...d'uccello. Chi gli aveva insegnato queste volgarità? Non potevano essere che i robodomestici che a forza di frequentare i loro datori di lavoro, manifestavano qualche malizia, per non dire una certa perversità. Fortunatamente i due volatili erano legati ciascuno dal suo lato del posatoio, altrimenti ne sarebbero volate di piume!
In compenso, tutto era andato bene coi cocker, due amori! Un successo su due, il bilancio non sembrava così cattivo.
Era abbastanza?
No, invecchiata tra i suoi uccelli, i suoi robot, i suoi cani, a dire il vero ne aveva abbastanza di partite a poker, di ricevimenti, di pettegolezzi del jet-set. Ne aveva abbastanza di quelle maschere di carnevale, di quelle vecchie facce oltraggiosamente impiastricciate, raffazzonate. Provava delle crisi di noia, facendosi vincere da un sentimento di un'altra epoca, quella malinconia di cui soffriva sua madre e che aveva forse ereditato.
“Quel che mi manca”, si diceva, “E' una dama di compagnia né troppo giovane né troppo anziana. Con lei si sarebbe potuta confidare senza riserve.
Ma dove trovare la perla che non avrebbe tradito la sua confidenza?
A forza di pensarci, ci perdeva il sonno.
Una notte prese la decisione, si sarebbe fatta clonare lei stessa.
“Dopotutto”, pensò, “Il dialogo migliore non è quello che ciascuno di noi intrattiene con se stesso?”
Il mese precedente aveva proceduto al cleaning cellulare annuale che eliminava le scorie il cui accumulo nell'organismo provoca l'invecchiamento. Nell'immediato non rischiava niente. Oltre al mensile (generoso, bisognava riconoscerlo) che le versava Malcolm, disponeva di una fortuna personale. Godeva di una salute tanto più robusta in quanto non aveva mai toccato gli intrugli prodotti dal marito. Al riguardo, Dump, il suo robot cuoco aveva istruzioni precise.
Da molto tempo si era passati dalla clonazione terapeutica alla clonazione riproduttiva. La scienza aveva eliminato tutti i rischi di anomalie nei mammiferi così ottenuti, era facile quanto riprodurre una pianta per talea. Ormai le donne potevano liberarsi dell'impaccio della gravidanza e del parto. Era sufficiente praticare il trasferimento nucleare, si prelevava dal donatore una cellula che produceva un embrione assicurando una perfetta compatibilità genetica con l'originale. L'embrione si sviluppava dentro un utero artificiale, poi proseguiva la sua crescita dentro un'incubatrice altrettanto artificiale.
Marjorie non aveva alcuna intenzione di occuparsi di un bambino. Questi esseri, immaturi per definizione, non tardano a diventare degli estranei, quando non si rivoltano contro di voi.
Grazie all'AMP (Accelerated Maturation Process), coloro che non desideravano passare per il lento processo che prevede la natura – almeno fino all'adolescenza – potevano ottenere la copia conforme in nove mesi, cioè curiosamente la durata di una gravidanza nell'utero all'antica.
In seguito, bastava fare un trasferimento di memoria come nell'informatica, si risparmiava dunque il lungo processo di apprendistato che rappresenta l'infanzia, e molto presto li si poteva trattare da pari a pari.
Scegliere la fascia d'età al momento di fare l'ordine, si dimostrava la cosa più delicata. La preferenza per la tenera infanzia era la più lontana da Marjorie che l'attribuiva al sentimentalismo di un'altra epoca. Poi veniva la fascia dei 18-20 anni. Non era la più adatta al dialogo, come comprendersi con un doppio di quella generazione? Senza parlare dei rischi di conflitto.
Optò per la fascia dei 30-40 anni. In effetti, oltre c'erano anche rischi di conflitto, poiché allora i caratteri erano troppo consolidati.
Non erano trascorsi tre mesi, che già aveva fretta di vedere il suo progetto prendere corpo.

