giovedì 17 maggio 2018

L’ARCA SPAZIALE di Adriana Alarco de Zadra

Flnjg stava fuggendo dalla Luna. Per un’imperdonabile negligenza, aveva fatto un pasticcio organico nel laboratorio della Banca di cellule genetiche in cui lavorava. Ai vermi crescevano ali da vespa, ai pesci code di ratto ed ai tucani, crine da cavallo invece di piume.  Era una pazzia lunatica.
Erano disperati i direttori della Fabbrica di Genetica per Rinnovare il Futuro Lunare, dove era localizzato il laboratorio.  Decine d’anni d’investigazione, studio e lavoro, buttati nella spazzatura per un semplice disguido di Flnjg, il giovane assistente temporale del laboratorio di genetica.
Vedendo il disastro prodotto negli animali dell’arca lunare, che non era quella di Noe, Flnjg uscì di corsa dal laboratorio, seguito dalle scimmie con le ali, conigli per metà sirene, con coda di pesci e lucertole con borse da canguro per portare i loro piccoli.  Gli esseri manipolati si muovevano attraverso i canali di ventilazione ed i tubi della manutenzione, mentre l’assistente scappava dalla fabbrica come se fosse perseguitato dal diavolo stesso. 
Pieno di vergogna e di preoccupazione per il suo atto irresponsabile, decise di rubare una nave spaziale dal porto circolare di piatti volanti, per sparire dal satellite. 
Diresse il suo volo verso il lontano pianeta Terra con la finalità di raccogliere dagli esseri che ivi abitavano con nuovi esemplari di gene non manipolati. Si mise in volo attraversando il cielo verde sotto la luce di altre diverse lune, anelli e satelliti cangianti. 
Flnjg arrivò al pianeta Terra, luogo d’origine degli animali del laboratorio che aveva rovinato mescolando cellule genetiche, razze e mangime.
Si rese conto di essere atterrato su un pianoro, vicino a degli alberi centenari di ficus, con dei tronchi grossi e rugosi, e d’eucalipto altissimi.  Avvicinandosi a una  dimora isolata, Flnjg scorse i gelsomini che si intrecciavano nelle inferriate delle finestre, intontendo col loro odore dolciastro gli insetti che ronzavano intorno.  Dei cuccioli di cane  giocavano uno sull’ altro, mentre qualche ragazzo umano contemplava le nuvole o lanciava pietre contro gli arbusti di cotone silvestre per stanare le lucertole. C’erano animali domestici tutt’ intorno.
Finalmente, Flnjg avanzò con decisione. Al vederlo, i giovani umani sospesero tutte le loro attività e rimasero rigidi a osservarlo, con evidente curiosità. Retrasse i suoi artigli feroci, come faceva quando doveva mescolare liquidi delicati nei tubi del laboratorio.  Gli servivano solo per coraggiosa difesa personale, quando doveva graffiare e combattere contro chi si azzardava ad intromettersi nel suo territorio.  Qui non apparivano necessari, e passarono inosservati.  Le prominenze sulla sua lunga testa senza capelli erano dissimulate sotto il copricapo di metallo brillante con occhiali da ingrandimento che avvicinava le immagini, gli odori ed i suoni lontani.
-   Mi chiamo Victor, e tu, chi sei? - domandò al forestiero, un giovane umano senza paura né vergogna.
Flnjg non sapeva cosa rispondere.  Aveva capito la domanda, attraverso il traduttore simultaneo inserito nel suo casco, ma non era ancora nelle migliori condizioni per spiegare a quell’essere, la sua malvagità intrinseca e spregevole come credeva lui, che invece era il suo carattere distratto e pasticcione.
-   Sono Flnjg e provengo da un satellite lontano, - disse finalmente.
-   Sei arrivato dalla Luna?
-   Questo è vero, - rispose l’extraterrestre, anche se non si azzardò a dare altre spiegazioni perché non capiva se quegli umani conoscevano l’intricata rete di trasporti e comunicazioni fra pianeti e satelliti che esisteva nel firmamento.
