lunedì 16 settembre 2013

I DUCI DI PRONIXX 12 di Antonio Ognibene



Decine di cosmonavi interplanetarie sbarcavano su Pronixx 12 una moltitudine di giornalisti provenienti dal pianeta Terra e da altre colonie terrestri. Le sale Teletrasporto materializzavano decine di esseri umani al minuto. Nemmeno all’inaugurazione della colonia penale di trent’anni prima si erano visti tanti corrispondenti.
La sala conferenze era esaurita in ogni ordine di posto. Si dovevano organizzare diverse sessioni per poter soddisfare tutti gli inviati.
Il segretario generale della colonia penale, sull’asteroide Pronixx 12, lesse l’oggetto della conferenza stampa straordinaria, poi iniziarono le valanghe di domande.
Il responsabile generale dei dodici penitenziari era il Direttore 08, rappresentante delegato, autorizzato a rispondere alle miriadi di informazioni da parte degli inviati. Di fianco a lui, erano seduti gli altri undici direttori.
Direttore 08 ‒ domandò uno dei tanti giornalisti mandati sull’asteroide ‒ come le è venuta in mente questa idea?
Il direttore finì di pulirsi gli occhiali da sole, con calma.
La colonia penale soffriva da anni di sovraffollamento ‒ spiegò Bryon Lockhart ‒ le entrate superavano di gran lunga le uscite.
Mi scusi, può essere più chiaro ‒ intervenne un reporter ‒ cosa intende per entrate e uscite?
Beh, mi sembra chiaro ‒ disse Lockhart con un sorriso deformato ‒ entrate, uguale accesso di nuovi detenuti. Uscite, uguale esecuzioni dei condannati a morte. Poi ci sono i soliti casi di decessi per cause naturali, ma non bastano per il depennamento.
Lockhart fece una pausa, si stava stirando un baffo brizzolato e ingiallito dalla nicotina.
Dopo aver ascoltato i pareri dei miei colleghi, circa tre anni fa mi è venuta l’illuminazione di organizzare una corsa tra i detenuti del braccio della morte, quelli condannati all’ergastolo e tutti gli altri ospiti delle carceri che vi avessero voluto partecipare. C’è voluto un po’ per perfezionarla e renderla esecutiva, ma ne è valsa la pena.
Direttore 08, ci risulta che per i condannati a morte e gli ergastolani l’iscrizione sia obbligatoria, conferma? ‒ chiese un altro giornalista.
Proprio così.
Non le sembra una coercizione tirannica, tutto questo? ‒ domandò una bella biondina, inviata dall’Heisenberg Post.
Che parolone. ‒ disse, ridendo a denti stretti. ‒ No, perchè sarebbero dovuti morire comunque, prima o poi. In questo modo invece, chiunque dovesse riuscire nell’impresa otterrebbe l’amnistia e una nuova vita come colono su Mlaflag-T. In questa gara non conta arrivare primi, ma arrivare, è chiaro?
E' un’impresa impossibile. ‒ disse un giornalista del Moon Journal.
Non è impossibile. ‒ rispose Lockhart. ‒ Ardua, ma non impossibile. ‒ Teneva una stilografica d’oro tra le mani, e la rigirava tra le dita ossute.
Quindi si tratta di una vera e propria prova di sopravvivenza? ‒ chiese l’inviata dell’Heisenberg Post. Il direttore osservò la ragazza con occhi socchiusi e acquosi. Lei non distolse lo sguardo. Lockhart sbuffò col naso.
Esatto. Uno slalom tra i blocchi di ghiaccio dell’Anello Bianco.
è un metodo alquanto drastico. ‒ intervenne il rappresentante del Quantum.
Ma pratico. ‒ rispose Lockhart, infilandolsi la stilografica nel taschino della giacca. ‒ E non infrange alcuna norma, in quanto Pronixx 12, come pianeta di detenzione autonomo, è fuori dalla giurisdizione terrestre.
A me sembra piuttosto un suicidio di massa. Gli statisti hanno calcolato che esistono remote possibilità di riuscita. ‒ disse un giornalista.