Alla data prevista le fu infine consegnata la copia richiesta.
Stentò a riconoscersi. Quella creatura era lei a trent'anni?
Riesumò le sue foto tridimensionali dell'epoca, poi il suo ritratto a olio dovuto al pennello di Boris Chudka, artista alla moda. Buon Dio, era così cambiata? La tela non era necessariamente una prova, il pittore poteva avere un po' adulato la modella.
Finì per convincersi che dopotutto il clone doveva rendere un'immagine molto fedele dei suoi trent'anni, e in un certo senso (ma quale?), era più Marjorie che lei stessa.
Bene, avrebbe rivissuto per clone interposto i suoi begli anni, tranne che per l'imbarazzante presenza di un marito.
Era promettente, stavano per condividere gli stessi ricordi, li si poteva evocare davanti a una tazza di thé o in un giorno di pioggia. Sarebbe stato divertente, anche commovente.
Dear me! Ecco! Mia cara! Cara me! In questo gioco di parole Marjorie aveva trovato i termini affettuosi con cui rivolgersi a...
Colei a cui si doveva dare il doppio nome previsto dalla legge. Questa prevedeva in effetti che il clone portasse per primo il nome del suo originale – Marjorie quindi – e un secondo solo suo che permettesse di distinguerlo a tutti i fini utili.
Il vantaggio era che si poteva fare questa scelta in pieno accordo con l'interessata... che si sarebbe chiamata Lisbeth.
Ebbene, non andava così male. Quando si trattava di ravvivare i ricordi, ad esempio:
-         Dear me, ti ricordi le vacanze a Lake Placid negli Adirondacks e le gare di slittino?
-         Ah! Si!, faceva Lisbeth, che non si ritrovava ancora bene fra i meandri del passato.
Marjorie insisteva
-         E Alf? Te ne ricordi?
-         Alf? Scusami, non molto bene.
-         Ma si, fai uno sforzo...quando i nostri due slittini si sono incrociati. Alf, un caro ragazzo, ben fatto di persona, se non l'avessi scioccamente perso di vista, è lui che avrei dovuto sposare. Tutto sarebbe andato diversamente. Non ti pare?
Lisbeth faceva di si con la testa, per semplificare.
Non si può modificare il passato, ma lo si può condividere con la propria migliore amica, con se stessa insomma.
A ogni modo, una situazione così nuova sollevava tanti problemi che non c'era il tempo di annoiarsi.
Per quello c'erano gli affari, notoriamente.
Marjorie aveva una lunga esperienza in questo campo dove Lisbeth doveva trovare il suo posto, ma quale?
Nell'ambito di quello che la legge definiva ormai con il nuovo concetto di dual company, E' così che le due donne crearono la Marje and Marje C° che non tardò a prosperare. Marje one era un'esperta in materia, e Marje two alla sua buona scuola apprendeva presto.
Lisbeth è una donna intelligente, constatava Marje one, avendo però coscienza di indirizzare il complimento a se stessa. Bah, dopotutto, quali sono le relazioni umane che non sono condite da una dose di ambiguità?
Oh si, c'era ogni tanto qualche motivo di attrito. La precedenza, tra gli altri, Marjorie one insisteva per passare per prima in quanto più anziana. Lisbeth che acquistava man mano sicurezza, mal sopportava di essere messa in secondo piano.
“L'anzianità non c'entra”, diceva, “Se io sono te, noi passiamo insieme, se possibile fianco a fianco”.
Marjorie stimava che era suo dovere e suo interesse aiutare la sua compagna ad arricchire le sue conoscenze e dunque il contenuto della sua memoria, a integrare bene il loro passato, in una parola crearsi dei ricordi in simbiosi coi suoi.
Nello stesso tempo le piaceva mostrare e far ammirare la sua opera. Le sue amiche erano estasiate. “Che coppia adorabile formate voi due!”.
Cosa dicevano dietro le spalle? Marjorie se ne fregava.

“Lisbeth è una piccola oca!”
