venerdì 1 agosto 2014

IRREALI MONDI di Giuseppe C. Budetta



  
Conclusi la conferenza sulle pitture rupestri con le seguenti frasi ad effetto:

  I dipinti rupestri nelle caverne del Neolitico segnano il punto in cui il cervello umano si allontana da quello delle scimmie ed assume gradi superiori di libertà….
 Le immagini all’interno di una grotta hanno duplice valenza: una connessa al mondo reale e una profonda e indefinita custodita in grotte buie.”

   Dopo applausi e strette di mano, corsi via a chiudermi in auto dove mi aspettava Dick, il mio segugio. Avevo deciso di andarmene a caccia nel bosco, come spesso facevo nei fine settimana. Dick era bravo nel fiutare qualsiasi preda, cinghiale, o lepre che fosse. Nella mia casetta in paese, mi cambiai d’abito e infilai gli stivaletti di gomma. Mi affacciai alla finestra: la strada antistante umida e deserta. Il paese si era svuotato dei suoi abitanti ed erano rimasti solo i vecchi. C’erano dei bambini, per lo più figli dei Rumeni e dei Tunisini immigrati da alcuni anni. Salii in auto con Dick e raggiunsi il bosco ai piedi della collina. Parcheggiai in una raduna, di lato alla provinciale.
   Dopo circa mezz’ora di marcia spedita, ero in prossimità del fiume, nel bel mezzo di un prato coperto di un manto acquoso di pallida erba e circondato dai nerboruti tronchi di querce centenarie. In prossimità della pietraia che delimitava il furioso e torbido corso d’acqua, c’erano alti pioppi e salici rossi. Una tinta calda tra d’oro e di rame di alcune foglie non proprio secche, ma gialle sui pioppi, dava tenue illusione di sole. E’ bello abbandonare lavoro, abitudini e amici per poco. Il tempo incerto di quel tardo autunno minacciava tempesta, ma non ci feci caso. Intorno a me solo la natura selvaggia coi suoi colori accesi.

