lunedì 5 ottobre 2015

IL DIARIO di Peppe Murro

Guardava il mare verde che si stendeva silenzioso verso l'ovest della terra dei Legs: lì scendevano i due soli quando si coloravano di fuoco e si nascondevano per la lunga notte delle terre.
Accovacciato sulle sue ginocchia, aveva stretto il suo viso fra le mani sino a sfiorare gli occhi con le dita: chissà, si chiedeva, se c'è qualcuno o qualche terra al di là del mare, quel mare ostile anche se mai in burrasca, ma pauroso, con la sua calma piatta, le sue nebbie e il movimento lento di palude.
Gli anziani dicevano che oltre il mare non c'era nulla, solo il vuoto e la morte e qualcuno asseriva che la linea d'orizzonte dove scendevano i soli era in realtà una cascata infinita che si perdeva nel vortice del cielo: sentiva un brivido di paura a quel pensiero, anche se non riusciva a distogliersi da quella domanda, se mai ci fosse qualcosa o qualcuno dall'altra parte del mare, se pure esisteva un'altra parte. Mai nessuno aveva tentato di saperlo: quel mare misterioso celava mostri e morte e quasi un religioso divieto lo ricopriva; poteva guardare i suoi tramonti incendiare il cielo ma doveva tenersi dentro quella domanda inusitata e per molti blasfema. Non tentare l'ordine delle cose, così dicevano gli anziani, e quel mare da sempre era proibito coi suoi misteri e le sue onde brevi e silenziose.
Non era contento, sentiva che non gli bastavano quelle risposte, ma non sapeva che fare, se non cercare di scacciare via quel disagio che aveva catturato i suoi pensieri insoddisfatti.
Ormai il cielo era diventato una tenue linea arancione lungo un mare nero e fra poco sarebbe arrivata la prima esangue ora della notte: si alzò quasi di scatto, guardò lontano verso ovest e si avviò lungo la spiaggia, prendendo a calci la sabbia.
Il grido e il dolore furono pressoché simultanei, alzò la gamba prendendosi il piede dolorante mentre cercava di capire cosa fosse successo...cosa diavolo aveva colpito? guardò con attenzione in basso, si piegò per cercare a tentoni mentre si sforzava di non pensare al piede dolorante. Spostò la sabbia, infilò le mani più sotto, fece un largo gesto come a spazzolare e...ecco, qualcosa toccò, con uno spigolo duro: è lì che aveva sbattuto il piede. Scavò attorno la sabbia con curiosità crescente e una fretta inspiegabile.
Alla fine era lì, liberato dalla sabbia che lo aveva semisepolto: un contenitore di qualcosa, una specie di scatola chiusa, non molto grande, di una materia strana. Aveva dimenticato ogni cautela nel toccarlo, ma ora lo prese una giustificata preoccupazione, era pericoloso? gli avrebbe in qualche modo fatto male l'averlo toccato?
Il contenitore era lì, inerte. Lo punzecchiò con un bastone e non successe nulla; provò ad urlare, non successe nulla. Si decise infine ad infilarlo nel suo sacco, anche perché la notte stava scendendo più rapidamente e doveva tornare al villaggio  che già mostrava la sua luce rassicurante.
Camminava guardando ogni tanto il suo sacco con pensieri divisi fra curiosità e una preoccupazione sempre più labile: cos'era? conteneva qualcosa? qual era il suo segreto?
Appena arrivato, cercò di assumere un'espressione normale, rificcando indietro quello strano pulsare che si sentiva dentro. E si guardò intorno, fingendo noncuranza, a scoprire se mai qualcuno avesse intuito il marasma che provava: non accadde nulla, qualcuno lo salutò distrattamente, qualche altro fece un gesto a cui rispose con falsa euforia. Andò vicino al fuoco, prese un pezzo di cibo che addentò con accanimento, aveva fame. Si guardò ancora intorno, cercando con avidità Shervaz, l'anziano del villaggio.
Fu quasi felice di non vederlo, a quell'ora di sicuro si era già ritirato nella sua capanna: meglio, avrebbe condiviso solo con lui quella scoperta. E sperava che almeno da lui gli venissero delle risposte.
Buttò un osso sul fuoco, prese il sacco e si diresse verso la capanna dell'anziano.
Spostò la tenda con rispettosa leggerezza, entrò chiamando, mentre la luce balbuziente di una fiamma gli mostrava a tratti l'interno della capanna. Guardò con attenzione e lo vide. Il vecchio era seduto in un angolo, appena discosto dal fuoco.
Alzò la testa come a chiedergli ragione di quella visita, mentre lui si avvicinava col sacco, schiarendosi la voce: «Oggi,sulla spiaggia, ho trovato questo,» ed aprì il sacco, mostrandogli il contenitore. Gli parve ci fosse un lampo negli occhi del vecchio, mentre tendeva la mano.
Chiese solo, però, con un tono che gli sembrò molto stanco: «Veniva vento dal mare?»
«No, Sherv… c'era una calma quasi opprimente, come ogni giorno,» fu la risposta.
Il vecchio guardava il contenitore, rigirandolo fra le mani, quasi incurante di come il giovane ne seguisse i gesti con una curiosità che sfiorava l'ansia: «Cos'è? di che è fatto?»
Il vecchio taceva, mentre rigirava l'oggetto con la fronte corrucciata: «Eri solo? Ne hai parlato con qualcuno?»
«No, solo io e te sappiamo di questo,» rispose il giovane, sentendo come all'improvviso un senso di importanza. Gli era piaciuto rassicurare il vecchio, anche se la sua faccia pensosa in qualche modo non lo rendeva tranquillo. Cos'è? gli sarebbe piaciuto chiedere ancora, ma tacque: sapeva quando era meglio tacere.
D'improvviso, con uno scatto, il contenitore si aprì quasi facendolo sobbalzare: il vecchio infilò la mano e tirò fuori qualcosa che assomigliava a un libro, uno di quello che erano gelosamente custoditi in quella capanna.
Shervaz lo aprì con cura, con una mano che sorprendentemente gli sembrò improvvisamente leggera, sfogliò qualche pagina, mentre la sua espressione diventava sempre più dolorosamente cupa.
«Cos'è?» chiese quasi con forza il giovane.
L'anziano continuò ancora un po' a sfogliare: «È la morte,» disse, «è il male,» e senza dargli modo di rispondere o reagire scagliò quei fogli sul fuoco.
Sorpresa rabbia sgomento accompagnarono il suo grido, mentre il giovane tentava le fiamme: «Ma perché? Che hai fatto? Perché?»
E senza riflettere mise le mani sulla fiamma cercando di salvare quell'oggetto che si consumava in uno sfrigolio leggero di cenere.
Riuscì a strappare qualche foglio al fuoco, mentre sentiva il dolore lampeggiare sulla sua pelle: raccolse quanto poté, lo strinse al petto e fuggì via, inseguito da un inutile: Fermati, pazzo, del vecchio.
Corse a nascondersi, ansimando d'ansia e di dolore, cercò ai limiti del villaggio l'angolo più nascosto. Si guardò il petto, sporco di cenere nera, con brani di carta bruciacchiata appiccicati al suo sudore:doveva sapere cos'era, doveva capire il comportamento dell'anziano.
Delicatamente prese in mano quei fogli e la sua prima sorpresa fu che i caratteri erano identici ai loro anche se la lingua era diversa. Cosa c'era scritto?
Voleva capire e intuì che forse il solo che poteva aiutarlo era il vecchio Shervaz: di sicuro doveva sapere qualcosa che gli nascondeva.
Tornò alla capanna, il vecchio lo guardò con un'aria stanca: «Sapevo che saresti tornato
«Devi insegnarmi quella lingua, io devo leggere quei fogli, altrimenti tutti sapranno che cosa ho trovato.»
«Vi troverai solo altre domande, o solo orrore.»
Non lo guardò neppure, certo che non valeva la pena insistere: «Siedi!» gli disse.
E così, per tutta la durata della lunga notte della terra dei Legs, il giovane imparava, scavando da un libro del vecchio che gli aveva posto come sola condizione che solo alla fine avrebbe letto i fogli  trovati.
E un giorno, mentre il primo dei soli si annunciava alle spalle della terra, schiarendo di un tenue viola il cielo, il vecchio chiuse il libro e lo guardò. Non disse nulla, lui si alzò con un gesto che voleva essere di ringraziamento e di soddisfazione, ed uscì dalla casa dell'anziano.
Non c'erano che flebili rumori nel villaggio, un'aria sonnacchiosa sembrava coprire ancora tutto come una coperta calda. Si avviò, respirando forte, verso la riva del mare. Lo trovò ancora scuro, quasi terribile; si sedette e aspettò.
D'un tratto il cielo sembrò squarciarsi di luce, e il secondo sole fece scivolare strisce dorate sul mare,che diventava a mano a mano sempre più livido e opalescente, come ogni giorno.
Stava lì, di fronte a lui, quel mare che lo inquietava col suo movimento di palude (Il Melmoso lo chiamavano i ragazzi nella loro gioiosa irriverenza); aprì il sacco e tirò fuori con cura pezzi di fogli bruciacchiati. Ora poteva togliersi ogni curiosità, se lo era meritato, Provò anche ad ordinarli, ma era una fatica impossibile. Cominciò a leggere
«...se si alzasse un po’ di vento… sono giorni che mi pare di non essermi mai mosso… devo…»
Troppo poco per capire, ne prese con cura un altro: «Gli anziani dicono che dove sorge il sole non c’è che orizzonte, e qualcuno afferma che da lì c’è un baratro…»
«...che volevo partire mi hanno dato del matto, predicendomi che sarei morto nel nulla… Devo sapere se…»
Maledì in cuor suo l’anziano e il fuoco, anche se cominciava a capire: dove tramontano i due soli esiste un’altra terra, quel mare non è infinito e loro non sono soli;e  tra quell'altra gente c’era stato qualcuno che aveva tentato il mare e, ora ne era certo, era morto nella traversata.
Continuò a leggere.
«...sono stanco, forse davvero non esiste un’altra terra…. paura di… non ho più forza di scriv…»
Con un nodo alla gola, come se avesse perso un fratello, prese l’ultimo foglio:
«...ho visto l’alba dei due soli allargarsi sul mare, ne ho visto lo splendore e la desolazione; forse questo mi ripaga del…»
«...ho sete…»
Sentiva lacrime, provava rabbia, eppure si sentiva sollevato: di la dal mare c’era un’altra terra e forse quel mare ostile, livido e crudele poteva essere vinto.
Si alzò in piedi, lasciò cadere l’ultimo foglietto annerito.
Guardò il mare: da lì avrebbe avuto le sue risposte, o forse lì avrebbe incontrato il suo destino.

1 commento:

  1. Bellissimo il racconto di fantascienza. Una storia che si ripete sempre fra i giovani, siano essi curiosi avventurieri o feroci conquistatori.

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