lunedì 17 novembre 2014

IL LIBRO E LA NOCE di Peppe Murro



Aveva da poco concluso l'ennesimo incontro galante, breve e scialbo come i precedenti, ma che, per sua soddisfazione e sia pure per poco, si era concluso con una rivoluzione di lenzuola.  Scese al bar, ordinò un caffé, accese una sigaretta aspirando con voluttà, pienamente.
Arrivò una vecchia chiedendo l'elemosina, fece finta di nulla; la vecchia si allontanò, ma tornò prima che finisse la sigaretta: perché tu rifletta, disse, ponendo sul tavolo un vecchio libro spiegazzato ed una noce. E andò via in silenzio, con un passo sciancato e lento.
Con una punta di sopresa e di ironico divertimento disse: grazie, molto gentile, anche se provava fastidio per quell'intrusione non richiesta. chi era la vecchia? e che voleva?
Si avviò verso il parcheggio, pensando che ce n'è di gente strana per le strade.
Si sedette in auto, buttò sul sedile quel libro consunto (si era riproposto di scaraventarlo dal finestrino alla prima occasione), gettandogli appena un'occhiata distratta. Lesse il titolo, Il ritratto di Dorian Gray - ah,sì, quel libro per bambini di quell'autore americano, o inglese, forse, che parlava di una specie di Dracula, o magari era un disegno... che banalità, speriamo solo che non sporchi il sedile prima di gettarlo.
Fece per mettere in moto, ma stranamente si rese conto di avere ancora la noce in mano. e ancora più stranamente si accorse che le due parti si aprivano facilmente: in una metà era fissato in qualche modo un piccolo specchio.
Con una punta di sarcasmo divertito verso quella vecchia incomprensibile, disse fra sé: ora mi specchio ed accese la luce dell'abitacolo per vedersi meglio. Fu allora che con sorpresa scoprì che lo specchio non era uno specchio, non si vedeva nulla.
Guardò meglio. No, il sedile, la spalliera del sedile si vedevano e girandolo un po' si poteva vedere tutto l'interno dell'auto. Lo centrò su di sé, con cura, ma prima, come ultima prova, guardò le luci del bar riflesse fuori del finestrino. Tutto normale.
 Distrazione, pensò, e lo rivolse su di sé. Il suo volto non c'era. Guardò meglio, aguzzando gli occhi: non si vedeva nulla. Riguardò ancora: nulla
Con una punta di orrore e di incontenibile paura lasciò cadere la noce che rotolò sulla copertina del libro... il ritratto di Dorian Gray , storia di un'anima, eclissi di un destino.
 Ma chi era Dorian Gray?  e chi era lui?
La verità lo folgorò come la risata sarcastica di quella vecchia che sentiva echeggiare nei suoi pensieri... il suo volto non c'era, lui non c'era, lui non esisteva.
Come impazzito corse verso il bar, si infilò tra facce assonnate e sorprese, appoggiò le mani al bancone. Sì che c'era, era lì, riflesso tra file di marche di liquori e bicchieri, era lì. Cercò ancora attorno dove specchiarsi ed ogni parete appena lucida ed illuminata gli rimandava la sua figura, il suo volto.  
Si impose la calma, respirò lentamente, ardì persino di aggiustarsi il nodo della cravatta. Forse aveva bevuto troppo. Forse lo stress della giornata, sfinita fra ricerche ed incontri consumati al prezzo di una solitudine comune, celebrata in una stanza ad ore, dove due solitudini non riuscivano a farsi compagnia neppure condividendo letto e gemiti.
Restò un po' appoggiato coi gomiti al banco, la testa verso l'uscita. Quasi a darsi incomprensibilmente coraggio si disse che era ora di andare, prima che la stanchezza gli facesse brutti scherzi.
Guardò in giro come per salutare, ma non aprì bocca.
Il buio era fresco come sa esserlo un'estate tardiva d'ottobre, entrò in auto.
Tirò fuori un lungo sospiro, provò ad allungare le gambe, aggiustandosi la cravatta… Mio Dio!
Non c’era una cravatta. Chinò la testa per guardare e vide un seno di donna, vide una gonna e le gambe fasciate di nylon…!
Forse urlò, di sicuro qualcosa gli sfuggì da dentro senza freni, come un dolore, come una liberazione, come un tormento infuocato a lungo trattenuto…”Noooooo!” e non seppe neppure se quell’urlo era reale, ma lo viveva, lo sentiva dal profondo scuotergli le visceri, gli si attorcigliava nei pensieri senza requie, nudo, livido, senza altra dimensione che la gola serrata…
Si accorse che annaspava freneticamente, sbattendo le mani contro i vetri.
Basta !
Doveva calmarsi, doveva svegliarsi da quell’incubo assurdo !
Ansimando si toccò il viso: era il suo, la barba non fatta, il suo naso a patata, la cravatta…!
Sì, la cravatta!... si stava svegliando, era stato solo un brutto sogno ! Troppo stanco, troppo bere….
Guardò verso il bar, pensò alla  cassiera gentile che gli aveva sorriso porgendogli lo scontrino, ricordò con precisone e fastidio anche i pelouches ed i biscotti stipati in una vetrina. 
Che gli stava succedendo? davvero gli stava sfuggendo chi era? ma lui, o lei, veramente chi era? chi aveva finto l'amore in una stanza d'affitto, e bevuto un caffé, e fumato, e urlato, o quel niente della noce?
Si diede una risposta altrettanto chiara: era davvero  chi aveva visitato la stanza, bevuto il caffé e fumato, era reale. Era chi era...se lo disse con un'orgogliosa spavalderia, come chi è sempre sicuro o chi nasconde la paura.
Guardò un po’ in giro, si sorprese ad alzare lo sguardo: niente stelle, solo una luce d’ovatta colorata e pesante; un cane che abbaiava, da qualche parte. Entrò nell'auto.
In fretta buttò via il libro e la noce, accese il quadro senza guardarsi ,poi, di colpo, con calma si aggiustò la gonna sulle ginocchia, uno sguardo al trucco dal retrovisore e mise in moto… sì, stava davvero bene…!

Partì lentamente dal parcheggio, senza accorgersi che sull’asfalto si disegnava la scia umida della sua anima in disuso.


3 commenti:

  1. E' un racconto cosí ben scritto e descritto che scivola nella mente come un pensiero di vita vissuta...

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  2. Piacevole e coinvolgente. Un bel racconto che gioca sul grande e famoso romanzo di Oscar Wilde. Mi è piaciuto il finale, con quell'ultima frase davvero folgorante.

    Giuseppe Novellino

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