martedì 7 gennaio 2014

ALIENI TRA NOI di Donato Altomare



 - Imaac Arinov non può riceverla. Mi dispiace.
Se non fosse stato per quel “mi dispiace” Pio Devanna si sarebbe incazzato come un turco. La segretaria aveva accompagnato la frase con un sorriso che aveva cercato di addolcire il rifiuto.
- Ma... ma l’aveva promesso.
- Compatibilmente alle sue esigenze di lavoro. Lo scrittore ha bisogno di concentrarsi. Da ieri si è rinchiuso nella sua villa e non ne uscirà prima di un mese. Tutti conoscono questa sua abitudine e sanno che un nuovo capolavoro di fantascienza sta nascendo. Le prometto che sarà il primo giornalista a essere ricevuto. Dopo. - E ancora il bellissimo sorriso.
Pio grugnì qualcosa d’intraducibile nel suo dialetto. Poi baciò sulla bocca la ragazza e uscì, lasciandola con gli occhi spalancati per la sorpresa. Almeno qualcosa aveva ricavato.
Il cellulare finì contro il muro, il computer nel bagno e le buone maniere nel dimenticatoio. Si versò un brandy chiedendosi cosa avrebbe fatto. L’intervista allo scrittore era la sua ultima possibilità per conservare il posto al giornale. Che fare? E tutto cominciò ad apparirgli chiaro. Invece di buttarlo fuori a calci senza un valido motivo, magari per far posto a qualche figlio di papà, avevano finto di dargli una grande occasione, l’intervista al massimo scrittore di fantascienza Imaac Arinov. Portala, e avrai un ufficio tutto tuo. In caso contrario... Ancora però non ne capiva il perché. Non aveva commesso alcun errore e i suoi articoli avevano avuto sempre un largo seguito di lettori. Perché? Maledizione! E poi tutti conoscevano la strana abitudine dello scrittore. Una volta rinchiuso nella sua villa per creare un nuovo capolavoro non avrebbe ricevuto neanche la madre. Ripose il bicchiere sul tavolo, delicatamente, al contrario di quello che aveva voglia di fare, e si alzò. Aveva preso una decisione.
Doveva avere quell’intervista a tutti i costi.

*   *   *

La villa era completamente buia a parte una finestra illuminata fiocamente. Scavalcare il muro di cinta era stato un giochetto da ragazzi. Aveva preso però uno spavento tremendo quando, nell’oscurità della notte senza luna, un ringhio l’aveva fatto rabbrividire. E quel bastardo d’un cagnaccio spelacchiato gli aveva fatto venire in mente dobermann e alani addestrati a uccidere. Con un calcione se ne era liberato mandandolo a guaire tra i cespugli, e ora avanzava furtivo verso la costruzione. C’erano tre entrate. Due chiuse ermeticamente, la terza aperta ma con, a guardia, un energumeno in divisa con tanto di berretto e pistola. Pensò di giungergli alle spalle e stordirlo con un colpo di karatè. Poi si diede dell’imbecille, quelle cose avvenivano nei film, non nella realtà, e cercò un altro modo per entrare. Così si fermò sotto la finestra illuminata. C’era un grosso albero molto vicino e un lungo ramo che si protendeva verso la finestra. Si arrampicò. Era deciso a entrare e a estorcere l’intervista anche usando la forza. Si era appena appostato quando udì aprirsi la porta. Sgranò gli occhi per guardare attraverso le tendine. E vide Arimov che cominciava a spogliarsi. Pio arrossì e borbottò tra sé e sé che la prossima volta avrebbe spiato una scrittrice. Cercò di guardare sottecchi, terribilmente imbarazzato. Forse sarebbe stato meglio lasciar perdere. No, maledizione, no! Fu allora che lo scrittore si tolse la maglietta intima. Aveva due ombelichi e otto capezzoli. Poi si tolse la parrucca e sotto apparvero decine di piccole antennine che vibravano. Infine, sdraiatosi su una cassapanca di duro legno, prese un bicchiere e... cominciò a mangiarlo con gusto.
Fu il rumore di rami rotti a interrompere il suo pasto serale.

