mercoledì 24 luglio 2013

PICCOLO OMAGGIO A K di Renato Clementi


Non mi piace essere svegliato alle cinque del mattino da qualcuno che suona alla porta. E mi piace ancor meno se il campanello, invece del solito “Driiiin”, si mette a fare “Miao! Miao! "
- Ma che cavolo… Arrivo!
Guardo dallo spioncino. Nessuno. Esito ad aprire la porta, sia perché sono in mutande, sia perché potrebbe essere un ladro. Non mi andrebbe di essere derubato senza vestiti addosso.
Mi accerto meglio. Non c’è proprio nessuno. Ma ecco che il campanello riprende: “Miao! Miao!”
Apro di scatto la porta e mi trovo davanti un nano in salopette rosa con il dito allungato verso il campanello.
“Dio com’è brutto” è il primo pensiero che mi salta in mente. Se si fosse trovato nella storia di Biancaneve, la ragazza avrebbe preferito farsi strappare il cuore dal cacciatore piuttosto di averci a che fare. Il nano però non mi dà il tempo di riordinare le idee che m’incalza:
- Su, si sbrighi. Siamo già molto in ritardo. Voi Tuttigiorni ve la prendete sempre comoda. Ma vedrà! Vedrà! – e così dicendo il nano agita il suo ridicolo ditino nell’aria.
Vorrei dirgliene quattro a questo sgorbio barbuto (non vi avevo detto che era barbuto? Beh, ve lo dico ora: ha una barba fitta che gli nasconde il pisello. Infatti è tutto nudo, una versione maschile e ridotta di Lady Godiva, E la salopette? Quella non c’è, infatti mi accorgo adesso che la salopette rosa è solo dipinta).
Ma torniamo al dirgliene quattro. Comincio con:
- Ma perché cavolo il mio campanello s’è messo a far miao?
- Oh, che domande… Il 31 aprile tutti i campanelli fanno “miao”. Non vi basta averli costretti a fare “drin” tutto il resto dell’anno? Forza, si spogli che andiamo.
- Si spogli?
- Certo, non vorrà uscire in mutande, spero.
- Io non esco nudo!
- E allora s’infili la mia salopette. Tenga.
Il nano si stacca la salopette (dipinta, ricordate?) e me la porge. Adesso è una salopette vera e anche della mia misura. Vorrei chiedere al nano come è possibile che ne abbia ancora una dipinta sul corpo dopo avermela data, ma ci sono altre cose più urgenti da appurare. Purtroppo non ne ho il tempo.
- Forza, andiamo! Vuole che vengano a prenderla? – mi sollecita ancora il nano.
- Andiamo dove? Chi deve venire a prendermi? Come può essere che oggi sia il 31 aprile? - sparo queste domande a raffica, ma il nano, sempre più agitato mi prende per la salopette e mi strattona fuori di casa esclamando:
- Non c’è tempo, non c’è tempo! Andiamo!
Non sono certo il tipo da farsi trattare in questo modo e, alzando il mento in un gesto di orgoglio, annuncio:
- Io non esco di casa senza aver bevuto il mio caffè!
Il nano si fa tutto rosso, poi cede.
- E va bene, ma si sbrighi.
Prendo la caffettiera sui fornelli, una moka italiana autentica. Dovrebbe essere rimasto del caffè e controllo alzando il coperchio. Dentro la caffettiera un grosso occhio mi guarda e ammicca. Chiudo la caffettiera.
- Andiamo, sono pronto – dico al nano.
Scendiamo le scale e ci troviamo in strada. Quattro tizi in divisa e dalla faccia cattiva mi puntano addosso fucili del ’18 con tanto di baionetta.
- È lui – dice l’unico dei quattro che porta un berretto da capitano.
- È lui – ripetono gli altri tre con la faccia ancora più cattiva.
- Sono io – balbetto con un filo di voce.
Il nano è proprio arrabbiato:
- L’avevo detto che sarebbero arrivati. Adesso sono guai, caro mio Tuttigiorni!
Il capitano si pone a gambe larghe davanti a me con un’aria da tiraschiaffi. Con un calcio potrei farne una frittata delle sue uova, ma probabilmente sarebbe l’ultimo gesto della mia vita.
- Mi dia subito il suo codice a barre. È meglio per lei.
Vorrei informarmi meglio su quello che succede se uno non dà il suo codice a barre, ma il cipiglio del capitano mi scoraggia. Così rispondo esitante:
- Mi chiamo Ern… - non riesco a finire la frase. Il capitano strilla!
- Che cazzate sono queste? Le ho forse chiesto di dirmi il suo nome? Vuol prendermi in giro?
Guardo smarrito il nano, che pone una mano a lato della bocca e mi sussurra:
- Il suo nome da Tuttigiorni qui non frega niente a nessuno. Il capitano vuole il codice a barre
che le hanno assegnato quelli della ditta Mangimi & figli.
- Ma io non ce l’ho.
- Un brutto guaio, vediamo se riesco a convincere il capitano.
Il nano s'allontana di qualche passo con il poliziotto e i due discutono animatamente per un po’. Mi tremano le gambe dalla paura perché sono ancora sotto tiro dei ’18. Quando il nano ritorna appare abbastanza soddisfatto.
- Bene, abbiamo tre ore per procurarci un codice dalla Mangimi e figli. Speriamo di fare in tempo, altrimenti la pratica passa alla Corone funerarie s.p.a.
Non credo che il passaggio alla Corone funerarie s.p.a rappresenti per me un miglioramento, pertanto m’informo presso il nano:
- Dove si trova la Mangimi e figli?
- E chi lo sa – risponde tranquillo il nano. – Se le piace possiamo prendere il viale qui a destra.
Sto per replicare con una parolaccia, ma mi trattengo. Preferisco indagare su altro. C’incamminiamo lungo il viale di destra e dopo qualche passo pongo la domanda che mi sta a cuore.
- Ma lei chi è e perché è venuto a casa mia?
Il nano si stringe nelle spalle.
- Che domanda strana. Sono un nano. C’è sempre un nano che suona alla porta il 31 aprile. Qualche volta alle cinque del mattino, qualche volta alle sette di sera. Non c’è una regola fissa.
- Ti pareva – borbotto tra me, ma il nano ha udito.
- Ma insomma! La sto aiutando, potrebbe essere più gentile, no? – esclama furibondo.
Questa volta sbotto:
- Porca ciminiera! Basta prendermi per i fondelli! Lo sanno tutti che il 31 aprile non esiste!
- Certo che non esiste! – grida a sua volta il nano fuori di sé. – Nemmeno io esisto, se è per questo. Ma lei, lei… vuole toglierci anche il diritto di provarci?
- Provarci a far che?
- A esistere, naturalmente. Noi viviamo nel 31 aprile, ma voi Tuttigiorni vi siete presi l’intero calendario e così ci avete spediti nel non essere.
- Santo cielo! Ma che siete, una specie di sogno? Ah, ecco. Ho capito! Sto sognando. Menomale, temevo già il peggio.
Il nano mi guarda con aria afflitta.
- Magari fossimo un sogno. Almeno ai sogni avete concesso un po’ di esistenza, ma a noi… - Poi guarda il cielo e aggiunge: - Nemmeno lassù ci vogliono bene. Bastava che stabilissero l’anno di 366 giorni ed era tutto a posto. Anche noi creature quasi esistenti avremmo avuto un nostro tempo. E invece no. Il trecentosessantaseiesimo giorno è stato concesso solo agli anni bisestili e per di più alla fine di febbraio. Non siamo stati trattati troppo bene.
- Già, è vero – concordo. Il nano mi fa un po’ pena.
- Ma non deve credere che ce ne stiamo con le mani in mano noi del 31 aprile – riprende infervorandosi. – Noi ci sforziamo in continuazione di esistere, sa? E che lavoro! Che impegno! E a volte ci riusciamo.
Cammino con la testa china e piena di pensieri confusi. Il nano tace e anch’io. A un tratto alzo la testa e l’insegna mi si para davanti, grande e luminosa: MANGIMI & FIGLI.
- Che fortuna, siamo già arrivati! – esclamo.
- Non c’è da stupirsi – replica il nano. – Il 31 aprile tutte le strade conducono alla Mangimi & figli.
Mi avvicino al grande portone d’ingresso che un portiere spalanca con sussiego.
- Prego, entri. La stanno aspettando. Però è meglio che non passi di qui. Entri dalla porta alla sua destra.
Guardo la porta, c’è l’etichetta W.C. Sono i gabinetti pubblici e non ho voglia d’infilarmi là dentro, così me ne infischio del portiere e proseguo dritto lungo il corridoio principale. C’è un’altra porta, l’apro. E mi trovo in strada, esattamente davanti al portone d’ingresso.
- Gliel’avevo detto – mi redarguisce il portiere. – Perché non mi dà retta?
Io e il nano oltrepassiamo la porta del WC e ci troviamo davanti altre due porticine, una a destra con la targhetta recante la scritta “uomini”, e l’altra a sinistra con scritto “nani”.
Ci dividiamo, il nano entra a sinistra e io a destra, ma ci troviamo in uno stesso corridoio al quinto piano.