Audaces fortuna iuvat. ‒ rispose Lockhart lisciandosi l’altro baffo.
Ci può spiegare il funzionamento e le regole di questa singolare competizione? ‒ Altra domanda.
Di regole ne esistono solo due ‒ Lockhart alzò il dito indice ‒ Primo: non è previsto il ritiro se non a causa di incidente mortale. Chi, durante la corsa, dovesse pentirsi e tentare di uscire dall’Anello Bianco, verrebbe disintegrato all'istante dai dispositivi Anti-efflusso, i quali orbitano poco fuori dalla fascia, attorno al pianeta.
Poi alzò anche l’anulare. ‒ Secondo: ogni detenuto deve auto-costruirsi il mezzo con cui tentare di affrontare e uscire indenne dall’Anello Bianco. Per l’assemblaggio e il collaudo, i ragazzi hanno due periodi di tempo. Per il resto la gara è senza esclusione di colpi.
Cane mangia cane. ‒ disse uno del Nightcrawler.
Viviamo in un modo crudele. ‒ ribattè Lockhart, con un sorriso mefistofelico.
Signori, temo che questo sia tutto. ‒ Il direttore si alzò in piedi e salutò gli astanti con un cenno del capo. Uscì da una porta scorrevole seguito dagli altri direttori, mentre le domande dei giornalisti si mescolavano fino a impastarsi in strilli confusi.
Quello è uno psicopatico ‒ disse un giornalista ‒ dovrebbero mandarci lui a fare slalom nell’Anello.


Yul Cobrax si era scelto una carrozzeria particolare appartenuta a un’automobile della prima metà del ventesimo secolo, quando ancora ci si spostava su ruote. La lamiera azzurra era ancora in buono stato, tanto che erano presenti pochissime macchie di ruggine, però non si riusciva a risalire alla marca originaria. Forse una Buick. Cobrax l’aveva scelta dal catalogo on-line di Ramon Ramirez, un proprietario di mezzi d’epoca che gestiva un museo sulla Terra e forniva in esclusiva le carrozzerie e il materiale meccanico a tutti i piloti. Per questo, si doveva ringraziare il Fondo Cassa Detenuti di Pronixx 12, che finanziava i partecipanti alla corsa.
Il telaio però, era del tutto diverso da quello di quasi centocinquant’anni fa. Sotto i parafanghi non ci sarebbero stati pneumatici ma stabilizzatori Conley e nel vano motore un endorazzo al posto dell’anacronistico propulsore termico, andato in pensione da oltre novant’anni. Ma la chicca tecnologica era il modulo Gravitax, anche se era solo la versione basic.
Mancano poche settimane alla corsa ‒ disse Remo Drabek ‒ e non hai ancora montato il modulo Gravitax.
Non ho fretta. ‒ rispose Cobrax disteso sulla branda dell’officina, con le mani dietro la nuca.
Se lo dici tu. ‒ Remo Drabek era imbrattato di grasso fino agli avambracci. ‒ Intanto gli altri sono tutti a buon punto.
Cobrax rimase in silenzio.
Mi domando cosa diavolo stai aspettando.
Quisling mi deve procurare un paio di cose. ‒ disse Cobrax.
Chi?
Quello del Braccio 19. Aspetto dei tubi elettronici e un paio di robotrotter. Tu a che punto sei, invece?
Domani inizio il collaudo.
Ci fu una pausa di silenzio, si sentiva solo il ronzio delle turbine della vicina centrale I.B.K.
Credo che tu stia facendo un errore madornale, Yul. Io sono un ergastolano e mi gioco il tutto per tutto, ma a te restano diciotto anni, non sono uno scherzo, lo so, ma... se fossi in te non rischierei.
Ad essere sincero ‒ continuò Drabek ‒ non credo che uscirai vivo dal Grande Anello.
Senti Drabek, ne abbiamo già parlato, sono giovane e ho ancora tanti progetti. Non voglio marcire in questo posto per i prossimi vent’anni, chiaro? ‒ Disse seccato Cobrax.