Entrata una mattina nella veranda dove aveva relegato i due pappagalli litigiosi, Marjorie fu accolta da questo doppio grido.
Si chiese se avesse sentito bene.
Subito Pipo uno e Pipo due ripeterono all'unisono:
“Lisbeth è una piccola oca!”
Ritti sul loro posatoio e battendo le ali, avevano un'aria molto contenta di sé.
 Chi aveva insegnato loro questa villania? Senza dubbio Batch, il maggiordomo, che non apprezzava affatto la doppiezza. Tuttavia Lisbeth aveva eccellenti rapporti con la maggior parte dei servitori, soprattutto il cuoco e l'autista della signora, o meglio delle signore, padroneggiava meglio di Marjorie one il robotico, il linguaggio utilizzato per rivolgersi al personale.
C'era però nel caso dei pappagalli un mistero che si propose di risolvere. Intanto, avrebbe osservato più da vicino il comportamento della sua compagna.
Lisbeth mostrava una curiosità sempre sveglia, sembrava interessarsi molto alla storia, aveva letto i libri (cartacei) che Marjorie conservava di sua nonna e che, senza aprirli, aveva sistemato sugli scaffali del suo ufficio a scopo decorativo. Il passato tornava di moda.
Disponendo di una memoria tutta nuova, Lisbeth non solo apprendeva presto, ma talvolta si ricordava di episodi che Marjorie aveva dimenticato o anche – cosa più inquietante – di episodi che aveva rimosso, come i tradimenti di quel farfallone di suo marito. Lisbeth ci prese presto un maligno gusto a rievocare queste disavventure e a fare a questo riguardo domande indiscrete, col pretesto che doveva sapere tutto della loro vita comune.

La copia guadagnava man mano ascendente sull'originale. Più si andava avanti, più si compiaceva di apportare delle contraddizioni. Si vestiva in modo provocante, preferendo il giallo, colore che Marjorie detestava.
Al punto che lei, indispettita, le chiese un giorno:
“In definitiva, cosa vuoi?”
“Vivere la mia vita, essere me stessa, farmi dei ricordi, dei ricordi solo miei”.
“Quello che vuole”, pensò Marjorie, “E' condurre parallelamente alla nostra vita comune una vita segreta”.
Pensò bene di protestare:
Dear me, tu sei il mio sangue, la mia carne!”
Dicendo questo, Marjorie si accorse di comportarsi come avrebbe fatto con un figlio. Lisbeth non mancò di ribattere:
“Io non sono tua figlia, io sono il tuo doppio, la tua ombra, io non sono niente”.
“Noi siamo come delle gemelle, le gemelle vivono ciascuna la sua vita, ma hanno dei legami tali che niente le può separare”.
Ma Lisbeth aveva studiato la questione sulle migliori fonti. Replicò:
“Tra i veri gemelli detti omozigoti, il tasso di completa somiglianza fenotipica non è generalmente superiore al 50%”.
E aggiunge:
“E noi non entriamo senza dubbio in questa percentuale. Come puoi constatare, tra me e te non c'è una totale identità psicologica”.
Cosa rispondere se non tentare di capire meglio da una parte le differenze, dall'altra quel che restava di terreno comune?

E presto fu evidente che Lisbeth si interessava agli uomini.
Da allora, Marjorie non ebbe più che un'ossessione: cercare colui che le avrebbe rubato l'affetto di Dear me.
Si introdusse nella camera della sua gemella in sua assenza, aprì il suo computer-fono e cominciò a navigare.
Un file la colpì, era indicato con una sola lettera: “M”.
Ah, ah, ah! Eccoci! MManMisterMartinMichael
Ebbe qualche difficoltà ad aprirlo, infine ci riuscì.
