giovedì 23 gennaio 2014

DADA UMPAAARRGH ! Di Fabio Calabrese



Terry Brunetti si avviò mollemente per la strada camminando con un’andatura flessuosa che faceva oscillare le rotondità dei glutei in un altalenare ritmico. Tra l’orlo della minigonna, a due spanne dal peritoneo ed i piedi infilati in due zatteroni dalla zeppa altissima, c’era un paio di gambe vertiginose e statuarie inguainate in un collant fumé. La minigonna e la camicetta di pizzo nero, anch’essa corta ed aderente che sfiorava appena l’ombelico, mettevano in evidenza i fianchi larghi e la vita sottile. I seni, ai quali pure il passo imponeva una lieve danza ritmica, erano due provocanti emisferi ben torniti che sporgevano dalla cassa toracica come un perentorio richiamo, guardando con un po’ di attenzione, neppure troppa, si potevano scorgere sotto il pizzo della camicetta i grossi capezzoli che sporgevano da essi con decisione. Sopra un collo sottile ed allungato che avrebbe fatto l’invidia delle  modelle di Modigliani, il viso rivelava una bocca dalle labbra carnose che sporgevano sensualmente, ed un paio di occhi grandi e neri sottolineati da ciglia la cui lunghezza poteva misurarsi in unità astronomiche.
Incontrando Terry, chiunque appartenesse sia pure vagamente al sesso maschile, non poteva fare a meno di voltarsi, e chiunque non fosse del tutto digiuno di cultura cinematografica avrebbe notato la somiglianza con Jessica Rabbit, tranne che per i capelli che scendevano fin quasi alla vita e che invece di essere rossi e solo lievemente ondulati, erano neri e ricciuti.
Terry, giunta alla fine di un viottolo, estrasse un bigliettino dalla borsa a sacco che portava a tracolla, e lo confrontò con l’iscrizione della targa sul cancello che chiudeva la via e delimitava l’accesso ad un’elegante villa a due piani immersa nel verde e nella tranquillità di un giardino all’inglese che si estendeva subito al di là di esso. Sì, era quella la clinica del dottor Gilez per cui era stata caldamente raccomandata. Suonò con decisione il campanello.
“Chi è?”, chiese al citofono una voce maschile lievemente assonnata.
“Porca miseria che sventola!”, sentì aggiungere poco dopo in tono lievemente più basso, e le venne aperto prima ancora che si presentasse, era chiaro che la portineria disponeva di una telecamera a circuito chiuso.
Percorse rapidamente il vialetto che separava il cancello dall’ingresso della clinica, aprì la porta e si trovò davanti al banco dell’accettazione. Dall’altra parte era seduto un giovanotto in camice. Terry lo valutò rapidamente, era un tipo abbastanza comune anche se non brutto, con l’aria da dottorino fresco di laurea.
“Buon, buon gi...giorno”, balbettò lui senza staccarle un secondo gli occhi di dosso. “Io sono Angeli, il me...medico di guardia, con chi ho il piacere?”
Terry gli mise sotto il naso le sue referenze, ma lui non le degnò di un’occhiata, il suo sguardo era perso nella scollatura di lei.
“Sono la nuova infermiera”, disse. “Brunetti, Maria Teresa Brunetti, però per piacere mi chiami Terry, lo fanno tutti!”
“Co...come preferisce”, farfugliò lui, poi parve ritrovare un minimo di lucidità ed aggiunse: “Un momento, avviso subito il dottor Gilez”. Schiacciò il pulsante del citofono e disse qualcosa, poi aggiunse: “Si accomodi, il dottore l’aspetta”.
Terry entrò nell’anticamera dello studio, l’ambiente elegantemente ammobiliato non mancava di una certa pretenziosità. Si soffermò ad osservare la libreria alla parete, i titoli dei volumi che vi erano esposti erano tutti classici della psicanalisi: Psicopatologia della vita quotidiana e L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, Psicopatologia dei sogni e L’interpretazione della vita quotidiana di Leonard Gilez, Il caso di Leonard Zelig, il camaleonte umano di W. Allen, Moby Dick di Hermann Melville, Moby Dick di Michele Santoro.
“Afanti!”, disse una voce leggermente nasale da oltre la porta interna dello studio.
“Si accomodi, sig.norina (con la “g” dura) ”, disse il dottor Gilez a Terry che era entrata, indicandole la poltrona davanti alla sua scrivania, parlava l’italiano con l’accento tedesco fasullo di un ebreo moravo.
Terry vide che il dottor Gilez era un uomo attempato ma non vecchio, con i capelli grigi, una semicalvizie, un paio di occhiali dalle lenti spesse, i baffi ed il pizzetto, somigliava moltissimo alle foto che aveva visto di Sigmund Freud. Non le piacque però il suo sguardo freddo: non che il dottore non avesse un atteggiamento cordiale, ma non vi si coglievano segni d’interesse sessuale. Terry sapeva di piacere agli uomini, e piacere agli uomini le piaceva. Il solo maschio di età inferiore agli ottant’anni che non la degnasse di considerazione sotto questo punto di vista, per quanto ne sapeva, era un giovanotto che aveva avuto come vicino di casa, ma certamente c’entrava il fatto che questo ragazzo si guadagnasse da vivere passeggiando la sera lungo i viali in minigonna, tacchi alti e parrucca platinata, e si facesse chiamare Vanda.
“Molto pene, sig.norina Brunetti”, disse il dottor Gilez, “Fedo che ha un curriculum eccellente. Posso chiedere perché ha lasciato la casa di cura dove lavorava prima per fenire in una clinica per malattie nerfose?”
“Pare”, rispose Terry, “che la mia presenza fosse controindicata per i cardiopatici”.
“Cià, cià, io capisce”.