Ho un piano. Non ho nessuna intenzione di fare il colono su un pianeta per agricoltori, e poi ho promesso ai ragazzi che sarei tornato.
A quelli del Vulnus? ‒ Drabek si fece una risata. ‒ Chissà se si ricorderanno di te, dopo due anni.
Ero il loro capitano. E abbiamo un accordo. Sono uomini d’onore.
I pirati non hanno onore. ‒ disse con sdegno Drabek.
Cobrax scattò in piedi raccogliendo da terra una chiave Brandolph. Drabek si alzò d’istinto dal cofano e si riparò la faccia con le braccia unte, sporcandosi la pelle.
Basta, basta! Lasciate che ad ammazzarvi ci pensi il Grande Bianco.
Lo hai sentito Hinrik? Ha detto che...
L’ho sentito, l’ho sentito. ‒ disse il vecchio dalla pelle color mogano. ‒ E tu ti scaldi per così poco? Al diavolo ragazzi! ‒ Sid Hinrik sorrideva a entrambi, tenendo in mano la sua vecchia pipa di ciliegio.
Non ti approfittare della nostra amicizia. ‒ disse duro Cobrax. Gettò la chiave per terra e uscì dall’officina.
Drabek tornò con le mani nel grasso, chiedendosi che cosa avesse in mente Cobrax.
Yul Cobrax si sedette al suo posto abituale in sala mensa. Nel vassoio c’era la solita sbobba scura che offriva la cucina del carcere.
Ti va di fare a metà? ‒ chiese sorridendo un detenuto dai capelli ricci e cremisi, mentre si sedeva di fronte. ‒ Io ti do un po’ della mia broda e tu un po’ della tua.
Quisling. ‒ disse Yul. ‒ Hai procurato quel che ti avevo chiesto? ‒ chiese Cobrax senza staccare gli occhi dal vassoio.
è roba pericolosa quella. Per adesso ho solo i tubi elettronici, per i robotrotter ho bisogno di tempo.
Quisling si guardò intorno, non voleva che altri orecchi captassero le sue parole.
Entrare nel laboratorio S.T.I. non è per niente semplice. ‒ continuò, parlando a bassa voce. ‒ Senti... dovrei avere la roba per dopodomani.
Bene ‒ disse Yul.
Quisling giocherellava con il cucchiaio nel liquido denso.
Quando conti di assemblarli? ‒ chiese.

Nella cella quattordici, Drabek se ne stava disteso con gli occhi chiusi sulla branda superiore.
Senti, Yul ‒ disse ‒ mi dispiace per quelle offese, giù in officina.
Ho in mente un piano di fuga, Remo.
Ci fu un attimo di silenzio.
Un piano di fuga? ‒ ripetè Drabek.
Mi sono fatto procurare del materiale sottobanco dalla Sala Trasporti Istantanei. Quisling ha un buon aggancio là dentro. Da uno che gli deve dei favori.
Dag Quisling? Quello di cui mi parlavi in officina?
Prima di finire in quella dannata trappola magnetica, su 354 Yol e venire catturato dalle Guardie Kupleriane e prima ancora che il nostromo del Vulnus facesse esplodere le mine per garantire la fuga al resto dell’equipaggio, mi spiegò come costruire un Localizzatore Bet.
Fu una missione rischiosa. Ebbi la peggio io. Mi promise che sarebbero tornati a riprendermi quando sarebbe stato possibile intercettare il segnale del Localizzatore.
Ah, andò così lassù ‒ disse Drabek ‒ comunque il Localizzatore non ha la potenza di farti individuare dentro una cella e nemmeno sulla superficie di questo schifoso asteroide. ‒ disse Drabek.
Degli informatori sapevano già due anni fa della corsa. Erano al corrente che si sarebbe disputata dentro il Grande Anello.
Mh. Da quel che ne so, oltre al Localizzatore Bet, serve anche un ripetitore che faccia da ponte. ‒ fece Drabek.
