mercoledì 15 maggio 2013

PRIGIONIERO di Giuseppe Novellino

                                   

- Nanotti Andrea!
Sollevò il capo.
Il professore di filosofia lo guardava dall’alto.
- A quanto pare, non provi molto interesse per Eraclito.
Eraclito l’oscuro, già. Andrea pensò che tutto stava diventando oscuro, almeno nella sua vita scolastica.
- Se ti concilia il sonno, sarebbe meglio che tu facessi una pausa. Vai a bere un sorso d’acqua fresca e poi torna tra noi.
I compagni erano silenziosi, nei loro banchi. Con il professor Alberici c’era poco da scherzare.
Andrea si alzò e si avviò alla porta.
Era proprio in piena crisi. Marinava almeno due giorni la settimana. Le caselle dei registri, corrispondenti al suo nome, erano piene di insufficienze. Ma non avrebbe ripetuto la terza liceo. No, avrebbe rotto con gli studi, a costo di rompere con i genitori.
La scuola era diventata per lui una prigione. Si sentiva soffocare.
La mano sulla maniglia, dedicò uno sguardo agli altri ragazzi: stavano rigidi nei loro banchi come fantocci di gesso.
Poi uscì.

Quello che vide era impressionante.
Il corridoio si presentava pieno di rifiuti: lattine, fogli accartocciati, stracci. Qua e là pozzanghere d’acqua sporca. Sui muri c’erano scritte e graffiti. In fondo al corridoio si vedevano due sedie rovesciate.
Lasciò perdere i servizi. Si avvicinò cautamente alla rampa delle scale e diede un’occhiata. Poi cominciò a scendere i gradini.
Al piano di sotto la stessa desolazione. Eppure il suo era uno dei licei più rinomati della Provincia.
Non si vedevano i bidelli. Nemmeno l’ombra di un professore.
Al piano terra, imboccò il corridoio che dava negli uffici della segreteria e della presidenza. Una porta era socchiusa. Spinse il battente e diede una sbirciata nel locale. Tutto era a soqquadro, come se fosse passato un ciclone. Ma ebbe l’impressione che la tempesta non fosse stata recente. Infatti gli incartamenti apparivano pieni di polvere e le suppellettili coperte da muffe e da strane ragnatele.
Andrea andò alla finestra e provò ad aprirla. Niente. La maniglia non si muoveva e il vetro sembrava resistere a ogni tentativo di sfondamento. Stessa cosa per le altre finestre e per la porta a vetri che dava sulla rampa d’ingresso della scuola.
Ebbe la sensazione di essere prigioniero. Intrappolato in un edificio scolastico deserto e devastato. Nel cercare di aprire l’ennesima imposta lanciò un urlo di protesta. Gli rispose solo un’eco soffocata.
Scese nel seminterrato.
E lì fece l’incontro.
In fondo all’andito ingombro di rifiuti, c’era un uomo. Stava immobile con le gambe divaricate e le braccia penzoloni. Indossava una tuta bianca, integrale, con cappuccio stretto intorno alla testa… e una maschera antigas, di quelle, alquanto impressionanti, che si usavano nella prima guerra mondiale.
Andrea fece dietro front e si mise a correre.
Risalì al piano terra, facendo i gradini a due a due. Poi si fermò, in ascolto.
Quando vide l’orribile testa spuntare dalle scale, riprese la fuga. Salì al piano di sopra.
A metà della seconda rampa si fermò e si voltò a guardare. Sui primi gradini si era fermato anche l’uomo in tuta. Era veramente spaventoso con quella maschera antigas. Le braccia un po’ distanziate dai fianchi, leggermente protese in avanti.
Andrea riprese la sua affannosa salita e sentiva i passi pesanti del suo inseguitore. Percorse il corridoio ingombro di sedie rovesciate, stracci e cartacce. E quello sempre dietro, inesorabile. Un sinistro crac gli fece capire che l’uomo aveva schiacciato una lattina sotto gli anfibi.
Prese a salire lungo la scala di servizio, verso il terzo piano, dove c’era la sua aula.
L’uomo mascherato non gli lasciava tregua. Era come l’addetto di una centrale atomica, impegnato a rimuovere una scoria radioattiva.
Ma ecco l’uscio della 3^B.
Andrea lo raggiunse. Premette sulla la maniglia. Niente. Come se fosse chiuso a chiave.
Vide il suo inseguitore che lo stava raggiungendo, le braccia protese in avanti come uno zombie.
Allora tempestò di pugni la porta dell’aula.

- Nanotti Andrea!
Sollevò il capo.
Il professore di filosofia lo guardava dall’alto.
- A quanto pare non trovi molto interesse per Eraclito.
Dalla scolaresca veniva un debole brusio.
- Di Eraclito l’oscuro non me ne frega un cavolo, professore.

2 commenti:

  1. Caro Giuseppe, il tuo Nanotti Andrea ricorda me stesso, studente, durante le lezioni di filosofia. Se non ho avuto incubi, c'è manato poco. Racconto molto bello.

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  2. Bellissimo racconto, chiunque sia stato studente troverà difficile non immedesimarsi nel tuo protagonista. Il sogno poi, ha la potenza di una frofezia sul punto (temo) di avverarsi.

    Sauro Nieddu

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