- Deve cercare l’Ufficio Codici e Parenti – dice il nano. – Vada lei, io l’aspetto qui.
Lungo il corridoio ci sono tante porte che conducono ad altrettanti uffici. È tutto molto ordinato e le targhette molto chiare: “Ufficio per Azioni di testa”, “Ufficio Deleteri”, “Ufficio Quindici”…
Sto girando da circa un’ora e continuo a incontrare uffici con nomi sempre diversi: “Ufficio Giaculatorie”, “Ufficio Va”, “Ufficio”… Finalmente vedo una porta recante la scritta “Ufficio Informazioni”. L’apro. Ci sono tre grossi bruchi seduti a un tavolo che giocano a carte. Richiudo la porta. Nelle successive tre porte incontro: il bidello di quando andavo alle elementari che, come allora, non sa nulla, un acquario con i pesci e infine un giovanotto del 30 febbraio che ha sbagliato giorno.
Proseguo ancora e la mia costanza è premiata. Finalmente trovo la porta con la scritta: Ufficio Codici e Parenti.
Busso.
- Avanti! E si sbrighi.
Entro e vedo il nano alla scrivania. Indossa un paio di occhiali e consulta un grande schedario che occupa tutto il ripiano.
- Dovevo immaginarlo – sospiro. Poi ho due alternative: arrabbiarmi di brutto o parlare gentilmente. Preferisco la prima possibilità. Avanzo fino alla scrivania con la mia irresistibile cavalcata dell’incazzato. Stringo i pugni e li sbatto con forza sullo schedario, gridando:
- Ma che piffero ci fai qui? Nano della malora!
Il nano non si scompone. Sputacchia sulle mani e si lava la faccia.
- Ovviamente fornisco i codici a barre, come c’è scritto sulla porta. Lei è un Parente?
Mi siedo per terra, prendo la testa tra le mani e mi metto a piangere. Il nano s'impietosisce, non è malvagio. Mi s’avvicina e mi asciuga le lacrime con un fazzoletto.
- Su, non faccia così – sussurra con voce soave – tutti prima o poi ricevono un codice a barre, no? Però mi par di capire che lei non è un Parente e la cosa si complica.
Tra i singhiozzi balbetto:
- Già… pe-perché adesso è tutto troppo semplice...
- Sa che facciamo? – prosegue il nano. – Andiamo giù al bar e ci facciamo un cappuccino. Quando la pancia è piena tutto appare più roseo.
Si alza e si dirige alla porta. Lo seguo come un automa. In strada non ci sono bar, ma questo me l’aspettavo.
- Accidenti! – esclama il nano con evidente disappunto. – Cesare non ce l’ha fatta a esistere.
- Chi è Cesare? Domando con un filo di voce.
- È il padrone del bar, ovviamente. - Poi si guarda il polso come se avesse un orologio e aggiunge: - Ah, s’è fatto tardi, devo proprio andare. Ci vediamo la prossima volta. Intanto lei si procuri un codice a barre. Addio!
Così dicendo mi gira la schiena e vedo il suo culetto allontanarsi veloce lungo la via.
- Ma … ma io che faccio qui? – protesto.
Il nano s'arresta, si volta e mi guarda con aria stranita:
- E come faccio a saperlo io? Per quanto mi riguarda la storia finisce qui.
- Finisce qui? – poiché la scrittura dei punti interrogativi accompagnati da punti esclamativi non sono ben visti da queste parti, devo specificare che la domanda la urlai con due punti interrogativi e otto esclamativi. Poi metto le mani a coppa davanti alle labbra e grido: – Ma che diavolo! La storia sarebbe finita qui? Che finale è?
Il nano s’infuria a sua volta.
- Che finale è, che finale è... Oh, la fate facile voi Tuttigiorni! Voi che vi siete accaparrati l'intera esistenza! Accidenti! Con tutta la fatica che abbiamo fatto per esistere volete anche che la
storia abbia un finale? Prepotenti ed egoisti!
Detto ciò prese a correre lungo la via con le sue gambette storte e presto scomparve alla vista, lasciandomi tutto solo, nel mezzo del 31 aprile e con una storia scritta a metà. Vi pare bello?

3 commenti:

  1. Divertente e scritto molto bene. Complimenti! Mi è piaciuto anche il tono da metaracconto che rende assai viva e coinvolgente la narrazione.

    Giuseppe Novellino

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  2. Bello e ironico. Dal timbro astratto. Scritto da un'ottima penna.

    Antonio Ognibene

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