Il lavoro non era troppo difficile, bastava distribuire in giro tranquillanti, antidepressivi e sonniferi, occorreva solo ricordarsi di non dare antidepressivi ai pazienti in fase maniacale. Quella sera, Terry aveva il turno di guardia notturno assieme al dottor Angeli. Per sicurezza, aveva dato doppia dose di sonniferi a tutti, anche ai catatonici. Il dottor Angeli non era la reincarnazione del dio Apollo, ma era pur sempre il maschio più presentabile e più appetibile che ci fosse nelle vicinanze, e Terry aveva una gran voglia di sentire la carne di un uomo dentro la sua.
Alberto Angeli sedeva al banco dell’accettazione/pronto soccorso con aria annoiata.
“È molto calma, questa sera”, commentò.
“Ho preparato il caffè, Alberto”, disse Terry dirigendosi ancheggiando verso di lui con in mano un vassoio che reggeva una caffettiera e due tazze, aveva già sbottonato il camice, e sotto di esso indossava una minigonna molto mini ed una camicetta molto, mooolto scollata.
Il dottor Angeli la guardò con ammirazione: c’era da chiedersi come facesse a mantenere in equilibrio un vassoio muovendosi con un passo così elastico. Terry posò la caffettiera sul banco stando bene attenta a mettere i suoi seni proprio contro la faccia di lui. Il respiro del dottore si fece ansante e gli occhiali gli si appannarono. Lei strofinò la guancia contro la sua, le piaceva sentire un’epidermide maschile resa ruvida dall’ombra di barba.
“Dai, Angeli”, mormorò con voce roca, “tira fuori il diavolo che c’è in te”.
Il bello di lavorare in un ospedale, è che è un luogo dove i letti davvero non mancano. Terry ed Angeli si ritrovarono su uno di quelli dell’astanteria quasi senza rendersi conto di come ci erano arrivati. Lei gli sbottonò di prepotenza la camicia, mettendosi a mordicchiare i piccoli capezzoli sperduti nella pelosità del torace, poi le sue mani erano corse a sentir crescere e fiorire fra i palmi il membro di lui, e mentre Angeli l’assecondava con un’aria di inebetita soddisfazione, con un unico movimento rapido che pareva il gesto di un prestigiatore, si liberò di zoccoli, collant e mutandine e si avvinghiò all’uomo stringendogli il bacino con le gambe in modo che l’asta di lui penetrasse il suo pube, poi si mise a dondolare ritmicamente con il corpo dell’uomo sotto di sé, con tutta la carne attraversata da ondate pulsanti di piacere, fino a quando le sembrò che il suo cervello esplodesse in una paradisiaca detonazione.