Il nostromo mi disse che avrebbero provveduto a lanciarne uno camuffato da lattina di Coca, dentro la discarica di rifiuti su Debris, il satellite di Pronixx.
Drabek si mise a ridere.
Il Vulnus opera sempre nel settore del VII Conglomerato Stellare, il segnale ha un raggio d'azione abbastanza potente da arrivare a coprire tutta quell'area.
Quante sono le probabilità di successo? ‒ chiese Drabek.
Il settanta per cento, forse di più. Mentre la percentuale di sopravvivere alla corsa è del sette, otto per cento.
Basterebbero solo dieci minuti per permettere agli operatori del Vulnus di localizzarci, e teletrasportarci subito da dentro l'abitacolo dei nostri endorazzi.
Dieci minuti in mezzo ai blocchi di ghiaccio dell'Anello Bianco non sono uno scherzo. ‒ disse Drabek.
Io dico che basteranno, devono bastare. Allora, che ne dici?
Beh, non ho niente da perdere comunque, ma se il tuo piano concede possibilità maggiori di sopravvivenza, credo proprio che... ‒ Drabek non fece in tempo a finire la frase.
Domani dirò a Quisling di procurarmi altro materiale.
Ti fidi di Quisling? ‒ chiese Drabek.
Certo. Gli ho promesso che lo avrei portato con me sul Vulnus.
I partecipanti erano stipati nell'arena in attesa del discorso da parte di Bryon Lockhart. Dopo un paio d'ore, l'ologramma del direttore si materializzò sul palco. Yul Cobrax e Remo Drabek erano seduti uno di fianco all'altro, un paio di gradinate più sotto, stava Dag Quisling. Non si girava mai verso i suoi compagni di fuga per non destare troppi sospetti, il posto era pieno di videocamere ad alta definizione e amplificatori audio installati sotto tutti i sedili. Ogni detenuto, erano oltre quindicimila, aveva puntati addosso sguardi elettronici e sensori ultra-sensibili alla percezione di suoni e rumori. Tra i prigionieri assiepati sulle gradinate, passavano inosservati falsi carcerati che in realtà erano spie infiltrate della Guardia Kupleriana e della Polizia Segreta. I tre preferivano non fidarsi di nessuno e dovevano agire con estrema cautela.
Sembra di essere a una finale dell'NKKA. ‒ disse Drabek.
Scommetto tutti i bottini conquistati dal Vulnus che non se ne salverà nemmeno uno di questi poveri disgraziati. ‒ commentò Cobrax.
Lockhart appariva in tutta la sua pomposità. In testa portava un cappello nero a tesa larga in stile cow-boy, che faceva ombra agli occhiali a specchio che cavalcavano il naso affilato. Come al solito, aveva la tendenza a lisciarsi i folti baffi brizzolati e ingialliti da anni di nicotina. Indossava un soprabito dello stesso colore del cappello e lungo fino ai piedi. Più che un direttore di penitenziario, sembrava il protagonista cattivo di un vecchio film western.
Il suo discorso durò mezz'ora scarsa e poi augurò, con un sorrisetto falso e ironico, buona fortuna a tutti.
Quello ci prende per i fondelli. ‒ osservò Drabek.
Non c'era un vero e proprio schieramento di partenza, gli endorazzi erano ammassati in modo disordinato, nella sabbia azzurra del Grande Cratere Deserto in attesa del via. Al segnale, i mezzi sarebbero saliti in modo graduale, diminuendo l'attrito gravitazionale con il suolo dell'asteroide, fino a entrare in orbita. Dopo un secondo segnale, i piloti avrebbero acceso i motori per entrare nella scia dei massi di ghiaccio che compongono l'Anello Bianco, percorrendo un giro completo dell'equatore in senso contrario alle roccie.
L'endorazzo di Cobrax era simile a quelle automobili americane degli anni sessanta del ventesimo secolo, con due codoni posteriori. Sulle fiancate e sul tetto, stava in bella evidenza l'insegna del proprio penitenziario d'appartenenza: il Rosen 08. Poco più sotto, c'era il suo numero di matricola stampato a caratteri bianchi. Yul era protetto dentro una tuta Rendering, fornita dal penitenziario numero otto e disponeva di una riserva d'aria di circa tredici ore.
