sabato 8 agosto 2015

ALLARME A MILANO di Antonio Bellomi



        
Ieri finalmente il 'coso' è caduto. Paffete, proprio sulle nostre teste. Non È stata però una sorpresa perché quasi quasi ce lo aspettavamo. Capirete, giornali e tivù di stato non facevano altro che ripetere da giorni: “Le probabilità di caduta del ' coso' sull'Italia sono infinitesime...” be', forse non lo chiamavano il 'coso', ma per me È sempre il coso e basta. Così dicevo che ce lo aspettavamo, perché quando quelli là dicono una cosa, puoi stare certo del contrario, benzina e tasse docent.
Io ero a casa, ancora in convalescenza dopo l'operazione e a un tratto ho sentito un sibilo, un tonfo che ha fatto tremare tutta la casa e in cucina un frantumare di stoviglie. Poi l'Adalgisa, che sarebbe la mia vecchia domestica, È scappata fuori di casa gridando “Gesummaria, È caduto il COSO!” 
Non È più rientrata. C'è stato un gran via vai di sirene, e dalla finestra ho visto carabinieri e polizia che affollavano il giardinetto condominiale attorno a un bucotto screanzato, grande come un gatto acciambellato, che occupava proprio il centro geometrico del prato verde. Infine È arrivata anche la guardia di finanza, forse perché il 'coso' aveva cercato di fare il furbo e non aveva pagato l'IVA anticipata per l'importazione.
Me ne sono tornato in salotto a finire il tè che stavo bevendo, quando hanno suonato alla porta. Ho aperto e mi sono trovato davanti un mostro venuto dallo spazio. Cioè era un uomo come me, ma con addosso un tutone bianco che lo inscatolava da capo a piedi. Aveva anche il casco con la mascherina, molto Seveso style.
“Zona inquinata,” mi ha detto il figuro. “È vietato uscire e nessuno può entrare.”
“Ah già,” gli ho detto. “È caduto il 'coso', vero?”
Mi ha guardato severo e scocciato. “Questa è un'informazione riservata. Non le posso dire niente. L'avvertiremo noi quando è cessato l'allarme. Per adesso se ne stia buono, non scenda a intralciare e non telefoni a nessuno per comunicare quanto è accaduto.”
Appena se ne è andato, sono andato al telefono e ho alzato la cornetta. Figurarsi, con quello che pago di bolletta telefonica non avevo la minima intenzione di rinunciare al diritto di comunicare la novità a qualcuno. A chi, non sapevo ancora bene.
Ma la cornetta è rimasta muta. Avevano già staccato le linee. Rapidità ed efficienza. Sono tornato alla finestra e ho visto che lavoravano nel bucotto per recuperare qualcosa che era finito sul fondo. Ma c'era qualcosa che non girava per il verso giusto. Perché man mano che passava il tempo, invece di progredire coi lavori, i tecnici col camicione bianco, carabinieri e polizia, che adesso indossavano una tutina trasparente, come quelle che si mettono allo stadio quando piove, si tiravano in disparte e si erano impegnati in accanite partite, chi a scopone, chi a scacchi e chi coi videogiochi da tasca.
Questa era davvero bella. Mi sono vestito e sono sceso anch'io. In cortile nessuno mi ha fermato. Miracolo, neanche un ghisa che mi facesse cenno di circolare. E non mi ero sbagliato. Erano davvero tutti impegnatissimi in partite all'ultimo sangue. E in quanto a me, come se neanche esistessi.
Sono rientrato nell'atrio e ho guardato nella guardiola del portiere. Stava facendo le parole incrociate e manco ha alzato la testa. Ma fin qui niente di strano. Tutto regolare anzi. Quelli che mi stupivano erano i rumori che provenivano da tutta la casa. Grida gioiose, allegre, come di bambini scatenati. Solo che le voci erano di adulti.
“Pum, ti ho colpito, canaglia!” gridava il tenore del primo piano e ne ho riconosciuto la voce perché era inconfondibile.
“Ah! Tu uccidi un uomo morto!” ha gemuto flebilmente un'altra voce che non sono riuscito a identificare.
Ormai morivo dalla curiosità. Ho risalito le scale e sentivo i suoni giulivi da dietro le porte. Peccato che fossero chiuse. Mi sarebbe piaciuto vedere quelle scene. Ho provato qualche maniglia ma inutilmente. Neanche il campanello ha richiamato l'attenzione degli occupanti. Finalmente, al terzo piano, ho visto aperta la porta dello studio del commendator Guidotti, il commercialista. Ho infilato dentro la testa, ma l'ho subito ritratta, perché il commendatore e la signorina Giulia stavano giocando anche loro e non mi pareva il caso di interromperli. Giocavano al dottore, infatti.
Insomma, nello stabile sembravano tutti impazziti. Adulti e bambini si comportavano tutti allo stesso modo... come bambini, appunto, e parevano tutti divertirsi un mondo.
Effetto del 'coso'?, mi sono chiesto. Cos'avevano questi diabolici arabi, un'arma per farci tornare tutti bambini e poi invaderci senza pericoli? O che fosse un'arma destinata contro gli americani e finita fuori rotta? Ma io perché ne ero immune?
Sono sceso in strada e mi sono avviato verso il centro. La strada era intasata di auto, ma la gente folleggiava sulla carreggiata. Chi giocava a nascondino, chi a prendersi, chi a muro con le figurine che aveva comperato per il figlio.
Solo dopo un buon chilometro a piedi ho visto una specie di sbarramento con cavalli di frisia e auto della polizia e anche se il blocco stradale era ancora lontano ho capito che al di là la vita era normale.
Allora mi sono fermato. E ho pensato che il giorno dopo sarei dovuto tornare al lavoro in banca dietro lo sportello. La convalescenza era finita. E probabilmente era stata proprio l'operazione al cervello che mi aveva reso immune agli effetti del 'coso'. Ma quelli di là non lo sapevano.
Nossignori. Non sapevo se il 'coso' caduto fosse davvero il 'coso' degli arabi o qualche diabolica meteorite extraterrestre carica di spore che aggredivano il cervello umano, ma sapevo con sicurezza che mi sarebbe piaciuto tornare per qualche giorno ancora bambino.
Così sono tornato indietro, sono risalito in casa e ho tirato fuori il trenino elettrico che avevo comprato a mio figlio tanti anni fa, prima che si sposasse.
E adesso mi sto divertendo come un matto anch'io in attesa che arrivi qualcuno e mi dica di smetterla di fingere di fare il bamboccio e di tornare alle cose serie.

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