martedì 16 gennaio 2018

IL GIARDINIERE di Peppe Murro

Da bambino guardavo incantato le notti stellate, avevo sempre sognato di andare lassù, da qualche parte del cosmo. Ed ora il sogno si era avverato, ma guardavo le mie mani rinsecchite, sentivo su di me il peso di anni indecifrabili. Perché? E dove, da qualche parte, c’era qualcuno con cui poter parlare, magari di quelli che avevo conosciuti… sapevo che erano pensieri sciocchi ed inutili.
Stavo lì, dentro quel globo trasparente a guardare un diverso cielo, ad osservare le due lune che splendevano a distanza, una rossa, l’altra bluastra. Stavo lì, in compagnia di quelli che avevano viaggiato con me: avevo messo i loro cadaveri nelle urne criogeniche se mai qualcuno fosse venuto ed avesse cercato di capire. E di capire pure come mai solo io fossi rimasto lì, a dispetto degli anni e dei raggi cosmici.
In questo gioco ad incastro della gravità, beffardo e misterioso, le albe ed i tramonti si susseguono come a rincorrersi in un balenio continuo di luce e tenebre: ti squassa occhi e pensieri questo balletto parossistico delle lune. Non so quali altri effetti produce su di noi, non l’ho mai saputo né voluto sapere, in fondo io dovevo fare solo il giardiniere, sia pure laureato. Sì, forse è meglio riderci sopra…
La sola cosa che mi pare importante da sottolineare è che questo aspetto del pianeta, dopo appena un mese terrestre che eravamo qui, aveva prodotto effetti devastanti: litigiosità e nervosismo, malesseri improvvisi…fino a quando si è arrivati a chiudersi ognuno nel proprio cubicolo, tralasciando ogni protocollo della missione.
E un giorno, quel giorno…
Ero uscito con grandi sforzi per la solita inutile e faticosa esplorazione della desolazione del pianeta. Quando sono tornato mi ha accolto un silenzio greve, nonostante tutte le luci fossero accese. Avvicinandomi ho visto che la porta stagna era aperta e mi sono subito allarmato; sono entrato e, in un brulicare di luci e qualche pannello fumante, ho visto chiazze di sangue dappertutto: i mie compagni erano tutti in un lago di sangue, Herman brandiva ancora nella mano un grosso tubo di ferro, Jodie era riversa a terra come una bambola spezzata, a testa in giù. In un angolo, con la faccia sfracellata c’era Sid, il più giovane di noi.
Non ricordo bene cosa ho fatto, o forse non voglio ricordare: credo d’aver chiuso la porta stagna e rimesso atmosfera nel locale,
Sì, ogni altra cosa è da dimenticare: qui fuori ci sono tre tumuli impolverati dal vento come sola testimonianza di quanto è successo. E poi ci sono io, da quanto tempo non lo so più. Le trasmissioni verso la terra sono finite da un pezzo, come pure la speranza che venga un aiuto qualsiasi.
Sono solo, Guardo le lune e do un nome alle costellazioni, come facevo da ragazzino, mentre guardavo, sognando il cielo stellato.
Sono qui. Invecchio qui, lungamente. E qui morirò.  
Tra poco aprirò la porta stagna, ed uscirò, da uomo, senza difese…io, “il giardiniere”.
Chissà se muore davvero chi sogna guardando le stelle?

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