domenica 22 settembre 2013

EPPUR CI AMA di Sauro Nieddu



                           


Ci sono persone che al risveglio ricordano alla perfezione quello che hanno sognato, in ogni dettaglio; io non faccio parte di questa categoria. Di rado, una volta o due l’anno, capita che sopravviva al risveglio qualche frammento sfuocato della mia attività onirica. In tutta la mia carriera di dormitore, i sogni che ricordo con una certa precisione si possono contare sulle dita di una mano.
È per questo motivo che quel giovedì, svegliandomi con la trama di un sogno chiara nella memoria, rimasi alquanto stupito; il ricordo era così vivido che inizialmente mi trovai a credere che appartenesse a un fatto reale. Capii subito che così non poteva essere; nella vita reale non mi era mai capitato di trovarmi sospeso in quella sorta di vuoto nebbioso, né che mi parlasse Madre Terra in persona.
Passato il primo momento di stupore, smisi di pensarci e mi preparai in tutta fretta per andare al lavoro. Fu una giornata pesante e la sera ero così stanco che dovetti deludere Sara; proprio non me la sentivo di uscire. Contrariamente alla maggior parte dei nostri amici, il matrimonio non ci aveva ancora indotto ad abbandonare i ritmi da single. Del resto la nostra unione era stata ufficializzata appena da qualche mese...
Fatto sta che appena rientrato a casa, dopo una cena leggera e due aspirine, filai a letto senza neanche dare un’occhiata ai notiziari, come invece facevo d'abitudine. Sara mi sussurrò qualcosa all'orecchio, mi diede un bacio sulla punta del naso e se ne uscì da sola.
Mi svegliai steso sul parquet e con un gomito dolente; dovetti estendere e flettere il braccio una decina di volte per essere certo che non ci fossero danni. Guardai verso il lato di Sara, certo di averla svegliata col fracasso della caduta, ma nonostante fossero appena le sei (era raro che Sara si alzasse prima delle nove) trovai la sua metà del letto deserta. Solo allora riuscii a capire la causa del capitombolo; Dannazione pensai una vita senza sogni e adesso che ne ricordo uno, finisco per ripeterlo ogni notte.
Mancava appena un quarto d'ora alla sveglia e anche se fossi tornato a letto avevo forti dubbi che sarei riuscito a godermi quella manciata di minuti. Decisi di scendere subito in cucina; se non altro mi sarei concesso un po' di calma a colazione.
Sorpresa delle sorprese, Sara, non solo si era alzata presto, ma era anche intenta a prepararmi la colazione (di solito era piuttosto lunga a carburare, al mattino). Quando entrai in cucina, lei armeggiava attorno ai fornelli dandomi le spalle. Mi avvicinai in silenzio e la immobilizzai in un abbraccio coprendole la nuca e il collo di minuscoli baci. Lei si divincolò quel tanto da riuscire a voltarsi, e nonostante sulle sue labbra aleggiasse un pallido sorriso, gli occhi erano cerchiati, arrossati; ha pianto! Pensai sbalordito (Sara era una tosta; era più nelle sue corde demolire tutto quello che aveva attorno, che mettersi a frignare).
«Che c'è tesoro, non stai bene?»
Lei mi guardò con un'aria smarrita.
«Sto bene...» disse rivolgendomi ancora quel sorriso incerto «... ho solo fatto un brutto sogno.»
La baciai ancora, stavolta sulle labbra, con tutta la tenerezza che avevo in cuore, poi lasciai che continuasse quel che stava facendo e apparecchiai il tavolo con le nostre tovagliette personalizzate.
Quando finalmente ci mettemmo a sedere uno di fronte all'altra, visto che lei non accennava a parlare fui io a prendere l'iniziativa.
«Ti va di raccontarmi il tuo incubo?»
Lei aggrottò la fronte in un’espressione sorpresa.
«Incubo? In realtà non si è trattato di un incubo, neanche di un brutto sogno...»
«Allora perché piangevi?»
«Era un sogno triste; ho sognato di essere sospesa in una specie di nebbia luminescente. Pian piano, in mezzo alla foschia ha iniziato a formarsi l'immagine della Terra, come nelle fotografie scattate dallo spazio...»
Io trasalii e per poco non mi andò di traverso il caffè; sembrava lo stesso sogno che avevo fatto io per due notti di fila.
«Che c'è?»
«Niente, scusa; il caffè era troppo caldo. Continua, sembra interessante.»
«La Terra si è messa a parlarmi, la sua voce era carica di sconforto. Diceva di essere tremendamente dispiaciuta, diceva che non si era accorta della nostra presenza sulla superficie, di quello che eravamo diventati. Poi ha detto che lei ci amava tutti, che non avrebbe mai voluto farci del male. La sua voce allora ha iniziato a trasudare dolore. Ha detto; se avessi saputo, non avrei mai chiesto all'altro di venire. Spero che mi perdonerete perché siete i miei figli e so che anche voi mi amate, ma ora non posso più far nulla, l'altro viene a me e non posso più fermarlo. Mi dispiace! In quel momento mi sono svegliata.»
«Beh? Non sembra niente di così brutto...»
«È vero, ma quando ho aperto gli occhi, mi sentivo ancora piena dell’angoscia della Terra. È questo che mi ha fatto piangere. Era... era come se fosse tutto vero.»
Non le dissi di aver sognato la stessa cosa; in quel momento mi sembrava già abbastanza depressa. Eppure per tutta la giornata restai a chiedermi com’era possibile che i nostri sogni fossero tanto simili. Anche se simili non è il termine adatto; i sogni erano assolutamente identici, e la Terra aveva detto a entrambi le stesse cose, parola per parola.