  Il cane fiutò qualcosa ed abbaiò per mettermi in guardia. Nei paraggi, c’era una grossa siepe. Dick poteva aver scovato un cinghiale. Strinsi il fucile. Si levò improvviso un forte vento gemente. Il cane guaì. Il chiarore di un lampo squassò la stasi delle nuvole che pressava sulle colline. Un attimo dopo, ci fu lo schianto di un tuono molto vicino. Il cane si acquattò timoroso. 
 Avvertii una strana presenza tra la cupa ramaglia. Osservando meglio nella stessa direzione contro cui il cane aveva guaito, intravidi una figura gigantesca di donna diafana e bianca. Dava l’impressione di una statua vetrosa alta non meno della quercia a me vicino. A tratti, riuscii a vederne bene i lineamenti, ma poi la figura scomparve, ondulante visione sotto l’ammasso di nuvole grigie. Il cuore in tachicardia. Temetti di stare male. Anossia cerebrale, dicono. La visione riapparve poco dopo. Questa volta, sembrava avesse il respiro del vento. Sembrava che il flusso violento del vento entrasse ed uscisse con ritmo incalzante dai suoi polmoni. Un fantasma poteva aver attraversato abissi oscuri ed incommensurabili. La misteriosa immagine poteva aver varcato la soglia di un caliginoso mondo a questo parallelo? Oppure, una quercia per un strana combinazione di forze innaturali, avesse assunto l’aspetto di giovane donna? Ero dunque impazzito?
   Temetti ancora di più di stare male. Lo stress? Mi resi conto che tra me e la straordinaria visione c’era come un pannello di vetro. La statica e muta realtà del mondo circostante si sgretolava e si sfaldava dalle certezze che da sempre l’avevano avvolta.    
  La visione di quella donna gigantesca era a poca distanza da me. Il suo volto bello e angelico traspariva nell’aria, ma lo sguardo era triste e lontano. Adesso, si presentava nella sua integrale nudità. Il copro perfetto ed i pingui seni coi capezzoli rossastri. La matassa dei peli vulvari e la linea della natiche proprie di una giovane dal copro armonioso e divino. Il vento le accarezzava il volto ed il collo, mentre lei socchiudeva gli occhi con lo sguardo sperso oltre remoti orizzonti. Gridai in preda al terrore, quando vidi tra i suoi capelli una massa intricata di serpi. Mi mancarono le forze e mi appoggiai ad un tronco. Afferrai il fucile e meccanicamente feci fuoco contro la donna gigante. La visione scomparve com’era apparsa. Mi strofinai gli occhi incredulo. Un’allucinazione? Dissi:
 “Ma che mi succede?”
 Il cane si era rintanato in una siepe. Il vento si era calmato. La natura si era immersa di nuovo nel silenzio e nella pace incontaminata. Udii nell’aria un debole gemito come un animale ferito. Ascoltando meglio, mi parve una voce umana. Cercai di capirne la provenienza. Sembrò che la voce lamentosa fosse mista a rumori fruscianti e crepitanti, generati dallo spostamento tra il folto delle querce di una massa di grandi proporzioni.
  La gigantesca fanciulla riapparve improvvisa torreggiante su me. La sua testa piena di serpi con bifide lingue, scostava le creste più alte delle querce come sospesa tra tempo fluente e statica eternità. In suo sguardo inespressivo su di me. 
    D’istinto, sparai di nuovo in direzione del fantasma diafano. La donna ondeggiando il capo pieno di serpi, si girò di scatto e si allontanò in direzione del fondovalle, tra lo scroscio di rami e frasche. Al suo passaggio furioso, alcuni tronchi si erano spezzati e le siepi divelte. Visioni e illusioni non spezzano tronchi di querce e aprono varchi tra spinosi siepai. Il cane si acquattò mansueto ai miei piedi. Avanzai nel fondovalle alla ricerca affannosa d’indizi. A pensarci bene, la donna gigante si muoveva come un automa. Il cane annusò qualcosa per terra. Andai a controllare. Macchie di sangue bagnavano alcune pietre, altre sul fogliame marcito. Aiutato dal cane, seguii le tracce. Non sapevo che pensare. Poteva essere che avessi ferito un fantasma?

   Raggiunsi l’ampia pietraia del fiume. Le tracce insanguinate sembravano interrompersi in prossimità del corso d’acqua. Però poteva essere che continuassero oltre, dall’altra parte, sull’altra sponda. Seguito dal cane, oltrepassai il fiume che in quel tratto era basso e si disperdeva in numerosi rivoli. Ritrovai le macchie ematiche. Non mi sbagliavo. Incurante delle prime gocce di pioggia, risalii la vallata. seguendo le chiazze di sangue. Mi trovai davanti allo speco di una grotta. Il cane entrò fiutando qua e là, per terra. Mi feci coraggio e lo seguii, stringendo la canna del fucile. C’era poca luce e accesi la pila che avevo estratto dal tascapane. Udii il cane abbaiare forte. Chiamai: “Dick”.
   Feci luce. Vidi Dick abbaiare contro la roccia liscia del fondo. Mi avvicinai ed illuminai  la parete. Grande fu la meraviglia.