*   *   *

- Così, giovanotto, ha scoperto tutto.
Imaac Arinov stava fissando la fasciatura che la guardia del corpo aveva fatto alla gamba del giornalista. Aveva indossato una camicia e rimesso la parrucca. Con un breve cenno del capo licenziò l’uomo e, sedutosi su una ingombrante poltrona, senza attendere una risposta continuò: - Certo vorrà una spiegazione. - Strinse le labbra: - Sì, credo che gliela devo. Lei è un grande estimatore della fantascienza, i suoi articoli hanno aperto la mente a migliaia di persone che non avevano mai capito questo genere letterario. È per questo che mi crederà. L’Universo brulica di razze intelligenti, buone, cattive, apatiche. Quella a cui appartengo non ha cattive intenzioni. E presto scenderà sulla Terra.
Il giornalista aveva gli occhi sgranati: - Fantastico! - con sarcasmo.
- Già, giovanotto, fantastico. Ma come pensa che reagireste voi terrestri? Probabilmente vi lascereste prendere dal panico e scoppierebbe il caos. Usereste le armi, senza darci neanche il tempo di mostrare le nostre pacifiche intenzioni. Com’è già successo.
- Già... successo...??!!
- Per ben tre volte abbiamo cercato di instaurare pacifici rapporti col genere umano, ma tutte le volte siamo stati costretti a lasciar perdere. O avremmo dovuto combattere. Così abbiamo deciso di preparare gli uomini. Con i miei romanzi, con i racconti e i film. Stiamo abituando la gente all’idea dell’alieno buono. Ora siamo quasi certi di farcela.
Pio non l’ascoltava più. Si era alzato con una forte smania in corpo: - E’ incredibile... impossibile...
- No, è tutto vero, posso provarlo. Vorrei soltanto che non lo scrivesse. Rovinerebbe tutto.
- Certo... certo... ma ora devo assolutamente andare. - E senza neanche salutare, zoppicando uscì precipitosamente dalla stanza.

*   *   *

- E’ andato?
Due uomini entrarono. - Sì, aveva fretta. Certo spiattellerà tutto in giro, tramite il suo giornale.
- Magnifico! - esclamò uno dei due. - Siamo d’accordo col direttore, pubblicherà l’articolo di quell’imbecille. Sarà un grandioso lancio pubblicitario per il tuo prossimo romanzo ALIENI TRA NOI.
- Quel giornalista cadrà nel ridicolo. - mormorò Imaac un po’ dispiaciuto.
- Non ce ne frega nulla. - E scoppiò in una sguaiata risata.

*     *     *

Pio era furibondo. Entrò in casa come un ciclone sbattendo la porta alle spalle. - Maledizione! Stramaledizione! - Aprì un grosso armadio a muro che non conteneva abiti ma un apparecchio metallico tutto levette e pulsanti. Imprecando l’accese: - Volete rispondermi, malnati? - Poi si diede dello stupido. Come potevano sentirlo con quel maledetto naso posticcio? Se lo tolse estoflettendo il suo vero organo dell’udito, che inserì nell’apposito captatore imbutiforme.
- Cosa c’è, Kratplurdt?
- Cosa c’è? Bastardi - in gergo tutto terrestre, - potevate dirmelo che avevate intenzione di sostituirmi.
E senza attendere inserì il Transfer e tornò su Antares.

7 commenti:

  1. Personalmente ho un debole per i racconti dai risvolti ironico-umoristici , e questo racconto fantascientifico di Donato penso possegga le caratteristiche essenziali per piacere a tutti.

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  2. Concordo con Paolo. Eccellente racconto, mi è piaciuto moltissimo.
    Bravo Donato.

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  3. Concordo con i giudizi precedenti. Un bravo all'autore.
    G.S.

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  4. Un bel racconto con una chiusura a sorpresa. Bravo l'autore.

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  5. Bravo Donato! Nonostante avessi già letto parecchi racconti strutturati in questo modo, sei riuscito a fregarmi lo stesso con quella boutade finale.
    Complimenti!

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  6. Gustosissimo! Una lettura che mi ha suscitato un vero piacere, come tanti piccoli classici indimenticabili. La struttura è solida e limpida nel suo gioco di soprese. E quella finale è assicurata, anche se ci si apspetta qualcosa di sensazionale. E l'idea di avere messo di mezzo il grande Asimov la trovo assai divertente. Decisamente un bel racconto.

    Giuseppe Novellino

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  7. Un grazie di cuore. Adoro la fantascienza umoristica e l'antologia della Delos 'E la padella disse...' credo sia unica nel suo genere, tant'è che è esaurita da lungo tempo. Ogni tanto mi piace tornare a scrivere racconti del genere, ma per alleggerire le tensioni quotidiane, anche se quello che avete letto è alquanto vecchiotto. Grazie ancora a tutti.

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