domenica 23 febbraio 2014

CARNE FRESCA PER JUAN TORRES di Giuseppe Novellino

 
  Alamito

     Adagiata nel fondovalle pietroso, non era altro che un insieme di costruzioni riunite intorno all’antica chiesetta spagnola. Il sole faceva risaltare alcune casupole bianche che si mischiavano con altre in legno e pietra porosa.
     - E quella sarebbe una città? – disse Aleardo Pink, sputando un bolo di tabacco. Scorreva del sangue messicano, nelle sue vene. Eppure non aveva il cuore tenero per i mangiafagioli. Suo padre era stato un combattente per l’indipendenza del Texas, aveva sposato una bella contadina di Matamoros che gli aveva dato lui come unico figlio.
     - Hai ragione. Se il Texas assomiglia a una vecchia baldracca seduta, quello è il buco del culo – convenne Keith Whitcomb. Si era tolto il largo cappello e si asciugava la fronte madida. I suoi capelli rossicci si accompagnavano agli occhi azzurri: il classico uomo venuto dall’Est, in cerca di fortuna.
     I due, fermi sui loro cavalli in cima all’arida collina, osservavano l’agglomerato di case. Nel cielo, senza una nuvola, volteggiavano due avvoltoi. Di sicuro stavano individuando qualche carogna da spartirsi, ma dovevano essere intimoriti dagli abitanti della cittadina.
     - Sei sicuro che Juan Torres si trovi laggiù?
     Keith si rimise il cappello. – Adesso che hai visto il posto ti tornano i dubbi, non è vero?
     - Umana debolezza...
     - Eppure le informazioni su Juan sono attendibili. Se lui ha fatto sosta laggiù, ce lo troveremo; se se ne è già andato, qualcuno ci dirà dove.
     - Mille dollari a testa, se non mi fanno difetto le tabelline.
     - Certo, amico, un bel compenso. – E gli lanciò un’occhiata di sbieco. Era infatti un prezzo ragionevole per assicurare alla giustizia un balordo ricercato come Juan Torres: una mezza tacca di bandito che aveva contribuito a fare un bel po’ di casino dalle parti di Lubbock.
     - A meno che il mangiafagioli ci abbia fatto fessi… e non sia passato di qui.
     - Dubito. Ci sono solo rocce e aride colline tra il Pecos e il confine con il Messico. Di sicuro sarà passato da Alamito, se non altro per fare rifornimento d’acqua e sciacquarsi la gola con un po’ di tequila.
     Gli avvoltoi si erano eclissati dietro una cresta.
     - Okay, andiamo.
     Cominciarono a scendere lungo il fianco sassoso della montagnola.
     Quando furono alle porte della cittadina, si resero conto che c’era qualcosa di sbagliato. La via principale, che cominciava tra due file di bianche casupole in muratura, appariva del tutto deserta. Strano, non era ancora l’ora della siesta.
     Keith e Aleardo misero i loro cavalli al passo.
     - C’è una quiete insolita in questo buco – disse il primo.
     Poi giunse alle loro orecchie quello strano suono: un battere di legno contro legno, costante ma senza ritmo. Forse un’imposta che continuava a sbattere. Tuttavia non era possibile senza un alito di brezza. Il sole di quasi mezzogiorno dardeggiava implacabile.
     - Qualcuno c’è, dopotutto, in questa fetida cittadina di confine – disse Aleardo.
     Infatti un ragazzino, seduto sulla soglia di casa sua, batteva continuamente un nodoso bastone contro la pancia di un barilotto vuoto.
     - Spiegato il rumore – convenne Keith.
     Lo osservarono entrambi: teneva il capo chino e lo dondolava come avrebbe fatto uno scimpanzé. E quel suo picchiare era alquanto sinistro.
     Intanto erano arrivati in prossimità del saloon. I vetri della finestra erano infranti. La scritta “Dillon’s” pendeva tutta storta, dando un senso di desolazione e di abbandono.
     Smontarono.
     - Ehi, guarda come cammina – avvertì Aleardo.
     Il ragazzo stava attraversando la strada, in diagonale, e veniva verso di loro.
     - Sembra una marionetta – osservò Keith, spingendo il cappello sulla nuca.
     Quello veniva verso di loro ma il suo sguardo era perso nel vuoto
     Lo lasciarono avvicinarsi.
     - Che vuoi, ragazzo? – disse Aleardo.