“Le mie memorie”, annuncia la voce di Lisbeth. Marjorie sussulta. La voce prosegue:
“Sono nata da padre ignoto, si sarebbe detto un tempo. Di fatto, il mio padre naturale, di cui tacerò il nome, è stato uno degli uomini più illustri del suo tempo, io sono cresciuta nella sua ombra. Mia madre in compenso era una donna insignificante di cui non è utile menzionare l'identità, così insignificante che mio padre non si è mai dato la pena di “regolarizzare la situazione” secondo il curioso frasario dell'epoca. “Un errore di gioventù”, confessava le rare volte che si lasciava andare a confidenze”.
“Bene”, pensò Marjorie mezza rassicurata, “Sta dettando un romanzo. Strano passatempo ai nostri giorni. Ha letto troppi di questi cattivi tomi”.
In queste presunte memorie dove, beninteso, Lisbeth immaginava per intero il suo “passato”, non c'era il problema di una seconda Marjorie. Lisbeth sopprimeva così colei a cui doveva la sua esistenza. Una sorta di matricidio, di assassino morale. Il vostro clone è come vostro figlio, Si domandava Marjorie che aveva pure sentito parlare di un certo Freud le cui idee bizzarre avevano un tempo fatto furore. Un clone, per essere se stesso, doveva uccidere il suo genitore?
Ma subì un nuovo shock quando sullo schermo tridimensionale apparve l'immagine di un uomo. Senza alcun dubbio, era quella di Malcolm, suo marito, assieme a una bambina di sette-otto anni. Chi era quella piccola? Marjorie si ricordò, era Felicity, una delle sue nipoti. Febbrilmente, Marjorie ingrandì l'immagine cercando di identificare meglio la bambina che somigliava...a chi? Una nipote. Normale che avesse un'aria di famiglia, che somigliasse a...Ma si, ma si, alla stessa Marjorie a quell'età.
Vediamo, vediamo. Quest'aria di famiglia era un dettaglio di cui non si ricordava, ma quello che vedeva, era che la piccola aveva la faccia che avrebbe avuto Lisbeth supponendo che avesse mai avuto sette od otto anni.
Cos'era accaduto? Lisbeth aveva sicuramente manipolato l'immagine. A che scopo? Aveva forse indovinato che Marjorie avrebbe conoscenza per effrazione del file?
Ma perché andare a cercare proprio Malcolm come padre sostitutivo? Lisbeth aveva fatto cadere la sua scelta sull'uomo che aveva per così dire a disposizione, il marito di quella che dopotutto era la sua madre biologica.
Divisa fra lo shock delle aggressioni che stava subendo e la curiosità, scelse di continuare e riprese la sua navigazione.
Finì per scoprire un altro file intitolato CLOWN. Per un attimo esitò ad aprirlo. Cosa poteva apprendere ancora?
Ci si tuffò.
Le confessioni di un clown cominciavano così:
“Spettatore troppo curioso, mi perdonerai un brutto gioco di parole, ma la ragion d'essere di un clone è talvolta di distrarre il suo originale. Mi si permetterà questa parentesi. Originale, ho detestato a lungo questa parola. Poi mi sono persuasa che la seconda prova dà spesso migliori risultati della prima. Fine della parentesi. Rimane nondimeno il fatto che un clone è più o meno l'equivalente di un buffone per i re di un tempo, un clown”.
Marjorie non andò oltre. Il tono pretenzioso di quella frase ancora ispirata a quei dannati vecchi tomi, l'esasperava.
Si persuase che le memorie non le avrebbero detto altro sul rapporto fra Lisbeth e gli uomini.
Ma una domanda la tormentava: a quale spettatore o lettore pensava il suo doppio? Era forzata a rispondere “Sono io!”
Eccola confrontarsi con quella rivolta che aveva creduto di evitare scegliendo la fascia dei 30-40 anni.
Poi le cose sono andate molto in fretta.

Frattanto Lisbeth prese a dormire fuori casa, e non si preoccupava di disfare il suo letto. Marjorie la fece seguire da un detective.
Dear me aveva affittato uno studio.
