lunedì 29 aprile 2013

IL MORBO di Matteo Bigarella

                                
Era un morbo silenzioso e implacabile quello che si abbatté sul Paese, seminando ovunque rovina e devastazione. La scienza medica, allora come oggi, era assolutamente impotente di fronte a una simile piaga. Oh, quanti amici e parenti vidi cadere, piegati da quel male oscuro!
Non esistendo alcuna cura, si poteva soltanto cercare di evitare il contagio. Mi ritirai in una sperduta baita sulle Alpi, lontano dal consorzio umano. I mesi passarono, uno uguale all'altro, e con essi le stagioni. Nel tentativo di alleviare la noia, presi a fare lunghe escursioni nei boschi.
Un giorno, durante una di queste passeggiate, mi parve di udire una voce in lontananza. Mi voltai, spaventato. Tesi l'orecchio. Un frusciare di sterpi, stavolta più vicino, seguito dal rumore secco di un ramo spezzato. Non mi ero sbagliato, qualcuno si stava avvicinando. Che i contagiati si fossero spinti fin lì? L'istinto fu quello di scappare. Ma non vedevo altre persone da troppo tempo e la curiosità ebbe il sopravvento. Mi acquattai dietro un cespuglio di rovi, in attesa.
Dopo qualche secondo, vidi un ragazzo e una ragazza muniti di grossi zaini da campeggio. Entrambi belli, biondi e sorridenti. Lui la spinse da dietro per scherzo, lei gorgheggiò divertita e gli diede uno schiaffo affettuoso sul braccio. Non fecero caso a me, troppo presi dai loro giochi d'amore. Così come erano apparsi, proseguirono e scomparvero nella macchia. Il bosco portò via le loro risate.
L'apparizione dei due giovani mi lasciò turbato. Di più, irritato. Decisi di rincasare. Mentre ripercorrevo a ritroso il sentiero, realizzai che a colpirmi era stato soprattutto l'enorme squilibrio tra la mia condizione e la loro. Quei ragazzi avevano una vita davanti, una vita ricca di gioie e allietata dalla reciproca compagnia. Io ero solo e destinato a restarlo. Loro avevano tutto, e io niente.
Avvertii un rimescolio di budella, e una sensazione calda e dolorosa nel petto, come se qualcuno si divertisse a straziarmi il cuore con uno spillone incandescente. Era un sentimento nuovo eppure familiare.
Davanti al cancello di casa mi fermai, boccheggiante. Capii d'un tratto d'essere perduto.
Nonostante le mie precauzioni, il morbo, il terribile morbo a cui nessun uomo può sfuggire, mi aveva finalmente ghermito.
L'invidia era entrata in me.
(Per gentile concessione dell'autore)

4 commenti:

  1. L'invidia è davvero un morbo strisciante, che colpisce molte persone. Qui, il racconto in forma di parabola ci mette in guardia, ci invita a non lasciarci prendere da un simile male. E lo fa senza cascami moraleggianti, in modo asciutto e conciso, attraverso una narrazione semplice, chiara, ben condotta.

    Giuseppe Novellino

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  2. Grazie a entrambi per i commenti positivi.

    Matteo Bigarella

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  3. Davvero incisivo! Si parte da un'immagine preconfezionata nella mente e si approda nell'incanto di una scoperta semplice ma vivida ed essenziale! Bellissima la scena "gorgheggiante" dei due ragazzi!
    Paola Bianchi

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