     Il volto del giovane era pallido, con due occhiaie scure. Dalla bocca semiaperta usciva un rigagnolo di bava verdastra.
     - Oddio! – esclamò il mezzo messicano.
     Poi il ragazzino gli si avventò contro e lo addentò su una guancia.
     Keith estrasse la pistola e lo colpì in una coscia. Quello lasciò la presa e vacillò per un attimo, ma poi si scagliò ancora contro Aleardo.
     - Toglimi questo animale di dosso! – sbraitò quest’ultimo.
     Keith sparò di nuovo, lo beccò in pieno torace. Ma quello continuava nella sua aggressione. Allora gli fece esplodere un colpo in testa. Il ragazzo stramazzò al suolo e non si mosse più.
     Aleardo imprecò. Il sangue gli sgorgava da una mano e dalla mascella.
     - Vieni, entriamo nel locale – disse Keih, la pistola in pugno.
     Una porta, dall’altra parte della strada, fu spalancata.
     Dalla vecchia chiesetta spagnola venne uno sgangherato scampanio.
     L’interno era nella penombra e nel silenzio. Vi stagnava un odore immondo. Sedie e tavoli erano rovesciati, come se ci fosse stata una zuffa colossale.
     - Per la miseria! – fece Keith.
     Poi videro Juan Torres, il ricercato. Era spuntato da dietro il bancone. Lo riconobbero subito, perché un raggio di sole, entrando dalla finestra, illuminava la sua faccia. Ma era anche quella di un cadavere.
     Rimasero immobili, come paralizzati, osservando il loro uomo scavalcare il bancone con movimenti del tutto scoordinati. Emetteva rauchi suoni animaleschi. Poi si lanciò su di loro.
     Anche Aleardo estrasse la Colt ed entrambi fecero fuoco. Ma quello avanzava come se fosse colpito da sassolini, inciampava nelle sedie e subito si raddrizzava, venendo verso di loro con le braccia protese in avanti.
    - Alla testa! – grido Keith. – Spara alla testa.
    Un colpo sulla nuca fece vacillare Juan Torres, che stramazzò sopra un tavolo sbilenco.
    - Via di qui! – ordinò Keith.
    Ma fuori li aspettava un’altra sorpresa.
    Un capannello di gente circondava i due cavalli, che nitrivano e scalpitavano in preda al terrore.
    Keith, riavutosi per primo dalla sorpresa, balzò in sella al suo, mentre Aleardo rimase con un piede nella staffa. Una donna anziana, vestita di nero, e un giovanotto scalzo gli furono addosso. Lei lo azzannò al collo; lui addentò il cranio.
    Il cavallo di Aleardo si alzò sulle zampe posteriori, emise un nitrito di terrore e prese a correre verso la chiesetta, trascinandosi dietro il corpo di Aleardo con attaccati i due assalitori.
    Keith cominciava a capire l’allucinante realtà in cui era piombato. Estrasse la pistola e fece fuoco verso quella marmaglia, mirando alla testa. E prima di spronare il suo cavallo verso la parte da cui era entrato in città, sentì un dolore acuto a un polpaccio. Un tizio dalla pancia prominente, con la stella di sceriffo ben visibile sulla camicia, gli aveva dato un morso bestiale. Gli sparò in fronte, e via.
     Nel galoppare verso l’uscita della cittadina, travolse una giovane donna dai sciolti capelli biondi.
     Risalì il versante da cui erano discesi, lui e il suo compagno, poco prima. La campana continuava a far risuonare i suoi stonati rintocchi. E quando fu sulla cresta brulla della collina, Keith Withcomb si chinò sul collo del suo cavallo. Il polpaccio sanguinava e gli procurava dolori lancinanti.
   Prima di  cadere su un lato, privo di vita, vide i due avvoltoi volare ancora nel cielo luminoso del mezzogiorno. Ma ebbe il fuggevole pensiero che non avrebbero cercato il suo corpo.
  


3 commenti:

  1. Bellissimo racconto di ispirazione western dell'amico Giuseppe: avvincente, pieno di suspense. Lettura piacevole.

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  2. Un altro magnifico racconto in stile western di Giuseppe.

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  3. Prosegue il filone western, pian piano Giuseppe, stai contemplando tutti i paesaggi dal nord a sud degli states. bello il racconto, mi ha fatto pensare a "dal tramonto all'alba"

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