Il computer era anch'esso scomparso. Senza dubbio Lisbeth l'aveva portato sul luogo dei suoi amori dove continuava a dettare le sue memorie. Peccato, si sarebbero rivelate ancora più gustose.
Poi sfuggendo a ogni sorveglianza, Lisbeth sparì di punto in bianco.
Occorsero tre mesi a Switch, indagini di tutti i tipi, per ritrovare le sue tracce sulla costa orientale.
Marjorie scattò:
“Sulla costa orientale? E' sicuro? Io credo che lei abbia affidato questo lavoro a uno dei suoi robocop. E' assurdo. Come potrebbe un automa comprendere le molle dello spirito umano? Dell'anima (le venne da recuperare questa parola caduta in desuetudine)?”
“Signora, Bug è uno dei nostri migliori segugi, è incaricato unicamente dei ritrovamenti, e non di interpretare i sentimenti o le motivazioni delle persone ricercate”.
“Non è possibile che usando il linguaggio robotico si rischi qualche errore di interpretazione?”
“Sono dell'ordine del due per mille, si può dire che sono trascurabili, come può giudicare lei stessa”.
“Ha detto costa orientale, dove precisamente?”
“Boston”.
“Vuole insinuare...?”
“Signora, sembra che sia andata alla ricerca...”
“Tagli corto!”
“Di suo marito che...”
“È in qualche modo anche il suo”.
Restava da ottenere una conferma, che non tardò. Marjorie two tradiva Marjorie one con Malcolm che doveva essere molto divertito dalla faccenda. Tradiva, si se la parola aveva ancora un senso. Ma la tradiva veramente, poiché le due donne sotto un certo punto di vista legale non erano che una sola e stessa persona?
D'altra parte, poiché tra Marjorie one e suo marito non c'era né divorzio né alcuna altra forma di separazione legale, Marjorie one si voleva convincere che lui era semplicemente adultero. Voleva approfittarne per intraprendere un'azione legale e tentare di rompere l'ultimo legame con lui, quando apprese che Malcolm aveva preso l'iniziativa e, su parere del suo consulente legale, pretendeva di sposare legalmente la sua compagna, avvalersi di un nuovo status che ormai la legge prevedeva, l'ambigamia.
L'avvocato di Marjorie alzò le braccia al cielo.
“Cara signora, cos'è una persona umana? E' molto tempo che si tenta di darne una definizione, e non si è mai arrivati a una che mettesse tutti d'accordo”.
“Ma nel nostro caso...”
“La Corte suprema ha ritenuto di pronunciarsi in questo senso: il doppio e l'originale sono la stessa personalità (noti la sfumatura), se hanno lo stesso partner non è bigamia né adulterio...Lei perderà la causa”.
Così avevano trovato una formula che permetteva tutto e qualsiasi cosa, l'ambigamia, si ripeteva Marjorie con amarezza. Cercava di rassegnarsi: c'erano gli ambidestri, i bisessuali, i poligami, perché non gli ambigami? Cosa avrebbero detto nonno e nonna se avessero visto questo? E il prozio Timothy che era pastore cristiano rinato?

Da parte sua, l'ispettore Martinez aveva compreso la relazione tra le due Marjorie. Pensava che quel giorno fatidico Marjorie one aveva rifiutato l'aiuto di Caronte perché lo sospettava di connivenza con Lisbeth, e sospettava Lisbeth di aver ordinato a Caronte di sabotare la guida automatica per sbarazzarsi dell'originale e vivere infine la sua vita. Ma all'epoca non disponeva di alcun elemento di prova.
Rassegnato, aveva detto a sua moglie:
Gelosia, amore, odio. Possiamo darci da fare quanto vogliamo, restiamo dei primati.
Chiuso il caso, Lisbeth, che si dimostrava un'abile donna di affari, piantò il suo amante Malcolm, ereditò da colei che le aveva dato la vita, e fondò una nuova società tuttora quotata a Wall Street, la Marje Ldt.

  (Traduzione dal francese di Fabio Calabrese)

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