giovedì 23 maggio 2013

L’UOMO CON LA CHITARRA di Giuseppe Novellino




     - Allora?
     - No.
     - Nemmeno posso venire io, da te?
     - No.
     - Domani?
     - Domani è sicuro, non ci vediamo.
     - Bel ferragosto!
     - A me lo dici? Noi donne siamo le più sacrificate.
     Il suo rapporto con Michela era ormai arrivato al capolinea. Il fatto che lei dovesse accudire la nonna semiparalizzata gli sembrava solo un pretesto. Michela aveva una sorella più piccola, che stava ancora in casa.
     - Non ti possono lasciare in pace, almeno a ferragosto?
     - Nonna Marina, a ferragosto, è sola più che mai. Ha bisogno di me. Sono la sua nipote preferita.
     Alla fine Marco si arrese.
     - Va bene, se le cose stanno così…
     - Sarà per dopodomani. Ciao.
     - Ciao – disse lui con un filo di voce.
     Gli dispiaceva che la relazione stesse finendo. Ma la rottura dipendeva più da lei che da lui. Marco non era disposto a mendicare la sua compagnia. Aveva una dignità, dopotutto.
     Abbassò il ricevitore e annusò con disgusto l’aria stantia, afosa, del salotto tappezzato, ancora odorante di frittura.
     Viveva da solo. Michela non aveva mai condiviso l’appartamento per più di sette od otto ore di seguito. Il più delle volte Marco si ingozzava del cibo che andava per la maggiore fra quelle mura: surgelati “Findus”. Ne aveva una bella scorta. Quando i giorni erano feriali, la sua condizione di solitario gli risultava passabile, ma in quelli festivi…
     Bel ferragosto! Solo come un cane.


     A cosa attaccarsi, allora? Inevitabile: vodka gelata al limone e musica jazz. E poi, magari, una dormitina.
     Desiderava ascoltare la chitarra. Cercò un disco con vecchie incisioni di Charlie Christian. Ma l’occhio gli cadde sulla copertina bisunta e sbiadita di Che mondo strano. Da adolescente era un fan dei Rokes. Chissà da quanto non ascoltava quel vinile a trentatré giri.
     Un bicchierino, due, tre. Un piacevole torpore lo invase.
     Poi, mentre Shel Shapiro inseguiva con la voce ricami elettrici e una soffice percussione, Marco fu scosso dallo squillo del campanello.
     Forse era Michela. Possibile che avesse cambiato idea?
     Barcollando, con la testa annebbiata, andò ad aprire.
     La musica, accompagnata dalla vodka, gli aveva fatto uno strano effetto, doveva ammetterlo. Ma non si sentiva male, anzi.
     - Con chi ho il piacere… - cercò di chiedere all’uomo che era apparso nel riquadro della porta.
 - David Norman Mellito, suonatore a domicilio.
     Il tizio non era più giovane, aveva i capelli lunghi, grigi, raccolti in una coda. Indossava uno spolverino come quelli che si vedono nei film western, aperto sul petto nudo e villoso. In testa, una tuba nera.
     - S’accomodi. Gradisce un bicchiere di vodka? – lo invitò Marco, per niente turbato dalla stranezza dell’uomo e dal suo improbabile abbigliamento.
     - Potrei suonarle qualcosa, dal vivo… – propose il tizio.
     - È  quello che mi ci vuole! – approvò Marco. Si sentiva stranamente euforico.
     L’uomo materializzò una chitarra a freccia, come quella dei Rokes, posò l’insolito copricapo sul tavolino e prese a suonare, riempiendo la stanza di calde note vibranti.
     L’effetto fu tutto interiore. Il cuore di Marco si mise a danzare all’impazzata e la sua anima a fare capriole.
     Una specie di nebbia cominciò a prodursi dalle dita nervose del suonatore e avvolse ogni cosa. Solo quando divenne fittissima, la musica si affievolì, come perdendosi in lontananza.
    

     Marco si trovò davanti Michela.
     Era uscita dalla nebbia.
     - Tu… qui?
     - Sì. Nonna Marina, all’ultimo momento, mi ha lasciata libera. Tutto il pomeriggio. Ti va?
     Di certo era venuta a trovarlo così, tanto per dargli un contentino.
     - E me lo chiedi? - disse Marco, sospettoso. Poi, guardandosi intorno: -  David Norman Mellito, il suonatore di chitarra, dov’è?
     La ragazza scosse il capo in segno di rimprovero. –  Tu, piuttosto, in pieno ferragosto, dormi con la porta spalancata?
     - Io… vedi, un momento fa… c’era lui… David…
     Michela tolse la mano da dietro la schiena: teneva qualcosa di nero e di cilindrico.
     - E poi – disse la ragazza, - che ci stava a fare qui, sul tavolino, una vecchia tuba? Non siamo a carnevale.


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