“Che curioso bambolotto! Che cos’è?”, chiese Terry.
Sulla scrivania del dottor Gilez era poggiato un pupazzo alto una sessantina di centimetri che riproduceva le sembianze di un uomo dai capelli neri con una semicalvizie e la faccia incorniciata da baffi e pizzetto neri, vestito con un abito nero composto di pantaloni, giacca a doppio petto e panciotto; l’impressione d’insieme era di uno straordinario realismo.
“Qvesto non è bambolotto, qvesto è pogo”, rispose il dottor Gilez nel suo pessimo italiano. “Lei, sig.norina sa cosa è pogo?”
“Non sono quei bastoni a molla che usano i ragazzi per saltare?”, chiese Terry.
“Ia, ma pogo è anche fumetto che era una volta, mi ha sembrato nome ideale per qvesti pupazzi molto speziali da me inventati per curare sindrome di Zelig. Lei conosce sindrome di Zelig? È sindrome che soggetto imita persone a lui vicine cambiando aspetto e identità come camaleonte, ia, caso più famoso, da che nome, Leonard Zelig, camaleonte umano studiato da grande psichiatra Woody Allen. Lei conosce? Pogo dà possibilità a soggetto di scegliere e conservare un’identità permanente. Oggi aspettiamo per visita di controllo due pazienti molto speziali e grandi amici che seguo molti anni or sono. Luigi Ma Chi? e Silvio Sosia, sentito mai parlare?”
“No”, rispose Terry, “mai sentiti”.
“Strano, loro direttori Telos, grande rivista fantascienza on line, se tu ha Internet, meglio che TV sorrisi e canzoni. Fatti incontrati io. Se tu ha sindrome di Zelig, meglio se è due, si aiuta a vicenda a rimanere stabili, si difende meglio da influenze esterne, e poi un pogo in due si risparmia!”
Il dottor Gilez era così eccitato da sembrare quasi umano.
Nel pomeriggio una grossa automobile di colore grigio metallizzato si fermò davanti al cancello della clinica. Il dottore corse di persona ad aprire il cancello in preda all’entusiasmo. Dalla macchina uscirono due uomini dai capelli neri con una semicalvizie e la faccia incorniciata da baffi e pizzetto neri, vestiti con abiti neri composti da giacca, pantaloni e panciotto.
“Luigi, Silvio, fenite”, disse il dottore, “Ah, tu non è Silvio e tu Luigi? Tu è Luigi e tu è Silvio? Io distratto!”
“Fostro nuovo pogo qvasi pronto”, proseguì ilare il dottor Gilez, “Intanto noi fa tutti soliti controlli. Domani tutto fatto. Allora io ricorda. Importante leggere tutti i giorni qvalche pagina Moby Dick. Se qvesto non possibile, gvardare trasmissione Moby Dick di Michele Santoro, se neppure qvesto possibile, fissare per un poco di tempo modellino di balena, meglio se bianco”.
Il dottore fece strada ai due nuovi arrivati fino al suo studio, mentre Terry li guardava divertita, constatando con sorpresa non solo la somiglianza reciproca nei lineamenti, nel modo di fare, nell’abbigliamento, ma anche la somiglianza con il pogo che aveva visto sulla scrivania del suo datore di lavoro.
“Pogo nuovo qvasi pronto”, disse il dottor Gilez. “Io intanto dà pogo provvisori, se volete foi divertire, io presta qvesti”.
Estrasse dall’armadietto accanto alla scrivania due pogo, uno era una figura femminile che avrebbe potuto passare per una bambola tranne per il fatto che era perfetta in tutti i particolari anatomici, l’altro era una specie di Big Jim.
“Allora”, Terry sentì Luigi dire a Silvio (o Silvio dire a Luigi), “chi prende il pogo maschile e chi quello femminile?”
“Decidiamo nel solito modo”.
“Ambarabaciccicocò”.
Terry pensò che fosse giunto il momento di smettere di origliare con discrezione, e di tornare discretamente alle proprie incombenze.