Il motore del suo endorazzo generava un boato cupo e di forte intensità, che unito con il frastuono delle altre migliaia di propulsori, provocava un emozionante spettacolo acustico senza precedenti.
Non riusciva a scorgere nè Remo Drabek e nemmeno Dag Quisling, seppelliti in quel mare di lamiere variopinte.
Mancavano pochi minuti al via. Nella sala dei computer, Lockhart e i suoi colleghi direttori se ne stavano con le natiche sprofondate sopra i loro comodi seggi di pelle bruna. Parevano imperatore e senatori della Roma antica, in attesa di dare il via ai giochi. Erano i Dodici Duci di Pronixx.
Le centinaia di inviati erano assiepati in diverse sale provviste di megaschermo. Le immagini della corsa erano riprese da una sfilza di satelliti collocati lungo l'intera zona equatoriale del pianeta. Riprendevano ogni minimo particolare, standosene al sicuro fuori dalla portata delle rocce ghiacciate.
Lockhart diede il via e migliaia di endorazzi dalle linee più svariate e originali, iniziarono il loro lento decollo verticale.
Drabek era alla guida di una specie di cilindro scuro che aveva decorato con immagini macabre. Quisling aveva scelto un antico caccia militare di fine ventunesimo secolo, con una bocca di squalo dipinta sulla carlinga. Sembravano tanti palloncini che si sollevavano in aria liberati durante una festa. Uno di essi, a causa di un guasto all'impianto gravitazionale, precipitò come un ferro da stiro, schiantandosi sulla sabbia. Lo stesso accadde ad altri due, tre, dieci...
I suoi sabotatori hanno fatto un notevole lavoro, signor Baade. ‒ disse soddisfatto Lockhart. L'altro ringraziò con un sorriso e un inchino del capo. ‒ Ne cadranno ancora un centinaio, di più non si poteva fare, sarebbe stato un boicottaggio troppo evidente.
Va bene così. ‒ disse Lockhart.
Dentro l'abitacolo dov'era sistemato Cobrax, l'altimetro sul cruscotto segnava quota novanta chilometri.
é ora di accendere il Localizzatore Bet.
Drabek e Quisling fecero lo stesso, quasi in perfetta sincronia. Caddero altri endorazzi, poi l'epidemia si placò.
Un'ora dopo il decollo, il rimanente dei partecipanti raggiunse l'orbita. La fascia interna dell'anello era a circa settecento chilometri. Si potevano distinguere miliardi di macigni ghiacciati sfrecciare a velocità grandiose. Da quella distanza sembravano innocui granelli che variavano da un blu cobalto cupo, all'acquamarina.
Lockhart diede il secondo segnale, quello che lui chiamava il tramonto della vita.
I piccoli veicoli spaziali, dopo aver acceso i postbruciatori, sembravano tante lucciole, un gigantesco sciame luminoso che si sarebbe man mano smorzato in poco tempo.
Incrociamo le dita e speriamo che il Vulnus sia dove dev'essere. ‒ disse Cobrax, che sperava nel primo timoniere Herschel.
Yul pensava a Drabek, a tutte le volte che Remo lo aveva salvato dai soprusi degli altri carcerati. Pensava alle lunghe chiaccherate profonde, ma anche ai momenti allegri e piacevoli. Pensava ai suoi compagni del Vulnus: la Confraternita del Grog e alla voglia che aveva di riunirsi a loro e guidarli di nuovo in pericolose scorribande. Pensava al vecchio Hinrik, il padre che non aveva mai conosciuto. Ma i suoi occhi si incendiavano, quando nella sua mente si materializzava il volto bastardo di Bryon Lockhart, il direttore, o meglio, il dittatore, il despota, il tiranno del carcere di Pronixx 12. Non che gli altri fossero da meno, tutti squali corrotti che pensavano solo a riempirsi le loro avide bocche di oro a discapito di altri esseri umani, ma il Direttore 08 era il peggiore. Un Satana carnificato che dominava sul proprio Regno Infernale. Cobrax digrnignò i denti e strinse la cloche del mezzo, immaginando che fosse un tubo d'acciaio con cui rompere il muso al Direttore 08. Era anche per questo motivo che aveva elaborato il suo piano di fuga, per tornare a uccidere Lockhart.
