giovedì 24 luglio 2014

IL DOTTOR SIBENIUS di Fabio Calabrese





«Buon giorno, eccellenza, sono le otto. Le ho portato la colazione e la corrispondenza.»
La cameriera era entrata nella stanza come al solito con passi felpati, ed una volta di più il dottor Sibenius si chiese come facesse a muoversi tanto leggera e silenziosa nonostante i cinque centimetri di tacco: misteri di quell’universo femminile che Sibenius nella sua lunga vita di scapolo solitario aveva incontrato solo di sfuggita.
«Grazie, mia cara», rispose, «Metti pure lì sul tavolino, puoi andare.»
Come gli succedeva sempre più spesso, il dottor Sibenius era sveglio da tempo quando la ragazza era entrata: aveva dormito poco e male, afflitto da mille preoccupazioni, e le notti insonni stavano diventando sempre di più una sgradevole abitudine.
«Forse dovrei prendermi una vacanza», pensò.
Naturalmente, sapeva bene che si trattava di una pia illusione. Due anni prima si era concesso due settimane di riposo in una baita in riva ad un fiume in mezzo ai boschi del Montana, tagliandosi fuori dal mondo, senza essersi portato dietro nemmeno il telefono cellulare; due settimane passate a pescare e leggere, quindici giorni che avevano fatto un gran bene alla sua salute, al suo sonno, ai suoi nervi, ma al ritorno si era dovuto confrontare con i pasticci fatti dai suoi collaboratori, che ne avevano quasi del tutto vanificato l’effetto benefico…
La colazione consisteva in the al limone e fette di pane tostato; niente latte, marmellata, croissant o plum cake, e dolcificante al posto dello zucchero: sapeva di dover tenere d’occhio glicemia e colesterolo.
Mangiò in fretta, mentre dava un’occhiata al calendario della giornata fitto d’impegni come al solito. Si lavò e si vestì senza perdere tempo. Alle 8.30 c’era la comunicazione del presidente degli Stati Uniti, alle 8.45 iniziava la teleconferenza sulla situazione africana.
Aveva appena preso posto alla scrivania con la consolle multimediale, quando lo schermo si accese.
Comparve il primo piano di una centralinista, una ragazza dal viso giovane e piacevole.
«Buon giorno, eccellenza», disse con voce compita, «Abbiamo in linea il presidente degli Stati Uniti.»
«Allora non facciamolo aspettare», disse Sibenius, «Su, me lo passi.»
Ci fu una dissolvenza, ed il volto della ragazza scomparve, sostituito da quello di un uomo appena un po’ più giovane di Sibenius.
Henry Donaldson era un uomo dal piglio volitivo, i lineamenti asciutti, un tantino angolosi. La capigliatura ancora folta era imbiancata piuttosto precocemente, e questo particolare piaceva a Sibenius, trovava che desse a Donaldson un tocco vagamente patriarcale. L’uomo, seduto davanti ad una consolle molto simile a quella di Sibenius, era vestito di un inappuntabile completo grigio su cui spiccavano il nodo perfetto della cravatta con i colori del college ed il bianco immacolato del colletto della camicia.
A Sibenius il presidente Donaldson ispirava simpatia: era consapevole che il suo ruolo non era più quello di primo attore della scena mondiale come la maggior parte dei suoi predecessori, ma quello di mediatore, e cercava di svolgerlo al meglio possibile, rappresentava una potenza che aveva accettato una sconfitta, ma il cui amor proprio era meglio non ferire più del necessario.
«Eccellenza», era stato il presidente a parlare per primo.
«Signor presidente», rispose Sibenius usando un tono quanto pi deferente possibile, anche se quella carica in realtà non aveva più l'autorevolezza di un recente passato.
«Eccellenza», disse Donaldson, «veniamo subito al sodo. Negli Stati uniti in questo periodo c'è molto malcontento per le restrizioni sull'importazione di energia e sull'importazione di alimenti.»
Il dottor Sibenius atteggiò le labbra ad un lieve sospiro.
«Signor presidente», disse, «certamente lei comprende, e sta a lei farlo capire al suo popolo che il problema, prima di essere economico, legato alla congiuntura che stiamo attraversando, è un problema etico. Lei sa benissimo che le risorse di questo pianeta, le nostre risorse, non sono infinite, ed è impossibile dare qualcosa a chi non ha nulla senza togliere qualcosa a chi ha troppo, o fare in modo che costui vi rinunci spontaneamente.
Lei sa che due terzi della popolazione mondiale vivono in condizioni di penuria di alimenti e di tutte le risorse fondamentali. Gli Stati Uniti hanno un tenore di vita basato sullo spreco, uno spreco ingiustificato quando una parte considerevole dell'umanità è priva di tutto. Un cittadino europeo, in termini monetari, ha un reddito, ed in termini ecologici ha un consumo di risorse ed un impatto ambientale che sono la metà di quelli di uno statunitense, eppure in Europa la gente ha di che vivere in modo più che dignitoso. Un uomo non può dormire contemporaneamente in due letti né poggiare le natiche contemporaneamente su due sedie o sul sedile di due automobili; quanto all'alimentazione, se si mangia il doppio del necessario, il risultato è l'obesità che comporta infarti e ictus.
Se la sua amministrazione riuscirà a persuadere gli Americani ad avere uno stile di vita più sobrio, sarà altamente meritoria verso l'umanità, a cominciare dal suo Paese.»
Henry Donaldson annuì.
«So che ha ragione», disse, «ma non sarà facile.»
Salutato il presidente, il dottor Sibenius si spostò in una stanza adiacente, quasi interamente occupata da una consolle che era una versione ingrandita di quella che trovava posto sulla sua scrivania, da una dozzina di schermi posti circolarmente lungo le pareti, e da una poltrona girevole posta strategicamente al centro della stanza: era la sala per teleconferenze.
Guardò l'orologio da polso: mancava ancora un po' di tempo. Prese una cartelletta di appunti e cominciò a consultarla.
La situazione dell'Africa rimaneva drammatica, anche se alcuni miglioramenti importanti erano avvenuti in alcune zone non più infestate dalla guerriglia, e vi era anche un lieve miglioramento della situazione sanitaria, quanto meno, il numero dei nuovi casi di AIDS era nettamente diminuito da quando la Chiesa cattolica aveva autorizzato i fedeli all'uso dei preservativi, anche se rimaneva drammaticamente alta nell'Africa settentrionale come nel resto dei Paesi islamici.
Il mutato atteggiamento della Chiesa cattolica sull'AIDS, Sibenius lo considerava una sua vittoria personale, una di quelle di cui andava più fiero.
Era stato l'anno prima, quando si era recato in vista a Roma ed era stato ricevuto in udienza privata dal papa, Sisto XII.
Nel colloquio privato, aveva affrontato la questione senza peli sulla lingua.
L’evasivo atteggiamento del pontefice gli aveva fatto presto capire quale fosse il punto della questione.
Sisto XII si rendeva chiaramente conto che la scelta sbagliata della Chiesa metteva in pericolo migliaia di vite all’anno, ma non poteva contraddire il giudizio dei suoi predecessori secondo cui l’uso di anticoncezionali era sempre e comunque immorale, pena mettere in crisi il dogma dell’infallibilità e lo stesso magistero ecclesiastico.
«Vostra santità è certamente consapevole», aveva detto Sibenius, «Che attualmente i profilattici sono usati, soprattutto in Africa, principalmente come presidi sanitari, e il fatto di impedire la procreazione è semplicemente un effetto collaterale.»
«Sono al corrente di questo», aveva risposto Sisto XII senza usare il noi, «Ma…»
«Allora, vostra santità», aveva concluso Sibenius, «la Chiesa non troverebbe nulla di immorale nell'uso di un farmaco che salva la vita delle persone al prezzo di causarne la sterilità, e qui il caso è del tutto simile.»
(Era, in poche parole, l’esempio che poi era diventato il cardine dell’enciclica “Humana Integritate”).
Lo sguardo del pontefice si era illuminato, aveva compreso quel che Sibenius gli stava offrendo: un modo onorevole di togliere la Chiesa da una situazione che si era fatta man mano più difficile.
Superato il punto critico, la conversazione si era fatta più distesa ed informale: i due uomini avevano scoperto di avere molto in comune: due uomini in età ed ormai stanchi, che sentivano declinare le forze e vedevano l’arco della vita accorciarsi, ma che continuavano a lottare per cercare di lasciare dietro di sé un mondo un po’ migliore di quello che avevano trovato.
Quando si era congedato, Sisto XII gli aveva fatto dono di una bibbia miniata di età medioevale, che Sibenius conservava tra i suoi cimeli più preziosi.
Si riscosse dalle sue riflessioni. La situazione sanitaria, almeno riguardo all’AIDS mostrava un miglioramento, ma i problemi dell’Africa rimanevano spaventosi.
Un breve segnale sonoro indicò l’inizio della teleconferenza, e subito sette schermi si accesero: sei mostravano i volti di alcune persone, mentre l’ultimo mostrava una grande carta del continente africano con vaste aree evidenziate in ocra nella zona equatoriale, laddove la foresta che ricopriva quel suolo era stata sradicata, ed una fitta manciata di zone più piccole, talvolta dei semplici punti o poco più, picchiettate in colore rosso vivo.
Quelle erano le zone dove le Forze Armate Terrestri Unite stavano conducendo la loro prima, e Sibenius sperava ardentemente ultima, campagna di guerra.
«Buon giorno, signori», disse Sibenius, «poiché alcuni di voi non si conoscono, farò io le presentazioni.»
Accennò con il capo ad un uomo di colore, un individuo robusto dalla pelle color ebano.
«Amin Kassala», disse, «il nostro governatore a Nairobi.»
Si voltò verso una donna bionda e minuta, l’unica del gruppo.
«La dottoressa Kay Sanderson, ricercatrice e giornalista, che presenzia come portavoce dell’associazione non governativa Aid for Africa.»
Indicò un altro uomo dalla carnagione e dai capelli chiari.
«Il professor Halvestrom dell’Università di Stoccolma.»
Indicò un uomo dalla pelle scura e bruciata dal sole.
«Jose Martin Dos Santos, il nostro governatore di Brasilia.»
L’altro uomo aveva la pelle scura come quella di Dos Santos, ma i lineamenti marcatamente mongolici.
«Sono Onondak», disse Sibenius, «il nostro governatore di Gjakarta.»
«Premetto», aggiunse, «che Dos Santos e Onondak hanno richiesto di partecipare a questa conferenza perché il problema della deforestazione interessa la foresta amazzonica e l'Asia sud-orientale allo stesso modo dell'Africa equatoriale. Non occorre che io vi ricordi», aggiunse, «che le foreste equatoriali sono non solo il polmone verde del nostro pianeta, indispensabile per il ciclo dell'ossigeno, ma anche il maggior serbatoio della biodiversità terrestre.
Noi non possiamo permetterci di danneggiarle più di quanto sia successo in passato, ma è anche vero che sono abitate da popolazioni fra le più povere del mondo per le quali il legname è l’unico combustibile che hanno a disposizione.
Come probabilmente saprete, la Scandinavia da più di un secolo si è dimostrata un modello nell’utilizzazione del patrimonio forestale. Le foreste scandinave sono intensamente utilizzate per la produzione del legname, ed in cento anni a questa parte non hanno fatto che espandersi, potremmo dire che sono coltivate.
Il professor Halvestrom è invitato a questa conferenza per dare inizio ad un programma di collaborazione con voi, studierà insieme a voi il modo e la misura in cui i metodi scandinavi possono essere applicati alle foreste tropicali; naturalmente, lui e la sua equipe sono tanto pronti ad insegnarvi quanto ad imparare da voi.»
Sospirò. Per un momento parve ancor più vecchio e stanco del solito.
«In tutta franchezza», disse, «e spero che tutti voi mi capiate bene. Questo pianeta è la nostra casa: se lo distruggiamo, non ci sarà salvezza per nessuno.»
«A questo punto», aggiunse dopo un po’, «darei la parola alla dottoressa Sanderson di Aid for Africa. Si tratta di una persona che lavora per un'organizzazione non governativa, ma la conosco da anni, e ha la mia piena e incondizionata fiducia. Prima però, devo farle una domanda, governatore Kassala: com'è la situazione nella sua giurisdizione, intendo dire dal punto di vista militare?»
Il robusto africano parve sorpreso di venir interpellato in quel modo, poi si affrettò a stamparsi uno sfavillante sorriso sulla faccia.
«Bene, molto bene, eccellenza. Giusto due giorni fa ho ricevuto un rapporto del generale Ongania. I ribelli sono in rotta pressoché totale.»
«Sa, Kassala», rispose Sibenius, «comincio a pensare che lei sia un imbecille! Dottoressa, vuole raccontare a questi signori quello che lei ha già riferito a me?»
«Bene», disse la dottoressa Sanderson, «Eccellenza, lei ha già visionato i filmati girati clandestinamente dagli operatori di Aid for Africa. Ci risulta che, contrariamente alle sue disposizioni, contro i cosiddetti ribelli sono state impiegate artiglieria pesante e bombe al napalm. La cosa più scandalosa, però, sono i campi di detenzione dei prigionieri. Anche di questi, i nostri agenti sono riusciti, a prezzo di gravi rischi, a raccogliere fotografie e filmati. I ribelli prigionieri, se vogliamo chiamarli così, sono tenuti ammassati in spazi ristretti, in condizioni igieniche estremamente precarie. Il vitto che ricevono è insufficiente e di pessima qualità, per i feriti e i malati non ci sono cure mediche. Bastonature e frustate o percosse coi calci dei fucili sono punizioni frequenti.»
Sembrava impossibile che un uomo di colore potesse diventare paonazzo, eppure il governatore Kassala ci riusciva.
«Ma insomma», sbottò dando sfogo ad un'irritazione a lungo trattenuta, «nessuno ha mai perso una guerra perché duro coi prigionieri!»
«Kassala!» Sibenius alzava raramente la voce, e non lo faceva se non quando era esasperato.
«Kassala, non le ho dato la parola!»
«Lei è africano», proseguì, «quindi dovrebbe sapere meglio di me cosa sono questi ribelli, le rinfresco la memoria. Per la maggior parte sono ragazzini di età fra i dodici ed i diciotto anni, ma ci sono anche bambini più piccoli, e pochissimi hanno più di vent'anni, ragazzi che dovrebbero stare sui banchi di scuola, non nella giungla con un fucile in mano, che sono diventati guerriglieri perché sono stati rapiti dai loro villaggi e non hanno mai avuto l'occasione di imparare a usare niente altro che un fucile per sopravvivere. Non hanno bisogno di essere trattati come delinquenti o bestiame, hanno bisogno di condizioni di vita umane, di psicologi che li aiutino a superare i traumi che hanno subito, e poi avranno bisogno di scuole e di insegnanti. Ascolti bene, Kassala. Le ho fatto inviare, e la potrà esaminare subito al termine di questa conferenza, una lista di organizzazioni non governative ed umanitarie che assumeranno il controllo dei campi di prigionia. Naturalmente, Aid for Africa e la Croce Rossa sono in cima alla lista. Lei ha ventiquattro ore di tempo a partire da ora, non un minuto di più, per comunicarmi l'avvenuto passaggio di consegne nella gestione dei campi alle associazioni civili, la destituzione e sostituzione del generale Ongania e le sue dimissioni.»
Dopo la teleconferenza, era il momento della lettura dei quotidiani. Come ogni mattina, le segretarie ne avevano depositato una consistente pila sulla scrivania di Sibenius. Prese il giornale in cima al pacco e cominciò a sfogliarlo.
Non c'era niente da fare, non riusciva a concentrarsi sulla lettura degli articoli di attualità.
Sibenius era un uomo che alzava raramente la voce, e lo scoppio di collera con il governatore Kassala l'aveva lasciato agitato, facendogli perdere la concentrazione.
Il suo occhio cadde sulla pagina delle strisce dei fumetti. A volte si concedeva il piacere un po' infantile di darsi a quel genere di letture per rilassarsi.
Lo attiravano soprattutto i fumetti di fantascienza. In un primo momento aveva pensato di farli censurare, ma poi aveva lasciato perdere, erano una lettura abbastanza innocua, che non faceva altro che presentare in una serie pressoché infinita di varianti sempre gli stessi schemi di base, sempre quelli, triti e ritriti: c'era il solito supereroe che lottava contro lo scienziato pazzo che cercava di conquistare il mondo grazie a qualche invenzione prodigiosa.
Strano che nessuno si ponesse mai la domanda che logicamente veniva subito dopo: una volta conquistato il mondo, cosa diavolo farsene?




1 commento:

  1. Visto che altri non l'hanno fatto, metto io un commento a questo mio racconto. Quello dello scienziato pazzo che vuole conquistare il mondo, è un topos ricorrente della vecchia fantascienza e dei fumetti a base di supereroi. Strano che nessuno si sia domandato cosa farebbe qualcuno che per ipotesi avesse conquistato il mondo (non m'importa sapere come); penso che non gli resterebbe altro che governarlo, e magari, se siamo fortunati, potrebbe rivelarsi più saggi dei politici che finora abbiamo conosciuto.
    FABIO CALABRESE

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