venerdì 21 giugno 2013

LA PRINCIPESSA di Massimo Licari


Faccio il tassista da anni e ne ho viste di tutti i colori.
Ho scelto di lavorare di notte perché il traffico di giorno mi fa impazzire. E poi, così, riesco ad avere diverse ore libere durante la giornata che posso dedicare alle mie cose.
Mi è capitato di portare a casa ubriachi, prostitute, donne che piangevano e vecchi che si erano perduti nella grande città.
Ma quello che mi è successo la settimana scorsa, non lo dimenticherò mai più.
Non sono riuscito a raccontare a nessuno questa storia e ho fatto fatica a decidermi di scriverla sul blog.
Alla fine mi sono convinto perché qui non mi conosce nessuno, se non per nome, e difficilmente qualcuno potrà associare il mio nome al taxi che guido.
Forse è un atteggiamento un po' vigliacco, ma non voglio che la gente mi indichi quando mi vede dicendo:
«Ecco il visionario».
Non sono un visionario, lo giuro, e non bevo mai quando guido.
Sono un tassista serio, io.
Beh, martedì scorso, la centrale passa una chiamata.
«Corso Lodi 52, corso Lodi 52».
Mi trovo in viale Umbria, così decido di prenderla io.
«Rosso 32 per corso Lodi 52».
«Avanti rosso 32».
«Cinque minuti e sono lì. Chiudo».
Imposto il tassametro e mi avvio verso la mia destinazione.
Ricordo benissimo l’ora: le tre e zero tre del mattino.
Arrivo a destinazione e vedo, accanto al bar Re Artù una coppia che aspetta.
Lui un tipo sulla trentina, maglietta e jeans, lei, invece, una bellissima donna, che sembrava più vecchia di lui, forse sui quaranta, ma decisamente affascinante.
Bruna, con uno chignon tenuto fermo da una rosa bianca e dei pendenti che brillavano nella notte. Aveva un lungo vestito da sera, con un generoso spacco che lasciava intravedere lunghe gambe bianche e affusolate, rese ancora più lunghe dai sandali con tacco a spillo.
Aveva delle movenze che non riesco a definire in modo diverso da donna nobile.
Rimasi affascinato a osservarla mentre si avvicinava con il suo compagno alla macchina.
Di notte, a meno che i clienti non abbiano delle valige da sistemare nel bagagliaio, preferisco restare in macchina ad aspettare che salgano. Mi sento più protetto.
Come ho già detto, ne ho viste di tutti i colori.
Insomma, lui si avvicina allo sportello, lo apre e lei si accomoda. Richiude, fa il giro della macchina e sale dall’altra parte.
«Buona sera. Ci porti in corso XXII marzo,» mi dice lei.
«Benissimo,» mi limito a rispondere. Sono cinque minuti di strada, ma a quest’ora meglio di niente.
Inserisco la marcia e parto.
In tanti anni di lavoro ho imparato che a volte i passeggeri hanno voglia di parlare, soprattutto se sono soli. Quando invece sale una coppia, raramente vogliono essere disturbati. Si mettono a parlare sottovoce e ti escludono completamente dalla loro vita.
Così ho messo della musica in sottofondo, giusto per rendere più confortevole il loro e il mio viaggio.
Lui doveva aver bevuto parecchio. Li riconosco al volo quelli come lui. Pieni come otri, un po' instabili nel camminare, ma che cercano di darsi contegno. Molto diversi da quelli che cominciano a fare casino in mezzo alla strada fermando le auto che passano.
«Dove mi porti?» chiede lui mentre giro a sinistra per andare verso il centro città.
«Andiamo a prendere la mia auto e poi ti porto a casa mia,» dice lei.
«Wow, che bello! E dove abiti, principessa?»
«Fuori città, poi vedrai.»
«Sei davvero bellissima,» gli dice lui.
Lei non dice nulla.
«Che ci facevi sola soletta al bar?” chiede lui dopo qualche istante di silenzio. Non so se l’alcol sta salendo o se si sta lasciando andare perdendo quel minimo di contegno che ha cercato di mantenere, ma le ultime parole sono quasi biascicate.
«Ti stavo aspettando,» dice lei.
Lui fa una risatina che ha una nota stridula.
Decisamente, l’alcol sta salendo.
Svolto a sinistra e sono arrivato a destinazione. Accosto sulla destra e blocco il tassametro a quindici e cinquanta.
«Tieni pure il resto,» mi dice il tizio porgendomi una banconota da venti.
«Questa è la mia serata fortunata. Ho una principessa tutta per me,» aggiunge.
Lo sento armeggiare con la maniglia e, dopo qualche tentativo andato male, riesce ad aprire lo sportello.
La tentazione è forte e non riesco a resistere, così sposto leggermente lo specchietto retrovisore per vedere la donna che sta aspettando che lui le apra lo sportello.
Un singhiozzo mi blocca il respiro.
Quella che vedo nello specchietto non è la ragazza con lo chignon e la rosa bianca, ma una vecchia canuta e spelacchiata.
La pelle del viso è coperta di piaghe e rughe e i denti sono neri e appuntiti.
Ha uno sguardo malvagio che, quando incontra il mio, mi fa letteralmente trasalire.
«Oddio!» vorrei dire, ma un nodo alla gola mi impedisce di articolare qualsiasi suono.
Lo sportello si apre e lei scende.
Li vedo dirigersi a braccetto verso una macchina dall’altra parte della strada.
Lui è malfermo sulle gambe, lei è di nuovo bellissima con lo chignon e la rosa bianca.
«Forse ho avuto un’allucinazione,» penso.
E continuo a pensarlo fino a giovedì, quando nella cronaca leggo di un tizio che è stato trovato morto in mezzo a un campo. Hanno scritto che probabilmente qualche animale gli ha mangiato la faccia. Io credo di sapere com’è andata veramente.
Ma a chi posso raccontare questa storia?

3 commenti:

  1. Racconto avvincente e pieno di suspense. Piacevole scrittura.

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  2. Un altro classico tema orror, ben sviluppato, con una scrittura lineare e asciutta che lascia intravvedere, tra le righe, il carattere dei personaggi. La situazione è tipica, mi pare di aver assistito anch'io a una scena come questa, una o due volte... Per fortuna non leggo spesso i giornali locali.

    Sauro Nieddu

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  3. Scorrevole, ben scritto e pieno di attesa. Un racconto che mette addosso una certa inquietudine.

    Giuseppe Novellino

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