Cobrax non fu il primo a entrare nell'unica fascia che circondava Pronixx 12, fu testimone dei primi schianti. Quei miseri ammassi di lamiera, si spiaccicavano sui macigni come moscerini sul parabrezza. Tutto accadeva in frazioni di secondo. Forse quei poveri diavoli non se ne accorgevano nemmeno. Però ne vide alcuni resistere dentro quel movimento vorticoso, intenso e continuo, in quella bufera di sassi ghiacciati.
Dallo spazio, il Grande Anello che circondava Pronixx 12, si presentava come un cerchio con tinte tra il grigio, il bianco e sfumature di marrone chiaro a causa di altri materiali frammisti al ghiaccio.
Credo si arrivato il mio turno ‒ disse Cobrax ‒ coraggio, Yul.
Accellerò portando l'endorazzo nel mezzo della mischia. Chissà dov'erano i suoi amici in questo momento. Erano ancora vivi?
Il primo ammasso congelato gli passò a pochi centimetri dalla fiancata destra, Cobrax non ebbe nemmeno il tempo di virare, se lo ritrovò lì. Un altro paio di rocce gli fecero un'improvvisata, una passò sotto, l'altra ancora rasentando la fiancata destra. Cobrax ringraziò la buona sorte.
Un endorazzo dalla forma bizzarra, lo sorpassò. Sparì dietro un nugolo di rocce nivee, quasi trasparenti. Vide solo il bagliore dell'esplosione.
Davanti a sè, quantità incalcolabili di ammassi ghiacciati gli venivano addosso come astrotir in contromano, ne schivò quattro a distanza ravvicinata, era chiaro che lo schianto sarebbe stato questione di minuti. Il led giallo del Localizzatore, lampeggiava veloce.
Forza Herschel, forza! ‒ La paura lo attanagliava.
Un masso gli passò sulla capote, provocando uno squarcio. L'endorazzo traballò, un secondo blocco lo prese di striscio sulla parte posteriore destra, mandando il mezzo a compiere una giravolta su se stesso. Cobrax mise in funzione i freni aerodinamici e cercò di riprendere il controllo del mezzo. Riuscì a compiere un miracoloso zig-zag in mezzo a una coppia di mostruosi iceberg cosmici. Non c'era tregua.
Molti endorazzi venivano falciati dai macigni impietosi del Grande Bianco, altri piloti, meno intrepidi, uscivano dall'anello affrontando i micidiali dispositivi anti-efflusso che non concedevano scampo. Molti carcerati venivano disintegrati dagli anti-efflusso anche dentro la fascia stessa. Lockhart giocava sporco e si giustificava con i giornalisti, dicendo che i dispositivi anti-efflusso avevano delle imperfezioni e che dovevano essere perfezionati.
Cobrax stava perdendo la speranza, dov'era il Vulnus? E se fosse stato distrutto in uno scontro con qualche incrociatore Kupleriano? O se i suoi lo avessero abbandonato? Yul era così tanto assorto pensando a tutte le più nefaste soluzioni, che non si avvide del possente ammasso ghiacciato che stava entrando in collisione con lui. Era troppo tardi per fare qualcosa.
D'improvviso, qualcosa lo colpì in maniera violenta contro la fiancata sinistra, sentì un forte rumore di lamiere. Venne spinto di lato, appena fuori dalla portata del macigno che passò rasente la struttura laterale dell'endorazzo.
Cobrax era ancora frastornato da quello che era appena successo. Era stato miracolato. Si girò sulla sinistra e vide il vecchio Sid Hinrik poco prima che venisse investito da un secondo macigno. Il vecchio Sid si era sacrificato per lui.
Hinrik! ‒ urlò, tenendo un occhio alla guida, l'altro alla spia del rilevatore e la mente al vecchio amico che si era immolato per lui.
Il suo stato d'animo era un riflesso di pena e profonda malinconia, e allo stesso tempo schiacciato dall'impellente necessità di salvarsi. Ma non c'era tempo per soffrire, non ora.
Il Vulnus ci stava mettendo troppo tempo per localizzarlo.
Ma che diavolo stanno aspettando? ‒ disse stizzito.
Il led giallo del Localizzatore Bet rallentò le pulsazioni luminose, sembrava un cuore che si stava spegnendo. Cobrax esultò, perché significava che dal Vulnus lo avevano infine localizzato. Si trattava di resistere un minuto ancora, forse meno.
L'endorazzo di Cobrax si trovava al limite della fascia esterna dell'anello. Un Dispositivo Anti-efflusso lo intercettò e liberò dalle sue canaline, una serie di lampi verdastri. Una folgore centrò la parte posteriore, disintegrandola. L'endorazzo, o quello che ne rimaneva, iniziò a roteare su se stesso. Cobrax era in balia di una tremenda forza centrifuga che lo sballottava dentro l'abitacolo. Con un impiego di energie superiore al consueto, stava aggrappato al sedile, evitando di essere risucchiato nello spazio.
L'Anti-efflusso rigurgitò un'altra quantità di raggi disintegratori, mentre un paio di ammassi gelati erano nella traettoria dell'endorazzo impazzito. I lampi furono più veloci e disintergrarono l'endorazzo. I due massi dovettero accontentarsi di travolgere la polvere metallica.
A bordo del Vulnus qualcosa si stava materializzando nella sala teletrasporto.
Cobrax comparve nella sua tuta spaziale bianca, accasciato a terra. Si rialzò intorpidito dal viaggio nell'onda dello spazio-tempo.
Si mise a sedere e si tolse il casco, gettandolo ai suoi piedi. Si scompigliò i capelli e poi volse lo sguardo verso la consolle di comando. Sorrise e fece un cenno di saluto con la mano.
Dietro il pannello di controllo, stava Hanckok.
Hank, vecchio mio...
Dietro Hanckok, una porta scorrevole si aprì con un sibilo ovattato.
Hanckok abbassò lo sguardo sui comandi e chiuse gli occhi.
Entrò Remo Drabek, sorridente, dentro sua la divisa color fango in dotazione alla Polizia Segreta. Era un androide-talpa del tipo D che veniva impiegato come infiltrato tra i detenuti. Erano ottimi per carpire tutte le informazioni che giravano tra i carcerati, ignari di avere tra i piedi dei robot.
Se ne stava impettito, mostrando le sue mostrine da capitano. Lo seguì una figura avvolta in un impermeabile scuro, come il cappello a tesa larga in stile cow-boy. Le sottili labbra accennavano un sorriso silenzioso e misurato, mentre con due dita si lisciava un baffo brizzolato e ingiallito da anni di fumo. L'uomo si tolse gli occhiali a specchio e con i suoi piccoli occhi da Mamba, fissava quelli di Cobrax, mentre la sua mano destra si appoggiava complice sulla spalla di Drabek.
Cosa... significa? ‒ chiese Yul, che iniziava a inquadrare il complotto.
Salve Cobrax ‒ disse Lockhart ‒ ti sono mancato?

4 commenti:

  1. Fantascienza avventurosa, d'azione, quella di Antonio. Molto avvincente il suo racconto.

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  2. PIacevole lettura. Una storia movimentata, in linea con la più tipica fantascienza avventurosa.

    Giuseppe Novellino

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  3. Grazie Paolo e Giuseppe per i vostri graditissimi commenti.

    Antonio Ognibene

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  4. Grazie a te, Antonio; grazie della tua collaborazione. E' sempre un piacere ospitare sulle pagine di Pegasus Sf i tuoi racconti, veramente avvincenti e, oserei dire, "cinematografici".

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