giovedì 4 aprile 2013

IN SANGUINE SALUS di Giuseppe Novellino




     Gli esami del sangue rappresentano, per me, un’autentica scocciatura. Io non sono di quelli che s’impressionano; non faccio parte del gruppo degli ipocondriaci, e tanto meno dei fobici che si tengono lontani da ospedali e da ambulatori per paura di scoprire qualche malattia incurabile. Quando l’analisi mi viene prescritta, vivo solo una specie di molesto disagio: non mi va di attraversare, a digiuno, mezza città e tornare a casa dopo tre o magari cinque ore.
     Ma l’ultima volta non ho sopportato un fastidio. Ho fatto un’esperienza davvero inquietante. E poiché nessuno mi vuole credere, ho deciso di liberarmi da quell’impressione angosciosa, mettendo sulla carta il resoconto di ciò che mi è capitato.
     Non ricordo come fossi venuto a conoscenza dell’ambulatorio gestito dalla Cooperativa “La Spiga”. Sotto la dicitura appariva il motto: “In sanguine salus”. La descrizione del servizio, poi, era dettagliata, prometteva efficienza e professionalità. Si trattava, insomma, di un’iniziativa privata tendente ad alleggerire il lavoro dell’Azienda Sanitaria Locale… Ma soprattutto dichiarava di voler venire incontro ai pazienti. E poi era a due passi da casa mia.
     Mi diedero appuntamento per le otto.
     - Fissiamo un orario preciso per ogni singolo paziente – mi aveva detto una gradevole voce di donna, per telefono. – Non dovrà fare alcuna coda. Nel giro di quindici minuti avrà finito. Pensiamo noi a consegnare al Laboratorio dell’ASL i campioni di sangue e di urina. Naturalmente il servizio è a pagamento. Costa dieci euro.
     Era un buon prezzo per evitare attese snervanti.
     Quel mattino, misi in tasca l’impegnativa e mi recai presso il suddetto ambulatorio.
     L’ascensore mi scaricò davanti all’ingresso, al sesto piano. Mi colpì subito, appeso sulla porta, l’austero motto in latino.
     L’interno era sobrio, accogliente, ma piuttosto freddo. I caloriferi appena tiepidi.
     Nell’atrio c’era una specie di reception con sportello. Una donna magra (dalla voce sembrava l’addetta che mi aveva parlato per telefono) mi accolse con un gentile sorriso.
     - Buongiorno! È lei il signor Volcic?
     - Sì.
     - Mi fa vedere l’impegnativa?
     Gliela misi davanti.
     Scrisse qualcosa e poi mi fece accomodare nella saletta, un locale poco luminoso, arredato con otto sedie e un divanetto. Sulle pareti, la frase riproponeva il suo messaggio: “In sanguine salus”. Era riprodotta su quattro targhette d’un grigio irregolare come quello di un cielo nuvoloso. In ognuna spiccavano, in caratteri gotici, le tre parole d’uno rosso intenso.
     - Venga, signor Volcic – mi invitò la donna, dopo brevi istanti.
     Entrai nella stanza dei prelievi, dove mi aspettavano due giovani uomini in camice bianco. Mi colpì la loro magrezza, come quella della donna che mi aveva accolto.
     Uno dei due mi si avvicinò. Era bianco in un volto affilato, come il suo indumento di lavoro. Con estrema gentilezza mi disse:
     - Si segga… e scopra, per cortesia, il braccio sinistro.
     Fece la sua operazione con grande cura, direi quasi religiosa.
     Poi soggiunse:
     - Adesso preleviamo anche dal destro.
     Mi sembrava insolito.Volli obiettare, ma le parole mi rimasero in gola.
     L’altro operatore, infatti, mi stava già slacciando il polsino della camicia. Chinato su di me, introdusse l’ago. Io, prima di svenire, notai la ormai nota scritta sopra il taschino del camice.
     Poi mi ritrovai in sala d’aspetto, sdraiato sul divano.
     - Si sente meglio? – mi chiese la donna.
     Una grande stanchezza si era impossessata di me. Volevo chiedere spiegazioni, ma mi mancavano le forze. Ero in preda a una strana apatia.
     - Vuole che le chiami un taxi?
     - No, grazie – feci, alzandomi con grande sforzo. Non volevo il loro aiuto. Desideravo semplicemente andarmene da quell’ambulatorio. Lottando contro un violento capogiro, mi apprestai ad uscire.
     La donna mi allungò un foglio con l’intestazione della Cooperativa “La Spiga” – Dopodomani, da mezzogiorno alle quattro, potrà ritirare il referto presso l’ufficio dell’azienda sanitaria.
     Presi il foglio, lo piegai e mi avviai barcollando verso l’atrio.
     - Non si preoccupi - fece la donna alle mie spalle. – A qualcuno capita di svenire, durante il prelievo.
     A me sembrava strano e mi chiesi quanto sangue mi avessero estratto.
     Prima di uscire, voltai lo sguardo verso lo sportello, dove la donna si era nuovamente collocata. La vidi farmi un cenno di saluto, strizzarmi l’occhio e alzare (come per un brindisi beffardo) un bicchiere contenente un denso liquido rosso. E bevve.
     Uscii.
     Lascio a voi tirare le somme.
     Vi basti sapere, oltre ai fatti, che quando andai a ritirare i miei esami, ebbi una sorpresa sconvolgente. I campioni non erano mai pervenuti. Né gli operatori dell’azienda sanitaria avevano sentito parlare della Cooperativa “La Spiga”.
     Allora mi recai di nuovo in quella casa. All’ingresso non c’era nessuna targhetta che indicasse l’ambulatorio dei prelievi… Salii con l’ascensore, e quando fui sul pianerottolo del sesto piano, davanti alla stessa porta, vidi che vicino al campanello spiccava un nome: Prof. Ildebrando Sanguineti.
     Suonai. Venne ad aprirmi una donna di servizio, rubiconda e tracagnotta, alle cui spalle c’era un atrio del tutto diverso da quello che mi aveva accolto due giorni prima. E seppi da lei che il professore, ordinario di latino e greco presso il Liceo Classico “Cesare Cantù”, non era in casa.
     Non chiesi altro e me ne andai.
     Ci sarà qualcuno, tra coloro che leggeranno questo mio resoconto, disposto ad aiutarmi a capire che cosa mi sia successo?
     (Per gentile concessione dell’Autore)






3 commenti:

  1. Davvero un bel racconto, quanto a suspence e colpi di scena. Avvincente e molto ben scritto.

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  2. Molto avvincente, simpatico, fa pensare a paure recondite e realizzate.

    Paola Bianchi

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  3. Poco significativo, abbastanza pesante e noioso da leggere.

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