-   Allora, vieni con noi, a condividere la cena in casa della nonna.
-   Non voglio disturbare, anche se mi servirebbe qualche spiegazione sull’ubicazione di certi uccelli, rettili e mammiferi che abitano in colline e vallate.
-   La nonna sa molte cose e può spiegarti quello di cui avresti bisogno.
-   Bene.
- Mi puoi dire se questa è l’ora di portare invitati a casa della nonna, birichino? - ammonì dalla porta una vecchia donna dalla pelle scura, osservando lo sconosciuto che arrivava assieme al ragazzo.
- Deve avere una fame da lupo, - spiegò Victor. - Non vedi com’è magro?
- Dovrà prima lavarsi bene quelle mani che sono verdi di sporcizia e togliersi pure quel cappello che ha in testa, se deve sedersi a tavola.
- Non è un cappello, Ignazia, invece è un casco.
- Toglietegli il casco, allora.
Certamente nessuno dei ragazzi che osservavano assorti il nuovo arrivato, ebbe la sfacciataggine di togliere il casco all’ospite e lui sedette al tavolo della nonna con la testa coperta, per non spaventare gli altri con i suoi gonfiori e prominenze.
-   I miei nipoti assicurano che lei proviene dalla Luna, - affermò la nonna, dopo aver salutato in forma circospetta il forestiero di colore verde e squame  cangianti. Questi aveva convenientemente adattato il rice-trasmettitore e traduttore simultaneo nel suo casco, per cui la conversazione con gli estranei poteva svolgersi normalmente.
-   Così è, mia signora, - rispose Flnjg con educazione, - ma di una Luna più lontana che questa vostra vicina.
-   Quale circostanza lo porta qui sulla Terra?
-   Sono arrivato per studiare la fauna della regione, - affermò con serietà.  Non voleva dare spiegazioni di quanto accaduto nel laboratorio della Fabbrica di Genetica per Rinnovare il Futuro Lunare.  Si sentiva troppo colpevole davanti a quelle persone così ingenue.
Prima di finire la cena, apparve la piccola Rosaura con una lucertola presa dalla coda, fra le dita, che si dondolavano cercando di fuggire.
-   Ecco qui, signor Lunatico.  Ho portato questa mia amichetta per lei.
-   Non devi chiamarlo lunatico, - interrupe la nonna.  - Non è di buona educazione far menzione ai luoghi d’origine delle persone. Poi, qui ha il significato che vuol dire non essere con la testa a posto.
-   Veramente, non deve essere con la testa a posto, giacche non si toglie il casco, - rispose la ragazzina che non aveva capito il vero senso della spiegazione.  Poi scappò verso il giardino, lasciando la lucertola sulle mani del commensale.
Vedendo il suo imbarazzo, Victor lo aiutò e mise il piccolo rettile dentro una scatola vuota dove fece qualche buco perché potesse respirare.  Poco dopo arrivò Claudio con una vipera, uno scorpione e diversi ragni dentro una cesta di vimini.  Flnjg saltò dalla sedia e decise che erano velenosi, per questo li coprì immediatamente con un tovagliolo per non lasciargli scappare.  Non seppe più cosa fare quando Ignazia portò due galline dal pollaio e un coniglio.
-   Lasciatelo finire di mangiare! - ordinò la nonna, ma altri nipoti entravano in casa tirando dalla corda un asino dopo averlo legato ai ganci conficcati nei grossi alberi di ficus dell’entrata, assieme a due cavalli ed una giumenta.
-   Per quale ragione avete portato Nerone, Caligola ed India, se non sappiamo se vuole andar a cavallo! - insistette la nonna infastidita.
-   Così può studiare la fauna della fattoria, nonna, - rispose il malizioso Victor con decisione. Voleva in realtà vederlo cadere dal cavallo, perché la giumenta era una delle più selvagge del recinto e soltanto lo zio Emilio era riuscito a cavalcarla.
-   Manca soltanto che portiate la mucca da latte e le pecore che abbiamo appena tosato perché lo zoologico sia completo!
-   Mangia un po’ di questo miele, amico lunare. Lo fanno le api qui dietro la casa.  Se vuoi ti portiamo a vedere il favo.  Certo che non dovesti aver paura che ti pizzichi l’ape, con quel cuoio che hai addosso, - osservò il più piccolo.
-   Ti potresti portar via l’ape regina assieme ad altre per studiare se possono fabbricare del miele sulla Luna! - raccomandò Claudio
-   T’immagini come deve essere il miele lunare?
-   Stupendo, ragazzo!
Flnjg non si era mai sentito così oppresso dalle circostanze.  Non sapeva come portare almeno qualcuno di quegli animali fino alla sua astronave per trasportarli poi  sul satellite.  Decise che la cosa più facile era scambiare quelli  più piccoli e più  agevoli da trasportare, per qualche oggetto che non avessero sulla Terra.  Immaginò che gli umani dovessero avere molte deficienze come il fatto di non poter comunicare facilmente col resto del loro mondo, di non riuscire a volare da soli, di non essere in grado di cambiare il clima come più conveniva, perciò decise di barattare la fauna con un apparecchio.  Quello che aveva in mente, produceva, a volontà, l’arcobaleno, la pioggia nel luogo specifico ed in quantità da regolare. Così poteva aiutare quella nonna ad annaffiare le coltivazioni nei tempi di siccità portando o allontanando le nuvole dal cielo.  Poteva alzare i venti e riuscire a far funzionare il mulino a vento che produceva troppo poca energia necessaria per la casa.  In questo caso, di notte, avrebbero potuto accendere luci invece di candele.  
Subito i ragazzi risposero che non era sufficiente pagamento per gli animali, anche se il forestiero indicava soltanto i più piccoli, quelli che entravano nelle ceste, nelle gabbie e nei recipienti.  Volevano scambiarli per l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, il Braccio e la Testa di Orione, la Croce del Sud ed un tratto della Via Lattea.
Flnjg si accorse delle difficoltà di quella richiesta. Non aveva immaginato che i ragazzi potessero desiderare di dare un valore monetario agli astri, di sfruttare i crepuscoli ed organizzare i raggi ed i tuoni per approfittare del cielo e dei suoi fenomeni, tutte entità immateriali e irragiungibili  per loro fino a quel giorno, se non con giochi di fantasie infantili. A lui interessava ritornare al suo pianeta e ricostruire il laboratorio distrutto nella Fabbrica, con gli animali che avevano racimolato i nipoti della signora.
La nonna considerò che una forma di piogge e venti locali, prodotti schiacciando qualche bottone, fosse un buon pagamento per una cena ed un po’ di esemplari faunistici, in quel luogo lontano dalla civiltà, perché avrebbe potuto così annaffiare i campi quando voleva, qualche mese in più l’anno, secondo le semine.  Poi c’erano altri vantaggi e meraviglie. 
Il forestiero fuggitivo diede l’apparecchio alla nonna, la quale volle immediatamente far apparire cinque arcobaleni in cielo, anche se era quasi l’ora di dormire, per gran felicità e gioia dei nipoti, della vecchia cuoca Ignazia e della mano d’opera locale che ormai non si sorprendeva più dei prodigi che succedevano ogni momento nelle vicinanze della fattoria. E, finalmente, dopo aver caricato galli, galline e quasi tutto il pollaio assieme a maiali, cavalli, mucca e diversi insetti, videro l’arca spaziale  alzarsi in volo e dirigersi verso il suo mondo lontano.
        

 

 

1 commento:

  1. Grazie, Paolo, spero che piaccia ai tuoi lettori e spunti qualche sorriso...

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