mercoledì 7 agosto 2013

LA LUCE di Peppe Murro

Guardò la polvere rossiccia che i suoi sandali strascicati alzavano… si sentiva stanco, non ricordava quando aveva iniziato ad andare. Sapeva solo che lo aveva deciso quando sotto quel cielo rosso ed esangue aveva scorto un bagliore lungo l’orizzonte: non si era chiesto cosa fosse, gli pareva un miracolo il semplice fatto che al centro del suo sguardo si delineasse un punto di luce appena più chiaro di quel totale crepuscolo che avvolgeva il pianeta. Almeno così gli sembrava… quella notte senza stelle gli appariva come l’estremo lascito di un universo morente. E non si chiedeva se fosse vero o se tutto questo fosse uno dei  suoi pensieri da animale impaurito.
Talvolta, quando era molto più stanco di ora, si diceva che se avesse appena  intuito la lunghezza del viaggio non sarebbe mai partito… non gli pareva che esistesse ancora un dove, o un ciglio per riposare, o qualunque altra cosa promettesse sollievo. D’altronde, aveva persino dimenticato da quanto tempo camminava: la luce era sempre lì, misteriosa e promettente, e lontana… come sempre. Tanto lontana da sembrargli un miraggio, eppure tanto sicura da poterla credere l’estremo dono dell’ultimo dio rimasto a far compagnia agli uomini.
Sorrise dentro di sé con un sarcasmo amaro che gli bruciava la gola…gli uomini…! E quanti erano rimasti? E dove? Da quando era in viaggio aveva incontrato solo lo struscio esangue della sua ombra… e la solitudine impaurita del suo cuore nelle notti senza stelle. Ricordò un’antica leggenda che parlava di un disco chiaro che invadeva la notte stellata, quando il mondo era di luce… sorrise ancora a quella favola per bambini raccontata ad adulti che volevano sperare.
Si fermò un attimo, poggiandosi al bastone.
Era davvero stanco, aveva sete. Si accasciò senza volerlo e restò a guardarsi le mani immerse nella polvere: lentamente fece il gesto strano ed inutile di ripulire la destra sul mantello, guardò davanti a sé…
Quel punto chiaro spezzava la linea del suo sguardo come un richiamo…sospirò mentre si rialzava poggiandosi al bastone. Doveva andare, doveva sapere…
Gli sembrava atroce ed assurdo essere l’ultimo uomo;  non accettava, non voleva accettare questa condizione che gli appariva come una cattiveria non richiesta né meritata: c’erano altri, laggiù, che erano sopravvissuti e lo avrebbero accolto con la stessa gioia che lui sentiva al solo pensare a quell’incontro…!... altri che sapevano il motivo del cielo senza stelle e della catastrofe, altri che non avrebbero raccontato storie per bambini: finalmente avrebbe saputo, finalmente si sarebbe svestito della sua solitudine…
 Il bastone non faceva rumore affondando in quella polvere rossiccia che ricadeva subito nel solco dei suoi sandali…non voleva vedere la traccia del suo cammino, come non aveva mai voluto chiedersi da quanto tempo camminava: forse per non chiedersi della sua età che gli pareva infinita e insopportabile, come l’andare. Chissà, rifletté,  per quale motivo non si era mai chiesto della sua età, ma si sentiva vecchio, talvolta aveva espresso il desiderio sottile di non risvegliarsi in quel mondo di continuo tramonto.
Ma adesso c’era quel chiarore, era lì, reale e un giorno l’avrebbe raggiunto... ora, però, doveva riposare, era troppo stanco.
Si fermò, si accucciò nel suo mantello, si addormentò.
Forse lo risvegliò un battito più forte del suo cuore, forse un colpo di tosse…lentamente aprì il suo mantello, si scosse da dosso la polvere, si guardò intorno.
Il cielo aveva il tono rossastro di  sempre, una linea appena velata divideva l’orizzonte spaccando il buio in due parti ugualmente esangui…
Si stropicciò gli occhi, girò intorno lo sguardo cercandola: non c’era. Preso da una crescente frenesia provò a guardare a fondo, girandosi intorno… forse si era rivoltato nel sonno… era lì quella luce, non poteva essere scomparsa… non era possibile !
Era talmente sorpreso che non gli riuscì neppure di chiedersi il motivo della scomparsa.
Guardò a lungo, con studiata lentezza, fino a farsi dolere gli occhi…non c’era… quella luce che lo aveva spinto ad andare, che lo aveva sorretto nel viaggio era sparita! No, non poteva essere, certamente era lui che aveva smarrito… che cosa, gli rivelò un pensiero trafiggente ed amaro, se l’unico riferimento nell’orizzonte piatto era quel chiarore?!
Guardò ancora, corse attorno come ad afferrare qualcosa, mentre un urlo gli saliva dal ventre senza poterlo gridare…  il chiarore era scomparso; dovunque guardasse, tutto l’orizzonte mostrava il suo volto piatto e serale.
Si fermò, imponendosi la calma… sarebbe andato dritto davanti a lui, avrebbe ritrovato quella luce… e qual era il davanti?, si chiese sconfortato… dove poteva andare, se ogni direzione gli appariva uguale?
Perso… senza quel chiarore era perso… questa la verità. Come una torma di lupi i suoi pensieri lo aggredirono urlando le paure più nascoste, gridando le bestemmie più oscene, rinfacciandogli le illusioni più coccolate.
 Perso… perso in quel mondo senza promesse di salvezza, uomo moribondo in un mondo in agonia…
Respirò a fondo, chiuse gli occhi… lì riaprì, sperando e disperando di sognare.
Respirò quel vuoto.
Soltanto allora si rese conto della verità: non si era perso, era solo.
Solo, e quel mondo che agonizzava era la sua anima.                                    



2 commenti:

  1. Un cordiale benvenuto all’amico Peppe.
    Spero che, lavoro permettendo, possa inviare altri interessanti racconti di science-fiction o, comunque, fantastici.

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  2. Belle descrizioni per un racconto di fantascienza teso, dal finale sorprendente e simbolico. Riesce a catturare l'attenzione del lettore e non la molla fino all'ultima tiga.

    Giuseppe Novellino

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