Pensai che dipendesse da una sorta di telepatia; a volte capita tra persone che sono particolarmente vicine tra loro; un po' come accade alle ragazze che vivono a stretto contatto e che finiscono per sincronizzare i loro cicli mestruali...
Fu solo la sera, quando sedemmo sul divano a guardare assieme il telegiornale, che capii quanto mi ero sbagliato; a quanto pareva, non eravamo solo noi due, ma almeno un altro paio di miliardi di persone, a condividere lo stesso sogno.
A quel punto la scienza si era fatta un'idea di cosa cercare, e buona parte dei suoi adepti si gettò a testa bassa nella ricerca. Dopo qualche settimana furono decodificate alcune lievi anomalie nel campo magnetico planetario, e divenne certo che non si trattava di un caso di isteria collettiva; la terra stava realmente comunicando col genere umano.
Non ci volle molto perché qualcun altro notasse che lo schema delle anomalie elettromagnetiche era anche un ottimo modello per analizzare certe piccole fluttuazioni del campo gravitazionale, fino allora rimaste inspiegate; la terra non solo era in grado di comunicare, ma lo faceva su più livelli.
 L'unica cosa non del tutto chiara, era il significato del messaggio; cos'era "l'altro" di cui parlava la Terra? E perché era tanto addolorata per la nostra sorte? L'altro, molto probabilmente, doveva essere un corpo celeste, ma in che modo avrebbe potuto danneggiarci? Qualcuno ipotizzava che si riferisse al sole, una cui attività particolarmente intensa avrebbe causato gravi danni all'umanità, qualcun altro pensava si trattasse di un asteroide pronto a impattare contro il pianeta. Altri ancora ritenevano che una cometa carica di sostanze tossiche sarebbe passata abbastanza vicina da avvelenare l'atmosfera. Qualche scettico si ostinava ancora a credere che fosse tutta una messa in scena, nonostante tutti avessero ricevuto nel sonno, almeno una volta, la visita della Terra.
A un mese dall'inizio delle comunicazioni, un astronomo dilettante fu il primo ad avvistare il pianeta che aveva appena fatto il suo ingresso nel sistema solare. Il corpo estraneo era poco più piccolo di Marte e viaggiava verso la terra a una velocità ritenuta impossibile fino a quel momento; l’attesa dell'impatto fu calcolata in poco più di cinque giorni.
Solo allora si può dire che il messaggio fu compreso appieno e senza possibilità di interpretazioni contrastanti. A dire il vero gli scienziati, almeno per i primi tre giorni dopo l'avvistamento, continuarono a sostenere che il pianeta non era necessariamente destinato a investirci; la sua traiettoria concedeva ancora un certo margine di probabilità. Però, checché ne dicessero loro, anche un bambino di quattro anni sa fare due più due...
Eravamo nel cortile, io e Sara, sdraiati sui nostri materassini da spiaggia a osservare il cielo; il pianeta vagabondo era già più luminoso di Venere, e nonostante non ne avesse ancora oltrepassata l'orbita, anche di Marte; era bianco come la luna e rifletteva la luce ch'era una meraviglia. Supposi che l'impatto sarebbe avvenuto nelle prime ore del mattino, anche se non potevo averne la certezza perché tutte le fonti di notizie si erano prosciugate all'improvviso, e i calcoli astronomici non sono mai stati il mio forte.
Sara mi prese la mano, e sussurrò con un tono sognante:
«Sai Robby... nonostante tutto non riesco a rattristarmi. Ho sempre pensato che la Terra dovesse odiarci per tutto quello che le abbiamo fatto; tutto il cemento, l'inquinamento, le bombe atomiche... e ora, anche se stiamo per morire, il pensiero che ci ami tanto, mi scalda il cuore.»
Io strinsi la sua mano con rinnovato vigore, serrai la mascella, e continuai a fissare quel puntino luminoso nel cielo che cresceva a vista d’occhio.

3 commenti:

  1. Avvincente, ben scritto, originale: sempre prerogativa, quest'ultima, di Sauro.

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  2. Un racconto suggestivo che interpreta a modo suo il mito del pianeta misterioso, quel corpo celeste chiamato Nibiru che si starebbe interessando alla rotta terrestre. C'è o non c'è? Questo è il problema. Il racconto, scorrevolissimo e ben narrato, appassiona e lascia nel lettore una sensazione un po' amara di malinconia.

    Giuseppe Novellino

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  3. Il racconto narra di una specie di giorno del giudizio. Una resa dei conti. La natura si ribella agli scempi causati dall'uomo, e lo fa attirando verso di sé nientemeno che un pianeta. E l'uomo stesso non può fare nulla.
    Nonostante la terra sia stata maltrattata dal genere umano per secoli, si scusa con i suoi figli.
    Bellissima descrizione degli ultimi istanti di vita di due giovani sposi, che nonostante la tragedia imminente, sentono l'amore che scaturisce dall'anima del pianeta terra per tutti i suoi figli.
    Ottima narrazione. Mi ha ricordato un po'il racconto "L'ultimo giorno" di Matheson.

    Antonio Ognibene

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