“Attenta, tu lustra pafimento con tua faccia!”
Terry sollevò lo sguardo imbronciato ad incontrare il volto ilare del dottor Gilez.
“Forse io sa tuo problema e può aiutare”, disse lo psichiatra, “tu ha fatto zin-zin con dottor Angeli, non è vero?”
“Come lo sa?”, chiese Terry. “Gliel’ha detto?”
“Certo che no, ma l’altra mattina tu ha faccia di una che ha fatto zin-zin sera prima. Con me, io so che no, con altre infermiere non sembri tipo, resta Angeli, elementare, Watson. Niente di male fare zin-zin con dottor Angeli, io so che lui bravo ragazzo, ma ora tua faccia dice che foi provato di nuofo ieri sera e nisba, buca, lui fatto cilecca, n’est pas?
Terry annuì tristemente.
“Io sa perché e può aiutare”, disse il dottore. “Tu troppo sensuale, aggressifa, tu piace a uomini, ma anche li spafenta. Prima volta andato tutto pene perché preso Angeli alla sprovvista, seconda volta uccellino troppo nervoso per volare. Madonna complex, vecchia storia”.
“Allora, cosa devo fare?”
“Cara ragazza, essere un pochino più tranquilla, più rilassata, moderare i tuoi istinti, zin-zin è difertimento, non maratona di New York, ed io può aiutare, tu segue me in mio studio”.
Nello studio, il dottor Gilez aprì l’armadietto dei pogo e ne tolse uno in abiti monacali.
Terry guardò il manichino – suora dall’espressione arcigna con ribrezzo.
“Cosa?”, disse con un moto di disgusto. “E dovrei trasformarmi in una monaca?”
“No, certo che no”, disse il dottore, “Se tu non ha sindrome di Zelig, pogo non ha effetto fino a qvesto punto, solo modera un poco tuoi istinti”.
Terry si recò nella sua stanza e cercò di concentrarsi sul pogo come le aveva spiegato il dottor Gilez. Non era per nulla facile entrare in sintonia con quell’arcigno pupazzo, si sforzò di rievocare i ricordi dell’infanzia, di quando aveva fatto il catechismo e la prima comunione, poi d’immaginarsi con l’abito monacale, di evocare sentimenti mistici, e lentamente finì per provare una specie di senso di fusione...una sensazione di contentezza le attraversò la mente: stava per arrivare un’infornata di novizie, e già pregustava il contatto con le loro carni tenere e bianche. Con sforzo, si strappò da quella visione.
“Che schifo”, pensò. “Che schifo!”
Era incredibile la quantità di porcherie che si facevano entro le mura dei conventi, e poi le ci voleva proprio di diventare lesbica, pensò nauseata.
Con rabbia, scagliò il pogo in un angolo, poi, per essere sicura che non potesse avere ulteriore influenza su di lei, lo raccolse e l’andò a gettare nell’inceneritore di rifiuti della clinica.
“Non c’è niente in me che non vada”, pensò. “Il problema è di Alberto”.
Ma come lo si poteva aiutare? Una dose di valium l’avrebbe lasciato calmo e rilassato, ma ugualmente con l’asta pendula. Si ricordò dei due pogo che il dottor Gilez aveva dato a Silvio Sosia e Luigi Ma Chi? Al momento, i due direttori di Telos non erano nella clinica, essendo più ospiti che pazienti, erano andati a fare una passeggiata o forse acquisti in centro città. Il pogo maschile, pensò, sarebbe servito a rafforzare la momentaneamente inceppata virilità di Alberto Angeli. Si recò nella camera che il dottor Gilez aveva fatto assegnare ai due: i pogo erano poggiati sui comodini ai lati dei letti, prese senza esitare il Big Jim.
Terry non era ancora riuscita a vedere il dottor Angeli per dargli il pogo. Alberto era stato impegnato nel consueto giro di viste, poi era uscito dalla clinica per sbrigare una faccenda urgente. In quel momento, Maria Teresa Brunetti sedeva al computer per registrare le variazioni su alcune cartelle cliniche. Ad un tratto lo schermo cambiò, emettendo una luce verdastra abbagliante, e ne emerse una specie di ectoplasma verdastro che l’avvolse tutta, tenendola bloccata alla poltrona, incapace di muoversi. La schermata sul monitor venne sostituita da una scritta:
“RESTITUISCI IL POGO CHE HAI RUBATO!”
Sosia e Ma Chi?, erano certamente loro, si era dimenticata che erano degli esperti in diavolerie elettroniche!
Terry sapeva di essersi comportata male, e sarebbe stata più che disposta a chiedere scusa ed a restituire il maltolto se soltanto glielo avessero chiesto nelle dovute forme, ma non sopportava la maleducazione.
“Neanche per sogno!”, rispose decisa.
La scritta lampeggiò.
“AVANTI!, DOVE È IL POGO?”
“Cercatelo da soli, e andate a farvi fottere, ma quello lo fate già!”
“È LA TUA ULTIMA PAROLA?”
“Si”.