   Il fascio di luce illuminò un dipinto rupestre che raffigurava un’antica divinità. Gigantesca era l’immagine, oltre i sei metri ed occupava quasi l’intera parete che scendeva verso il suolo a perpendicolo e ben levigata. Ero rimasto incantato di nuovo. Osservai la figura dipinta che sembrava un antico affresco come quelli di Pompei. Il volto femminile era sbiadito. Fui certo: era lei. Tra i crepi capelli neri, emergeva l’ammasso delle serpi. Il corpo leggiadro ed il bianco seno trasparivano da sotto il sottile drappeggio dell’abito. Stava eretta e sembrava fissarmi con un vago sorriso. Sotto i nudi piedi, c’era una breve frase in greco arcaico che tradotta significava:
Ecco la Gorgonie Medusa.
   Da sotto l’attaccatura delle mammelle floride, una grossa macchia rossa come sangue. Ero impietrito a dir poco. Poteva essere che il dipinto rupestre prendesse vita da deboli segni di colore eseguiti da un antichissimo artista? Il rimbombo di un tuono mi riportò nel mondo reale. Un nuovo fulmine col suo bagliore penetrò in fondo alla grotta, illuminando il dipinto che sembrò animarsi e ricevere linfa vitale. Volevo fuggire, ma mi sentii svenire. Qualcosa più forte di me mi tratteneva nella caverna buia. Stavo per perdere i sensi quando una mano invisibile mi afferrò da sotto le ascelle e mi condusse fuori dalla grotta. Tra gli occhi socchiusi, intravidi la sagoma di un antico guerriero con l’elmo piumato. Sulla sua spalla destra c’era una lunga ferita cicatrizzata. Un solo dio aveva quella ferita: Ade, il dio dei morti, figlio del Tempo (Chronos). Egli era stato ferito da una freccia lanciata da Ercole e guarito in seguito alle cure di Peano, il dio guaritore. Stavo disteso sull’umida rena e sulla bianca pietraia, delimitante il corso del fiume. Il dio guerriero mi sovrastava e mi osservava attraverso le occhiaie dell’elmo dorato. Aveva estratto la spada. Era pronto ad uccidermi, anche se dietro l’elmo lucente continuava ad osservarmi con lo sguardo feroce ed attento. Era indeciso se vibrare il colpo mortale? Udivo il respiro affannoso, ma disse alla fine una frase in greco arcaico che capii all’istante:

EGO’ SIUN-GHIGNOSCO SOI
ἐγῴ συγγιγνώσκω σοί

   Il dio non aveva parlato, ma mi aveva comunicato ciò che pensava. Mi aveva perdonato per aver ferito la sua donna? Fuori dalla grotta, vidi che il sole aveva cominciato a fare capolino tra le nuvole. Fu in quel preciso istante che la visione dei dio della Morte scomparve. Sembrava discioltosi alla luce del giorno. Misi a fuoco: una magica manciata di luce cadeva sul fogliame tremolante dei pioppi più alti, spingendosi giù sull’acqua fangosa del fiume. Ripresi le forze e fuggii terrorizzato, seguito da Dick. 
    Profonda frustrazione e terrore. Le nuvole si erano di nuovo chiuse. Era ripreso a piovere. La ragnatela dei fulmini e la furia del vento mi spingevano indietro. La terra tremò. D’istinto mi allontanai da quel posto insieme col cane, più terrorizzato di me. Un breve terremoto fece crollare grossi massi, ostruendo per sempre l’entrata della grotta. Ansimando, risalii il costone del colle e raggiunsi la provinciale. Per fortuna, arrivò un camion che raccolse me ed il mio cane inzuppati di acqua. Ci trasportò più sopra dove avevo parcheggiato l’auto. Nessuno ci avrebbe creduto e feci finta di essermi attardato nel bosco perché avevo perso il cane. Era stato sorpreso dal maltempo. Nel breve tragitto, il camionista mi aveva riferito di aver avvertito una breve scossa sismica. Si era fermato in una piazzola per sistemare meglio la merce che trasportava ed era stato strattonato dal terremoto. Era stata di certo una scossa sismica. In paese, confermarono che c’era stata una scossa del 4° grado e per fortuna non c’erano stati feriti, ma solo danni alle cose. Non pensavo a niente. Con insistenza, si rifaceva presente l’immagine della donna gigante e del dio della Morte che la custodiva nella grotta del Tempo. Realtà oltre remoti mondi. A volte, siamo fantasmi inconsapevoli in un’aliena oggettività. A volte, remote ombre di dei pagani riemergono nel presente.  Per darmi coraggio, ripetevo a me stesso: io non ho sognato ad occhi aperti. Poteva essere stata la scossa sismica ad aver sprigionato ancestrali forze ctonie dal ventre della terra. Mi martellavano le parole dette senza convinzione nella mia ultima conferenza:
    
    Le immagini arcaiche all’interno delle caverne hanno duplice aspetto: uno luminoso appartenente al mondo reale ed uno oscuro che può stare chiuso solo in una grotta buia.

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