venerdì 6 dicembre 2013

MIGRANTI di Peppe Murro




Sciamavano, fra bagliori improvvisi e tempeste di neutrini e si lasciavano portare dalle onde gravitazionali, milioni di puntini luminosi nel vortice nero del vuoto… sciamavano inerti, occhi chiusi e cuore in allerta.
Sciamavano… astronavi o mondi interi non lo sapeva e neanche lo interessava.
Li vedeva andare dal casco ricevuto in soccorso da quegli strani alieni, e si sentì completamente soddisfatto.
Fu allora che i suoi pensieri tornarono indietro, come a ripassare una storia che non gli apparteneva più, ma che era la sua. Ricordò, ricordò ogni cosa.
Non era comoda la prigione in LG97, due metri per tre senza finestra, ma dicevano che era quanto meritavano i criminali irrecuperabili…già, loro, la gente civile, che si chiudeva la sera in cubicoli ancora più piccoli e avvilenti, ma liberi, liberi di impiccarsi con pasticche e piastrine neuroniche per viaggiare felici nei sogni, e fingere vite senza incubi.
 Non dovevano farlo…! Condannarlo al peso di una solitudine desolante ed opprimente, in una scatola automatica diretta verso il niente, condannarlo al terrore del vuoto e per compagnia null’altro che i suoi pensieri.
Non dovevano farlo… era stato peggio che ucciderlo… una nuova tortura tecnologica e compassionevole, il vuoto e il non sapere.


Dove e quando fu risvegliato non gli sembrò importante, ma forse fu un bene liberarsi da quei sogni cui non poteva sfuggire, o dagli incubi che gli pulsavano di gelo nel cuore.
Avrebbe voluto disperatamente regalarne loro qualcuno, o più semplicemente far loro provare quanto si è soli in una scatola di plastica e acciaio che va per lo spazio silenziosa; già, avrebbe voluto davvero regalare al mondo intero qualcuno dei suoi incubi più atroci e sfrenati.
Ma si sentì stanco di colpo, provò goffamente a muovere un braccio… respirava a fatica. E quelle voci, quelle voci dentro la testa che non davano tregua come un artiglio graffiante di pena, come uno strazio dell’anima, assetato e insaziabile…


Non dovevano farlo… non era giusto prelevarli a gruppi e spedirli nello spazio a tentare non si sa che di nuovo… d’altronde loro erano gli irrecuperabili, i ruleout, quelli che non osannavano il mercato e il consumo, gli emarginati, per volere o per forza. Consumare… questo era l’obbligo assoluto.
 “Tutto deve essere tuo perché hai diritto alla felicità” era la sola legge, inderogabile, del pianeta: tutti uguali nella stessa leggerezza, nella stessa ubbidienza, nell’identico e mostruoso dovere di essere felici. Finalmente, si disse con un’inaspettata amarezza, s’era realizzata l’utopia della giustizia e dell’uguaglianza.
E pensare che quelli come lui non erano neppure “contro”, semplicemente erano “fuori”, se ne infischiavano dell’obbligo di consumare. Forse era questo il crimine più grande: fossero stati “contro” li avrebbero potuti etichettare e colpire, ma così… così diventavano sguscianti e di cattivo esempio per la gente perbene, che non doveva capire come fosse possibile una vita diversa dal sognare vetrine. Per questo dovevano essere imprigionati, per questo li usavano come carne da macello per improbabili conquiste spaziali o esplorazioni senza ritorno.
Inadatti al consumo, dunque inutili e socialmente pericolosi… mandarli in missione sembrava quasi un gesto riparatorio e pietoso attraverso cui avrebbero avuto la loro redenzione.


Chiuse per un attimo gli occhi, cercò di fare un respiro profondo… per questo lo avevano gettato in quella parte inesplorata dello spazio, calato su una scheggia di roccia che ruotava da qualche parte…
E lì aveva sentito le voci, mentre guardava con ansia la melma di metano in cui sprofondava la sua nave spaziale. Parlavano, chiedevano, ululanti ed urgenti, a milioni.
Sentiva nella sua testa un che di disperato e vorace, percepì l’esilio e la fame, lo attanagliò fin nelle visceri la voglia di possesso, di una patria, di una casa, di una scodella… si sentì preso dalla stessa infinita irragionevolezza di chi vuole.
Capì che lui doveva indicare lo scopo, la patria, la fine della mancanza.
E come in un lampo lo afferrò la rabbia verso chi lo aveva mandato a morire su quella forca di metano, gli vennero in mente i nomi, i volti, i paesaggi… il terzo pianeta…
Il terzo pianeta, involgarito e letale, in un sistema marginale di una galassia qualsiasi…
Pensò alla sua vita, alla sua casa, a quel mondo luccicante e senza misericordia; pensò che stava morendo, e una rabbia incontenibile quasi gli scoppiò dentro quel casco: ci voleva una vendetta per tutti gli emarginati della terra, una vendetta di migranti, che portassero morte e terrore tra quelle vetrine istupidite da finte giovinezze, consumate in trapianti d’organi e leggins push-up bionici.
Ci voleva una vendetta di migranti-briganti.
Di colpo si sentì quieto, soddisfatto, in pace con se stesso. Sentì rilassarsi tutto il suo corpo; forse, ma non ne era certo, gli nacque un sorriso da dentro.
Ed ora li vedeva… sciamavano veloci nel nero più fondo, a milioni verso un puntino di luce. Sciamavano come migranti verso una nuova patria, come naufraghi in cerca di un approdo, o vampiri a caccia di nuove prede.
Si sentì morire, mentre il respiro diventava più affannoso.
Nel suo rantolo finale sorrise di odio… sì, sciamavano, a ondate, nel vuoto nero silenzioso dove sembrava che anche le stelle si perdessero, sciamavano crudeli e fameliche verso il terzo pianeta… cavallette, cavallette spaziali a compimento della sua vendetta.  

4 commenti:

  1. Racconto fantascientifico di suggestiva descrizione interiore: descrizione di pensieri, sentimenti, sensazioni. Molto bello.

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  2. Bello questo racconto!
    Scritto molto bene e davvero suggestivo.
    Complimenti!

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  3. Il pregio fondamentale di questo racconto, secondo me, è l'accostamento tra il mondo interiore e quello cosmico, sfuggente, insondabile, misterioso. Poi ci sono altri aspetti, quello fantasociologico e addirittura fantapolitico. Insomma un racconto denso e capace di catturare l'attenzione, scritto in modo vivace, con efficaci pennellate descrittive di realtà siderali.

    Giuseppe Novellino

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  4. Interessante e ben scritto.
    Un racconto sf moralista e intimo molto originale.

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