Dallo schermo uscì un nuovo ectoplasma elettronico, più denso dell’altro, sembrava una specie di grande lingua verdastra, che prese a passare su ogni parte del suo corpo, strappandole brividi e gemiti, eppure non era una sensazione spiacevole, non era affatto spiacevole, e questa era in un certo senso la cosa peggiore, poi l’ectoplasma, in tutto simile ad un pene etereo ma stranamente consistente, si aprì la strada fra le sue cosce e poi all’interno del suo corpo, con insistenza eppure con delicatezza, su e giù, fino a farla urlare come non le era mai avvenuto con nessun uomo, e poi ritrarsi lasciandola inebetita.
Quando si riebbe dallo stordimento, Terry si accorse che l’intensità dell’orgasmo mitigava appena la rabbia per essere stata vittima di uno stupro elettronico. Non aveva mai permesso a nessun uomo di trattarla così, né l’avrebbe mai permesso. Quei due la dovevano pagare!
In pochi istanti architettò la sua vendetta, e decise di porla in essere senza perdere tempo.
Per prima cosa, telefonò alla radio – taxi. Doveva esserci un taxi pronto ad aspettarla fuori dalla clinica non appena avesse finito, quindi si procurò un sacco di quelli che si usavano per la biancheria sporca e si recò nello studio del dottor Gilez che in quel momento era deserto. Aveva fortuna, il pogo di Sosia e Ma Chi? era ancora sulla scrivania, l’agguantò e lo scaraventò nel sacco, ma sapeva che non bastava. L’armadietto dei pogo era chiuso, ma si trattava di una semplice chiusura a combinazione, nulla che potesse resistere ad una buona limetta per unghie e ad una donna infuriata, lo scassinò e ne vuotò il contenuto dentro il sacco. Un pogo che le capitò fra le mani era la riproduzione perfetta in ogni minimo dettaglio di Sigmund Freud: capì, il dottor Gilez era lui stesso uno dei suoi pazienti. Per un istante fu tentata di rimetterlo a posto, ma questo avrebbe significato rinunciare alla sua vendetta.
“Al diavolo!” pensò. “Quel vecchio saccente e impotente merita anche lui una lezione”.
Corse fuori dalla clinica, balzò sul taxi che l’aspettava, disse all’autista di portarla fuori di città alla massima velocità possibile e si lasciò la clinica alle spalle. L’ultima notizia che abbiamo di lei ci è stata riferita dall’autista del taxi che la vide gettare oltre la spalletta di un canale d’irrigazione il grosso sacco che aveva con sé.
Il dottor Gilez era appena rientrato nella clinica quando si accorse che qualcosa non andava. Le sue mani stavano assumendo il colore e il disegno della tappezzeria.
“Non ci sono più...pogo”, riuscì a mormorare con un filo di voce rivolto a Sosia e Ma Chi? che erano chini sul loro personal portatile e sembravano intenti a qualche misteriosa alchimia, poi il suo corpo cominciò a fondersi come cera, a liquefarsi, a confondersi con l’ambiente. Silvio e Luigi compresero che non c’era un istante da perdere, dovevano trovare subito un surrogato di pogo: un pupazzo, un bambolotto, una figurina Panini!
Su quello che accadde subito dopo, c’è una grande incertezza: la polizia ha raccolto la testimonianza di una ragazzina ricoverata nella clinica per anoressia, che ha dichiarato di aver visto qualcosa di simile ad una figura umana che sembrava fatta di cera che colava introdursi nella sua camera e rubare la sua bambola Barbie. Questa testimonianza è in genere considerata un sogno od un’allucinazione prodotta dalla febbre.
I dati certi di cui disponiamo sono questi: Maria Teresa Brunetti è scomparsa senza dare notizie di sé, attualmente è ricercata per furto con scasso. Neppure del dottor Gilez si hanno notizie, la sua clinica è diventata la clinica Angeli per malattie nervose. Anche Silvio Sosia e Luigi Ma Chi? sono scomparsi dalla circolazione. La rivista elettronica Telos ha sospeso le pubblicazioni. Da qualche tempo, due ballerine bionde con un’aria vagamente da Barbie stanno furoreggiando sulle reti locali, e si prevede che approdino presto alla televisione nazionale.

Dada Umpa, Dada Umpa!
Dada Umpa, Dada Umpa!
Umpa!  

5 commenti:

  1. Divertente, molto simpatico questo racconto fantastico di Fabio. Stile avvincente come sempre.

    RispondiElimina
  2. Molto divertente, satirico e amaro. Notevole l'idea dei poghi, ma il racconto, oltre a questo, è davvero ricco di spunti di riflessione. Davvero originale, complimenti!

    RispondiElimina
  3. Davvero un bel racconto. Scritto molto bene.
    G.S.

    RispondiElimina
  4. Intrigante per quanto riguarda l'argomento, scritto bene e avvincente nella sua struttura narrativa. L'ironia e la satira non mancano e danno pepe al racconto.

    Giuseppe Novellino

    RispondiElimina
  5. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina