venerdì 31 maggio 2013

GLI UCCELLI – un prologo di Sauro Nieddu

                                           
                             
Era una splendida domenica di sole; l'ideale per una bella scampagnata.
Jason Barrimore si era trasferito a San Francisco da qualche mese. Il paesino dell'Ohio in cui era nato, e sempre vissuto, infatti, da qualche tempo gli andava stretto. Così, aveva salutato i suoi genitori e si era trasferito in una grande città. Aveva scelto San Francisco perché un lontano cugino, che lavorava al Chronicle, gli aveva promesso un posto da fattorino nel giornale.
Ma San Francisco, almeno per lui, si era rivelata una grossa delusione; provinciale, zappaterra, ragazzo. Questi erano gli appellativi che la gente gli rivolgeva con maggior frequenza; come se la sua identità non valesse nulla. Nessuno, tra quelli che aveva conosciuto là in città, gli aveva mai concesso un briciolo di considerazione.
Quasi nessuno, perché adesso c'era Betty Anne.
Betty Anne aveva la sua stessa età, e lavorava in redazione, cercando di imparare il mestiere di giornalista. Per Jason era tanto bella che avrebbe potuto fare l'attrice. Anche se quando lui glielo aveva fatto notare, si era limitata ad alzare le spalle e aveva risposto:
«Ho anche un cervello, io. »
Jason, pur non capendo bene il senso della risposta, le aveva sorriso (suo cugino gli aveva spiegato che bisognava fare sempre così, con le ragazze), e lei aveva risposto con un altro sorriso.
Betty Anne era nata e vissuta a San Francisco, ma era sempre stata affascinata dalla natura e dalla vita semplice delle campagne. Così, quando Jason le aveva raccontato da dove venisse, anziché sdegnarlo come facevano tutti, lo aveva tempestato di domande. Si erano incontrati un altro paio di volte, e un pomeriggio avevano persino pranzato assieme, alla tavola calda all'angolo, ma quel giorno era davvero la sua grande occasione.
Era di domenica e, al mattino presto, Betty Anne era passata a prenderlo con la sua vecchia Ford per una scampagnata. A Jason quel particolare non aveva fatto troppo piacere; dalle sue parti, farsi venire a prendere da una ragazza, non era considerato precisamente un comportamento virile. Del resto lui non possedeva una macchina sua. Non aveva nemmeno la patente; al paese, per quanto i ragazzi cominciassero a portare la macchina sin da quando avevano nove o dieci anni, di rado qualcuno sentiva la necessità di mettersi in regola con le legge.
Betty Anne fermò la macchina accanto a un boschetto. Scesero e fecero un giro nei paraggi, senza allontanarsi troppo; ormai era quasi ora di pranzo. Parlavano del più e del meno, confessandosi le loro speranze per il futuro come fanno sempre i ragazzi, quando si ritrovarono in una splendida radura, circondati dal cinguettio gioioso degli uccelli.
«È vero che là in campagna, siete capaci di parlare con gli animali? »
Chiese ridendo Betty Anne.
«Certo! » mentì Jason, che non aveva colto l'ironia. «Stai a sentire! »
Si riempì d'aria i polmoni, e iniziò a imitare, come meglio poteva, i versi degli uccelli.
«Ma sei bravissimo! Continua, ti prego. »
Rise ancora Betty Anne. Jason riprese fiato e continuò a cinguettare.
Dopo un po' si accorsero che il numero degli uccelli intorno a loro era cresciuto a dismisura; sembravano fissarli. Se Betty Anne non avesse avuto una mente da giornalista, avrebbe potuto anche credere che rispondessero.
«Ma allora non scherzavi! »
Esclamò la ragazza, stavolta con sincero stupore.
«Certo che no! »
Replicò Jason con sicurezza, anche se in realtà era più stupito di lei. Continuò a cinguettare ancora per qualche minuto, mentre gli uccelli continuavano ad affluire, poi tornarono verso la macchina, dove avevano lasciato le vivande.
Entrambi erano piuttosto euforici, e a Jason parve il momento più bello della sua vita. Cinse Betty Anne con un braccio e cercò goffamente di baciarla. Lei si ritrasse. Lui assunse un’aria ferita.
«Oh Jason! » disse piano Betty Anne. «Mi dispiace se in qualche modo ti ho illuso, ma devi sapere...
Scusate, a questo punto è meglio lasciar soli i ragazzi; è giusto che godano di un po’ di privacy, mentre vengono a capo dei loro patemi amorosi.


Poco dopo che Jason e Betty Anne avevano lasciato la radura, un corvo arrivò e prese posto accanto a un passero.
«Salve amico! Ma è vero quel che si dice in giro? Mi sono arrivati certi cinguettii... »
«È tutto vero, purtroppo. » annuì tristemente il passero. «se fossi arrivato qualche spicchio di sole fa, avresti sentito con le tue stesse orecchie; l'ambasciatore se n'è appena andato! »
«Ha spiegato almeno perché gli umani hanno deciso questa guerra totale contro di noi? »
Chiese ancora il corvo.
«Lo ha spiegato, ma in realtà non è stato molto chiaro; aveva uno accento strano. Da quanto ci ho capito, c'entra qualcosa il controllo del territorio; credo che disturbiamo il volo di quei loro uccelli meccanici... »
Il corvo scosse il capo.
«E tu ci credi? Io penso che sia la solita vecchia storia; gli umani non sopportano che noi mangiamo. Secondo loro non dovremmo mangiare i semi, non dovremmo mangiare i pesci, non dovremmo mangiare i frutti... di cosa dovremmo vivere secondo loro, d'aria? »
«Però bisogna ammettere una cosa. » concesse il passero «almeno stavolta si sono presi la briga di farci una dichiarazione di guerra formale.»
«Non hai tutti i torti » riconobbe il corvo «dev'essere la prima volta in tutta la storia che gli umani si comportano con una certa correttezza. »
«Se non altro ci hanno lasciato il tempo per organizzare le difese… »
«A proposito... » disse il corvo mentre spiegava le ali. «anche noi dovremmo svolazzare via da qua e andare a spargere la voce. »
«Giusto! Non c'è davvero tempo da perdere.»
Confermò il passero.
E, detto ciò, spiccarono il volo.

2 commenti:

  1. Simpatico racconto tra il fantasy e la fantascienza con una spruzzatina di weird.

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  2. Si può proprio dire che una guerra tra umani e uccelli è nell'aria.
    Racconto piacevole e coinvolgente. Interessante la struttura bipartita con le due scene affidate rispettivamente agli umani e ai volatili. Il doppio dialogo si amalgama e confluisce nel finale.
    Fa pensare al famoso film di Hitchcock.

    Giuseppe Novellino

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