venerdì 12 aprile 2013

L’UOMO CHE ERA STATO UN PAPAVERO di Sergio Bissoli





Ne ho incontrati molti di tipi strani. Ho conosciuto un tale il quale affermava che gli uomini e le creature sono lo sterco di Dio. Un altro credeva che la vita fosse un gioco creato per il divertimento degli Dèi.
Sono uomini che i casi della vita hanno reso filosofi, ma la loro visione del mondo non comparirà sui libri di filosofia.
Ma il più strano di tutti è stato l’incontro con un vagabondo il quale credeva di essere stato un fiore.
Era di giugno, la strada era dritta e deserta fiancheggiata da qualche pioppo. Avrei dovuto percorrerla tutta poiché la mia automobile si era arrestata con il motore che fumava.
Verso mezzogiorno cammino ancora. Il sole è alto nel cielo celeste. La brezza calda fa oscillare il frumento nei campi.
In fondo alla strada un’ombra scura si muove lentamente. Quando gli sono più vicino mi accorgo che si tratta di un hippy con un lungo pastrano nero dagli orli sbrindellati. Cammina a piedi scalzi, sotto il sole e poiché va nella mia stessa direzione dopo un po’ lo raggiungo.
Incuriosito dallo strano personaggio mi affianco con prudenza. L’uomo cammina come in trance, ignorando completamente la mia presenza. Allora provo a domandargli:
“Va lontano?”
Alla mia voce l’uomo pare risvegliarsi. Mi guarda con i suoi grandi occhi chiari. Ha i capelli lunghi e la barba incolta ricopre il suo viso scarno e bruno.
Praha” risponde con accento straniero.
“E... da dove viene?”
Nessuna risposta. Gli ripeto la domanda ma l’uomo sembra ritornato nel suo stato di intensa concentrazione che gli fa dimenticare il mondo.
Tiro fuori una moneta e gliela offro. Ma lui scuote la testa e ha una espressione di sdegno. Sembra un veggente, un mago o un profeta. Prima di lasciarlo gli rivolgo un’ultima domanda:
“Ha incontrato Dio?”
L’uomo mi guarda con una espressione intensa, senza parlare. Poi si volta e riprende a camminare.
Gli alti campi di grano ondeggiano accarezzati dalla brezza accanto a noi. All’improvviso l’uomo pare svegliarsi dal suo sonnambulismo. Il suo volto assume una espressione radiosa, come se avesse riconosciuto qualcuno o qualcosa di invisibile.
Lo vedo mentre scende giù nel campo quasi di corsa. Adesso allarga le braccia, poi cade in ginocchio...
Mi fermo ad osservarlo a distanza. Che cosa c’è? Che cosa vede?
Il suo volto è percorso da brividi di felicità. Lacrime gli scendono dagli occhi, ma sono lacrime di gioia. Adesso si piega fino a sfiorare con le labbra un cespuglio di papaveri e rimane immobile, estasiato.
Anziché andarmene mi fermo per osservarlo. Passano alcuni minuti, finché l’uomo lentamente si alza. Sembra stanco, spossato, ma molto felice. Mi viene incontro sorridendo e sussurra qualcosa, come per rendermi partecipe della sua gioia:
“É sempre una emozione rivedere quello che sono stato prima.”
“Che cosa intende dire?” gli chiedo stupito.
“Forse ha anche lei un fiore che le piace particolarmente?”
“Certo! mi piacciono le ninfee, i glicini, la camomilla, il gelsomino, la robinia...”
Mi interrompe:
“No. Non è questo. Io intendevo dire: prova una certa affinità con qualche specie vegetale? Io ad esempio – sento – i papaveri.”
“Le piacerà il colore rosso, suppongo.”
“Al contrario; odio tutte le cose rosse poiché io amo il nero. I papaveri costituiscono l’unica eccezione.”
“Non capisco...”
“Provi a pensare se c’è un vegetale o un animale per il quale prova una profonda attrazione. Ecco, in una vita precedente lei era quello. O anche una grande avversione se in quella forma vivente lei ha sofferto.”
Dopo aver detto questo sembra ritornare nel suo stato di trance. Non parla più adesso. Gli occhi si fissano su un punto lontano e cammina come un sonnambulo. Lo guardo mentre si allontana; io invece mi dirigo verso il paese.
Sono quasi le due. Devo trovare al più presto un meccanico, devo risolvere i soliti problemi materiali.
Il sole alto su di me illumina le prime case. Penso alla mia vita e al mio incontro con quello strano hippy.

(Per gentile concessione dell’Autore)

1 commento:

  1. Originale variazione sul tema della reincarnazione. Il racconto è suggestivo anche perchè venato da una certa languida malinconia.

    Giuseppe Novellino

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