venerdì 19 aprile 2013

DESERTO di Sauro Nieddu

                                

Ordino alle mie mani di accendere il portatile. Le costringo a consegnarmi un foglio bianco su cui scrivere. Le mie mani stesse sono dei fogli bianchi. Ordino al foglio bianco di riempirsi della mia angoscia, dei miei incubi a occhi aperti. Non ottengo niente; il foglio resta bianco e tutto ciò che si agita dentro di me continua a tormentarmi.
So che esiste un altro sistema. Dovrei razionalizzare ogni argomento del dolore, separarlo dagli altri, dargli un ordine. Poi dovrei prendere ciascuno di quei foglietti accartocciati, ognuno dei quali non rappresenta, ma è esso stesso uno dei miei vuoti, e spiegarlo con attenzione fino a che risulti leggibile. Solo allora potrei vedere che si tratta solo di scarabocchi incomprensibili.
Allora potrei provare a tradurli in un linguaggio che tutti possano capire, ma si tratta di un lavoro lungo e faticoso; varrà la pena? Non ho nient'altro da fare. Non so se ne valga la pena ma decido di farlo lo stesso; così, per passare il tempo.

* * *

Svolto il lavoro, osservo con attenzione il risultato. Il risultato è un foglio coperto di scarabocchi incomprensibili. Lo appallottolo e lo getto nel cestino.
Ho lavorato per niente. Eppure... potrei essere comunque nel giusto! Forse ho semplicemente sbagliato il foglio da decifrare, forse prendendone un altro il risultato potrebbe essere migliore.
Così prendo un altro foglio accartocciato, lo bagno col sudore che mi cola dalla fronte, resto sveglio notti e notti nel tentativo di trasformarlo in un’espressione coerente del mio essere.
Poi prendo il frutto del mio lavoro, lo appallottolo, lo scaglio con rabbia, nel cestino.
Eppure sono tanti, quei fogli accartocciati da controllare, sporcare di sudore nel tentativo di esplicarli. Sarebbe stato un colpo di fortuna trovare quello giusto appena al primo o al secondo tentativo.
Non mi va di stare a spulciarli uno per uno. Non mi va di grondare sudore per un risultato forse possibile, ma tutt'altro che certo. Però non ho niente di più importante da fare e mi sentirei in colpa ad abbandonare così l'impresa.
Passano giorni, anni... ora mi trovo in una stanza ricolma dei fogli che, insoddisfatto, ho preso e gettato alla rinfusa attorno a me. I fogli mi guardano. Mi giudicano senza emettere nessun verdetto.
Quei fogli sono la mia vita, i tanti mattoni della mia sofferenza che invece di ridursi si sono accumulati fino quasi a soffocarmi sotto il loro peso. Quello che ho in mano potrebbe essere l'ultimo, quello il cui peso potrei non riuscire a sopportare.
È per questo motivo che lo soppeso bene prima di gettarlo; se fosse l'ultimo, il suo significato intrinseco potrebbe dare un senso a tutta questa vita, incomprensibile per chiunque forse, ma carico di implicazioni a un livello superiore.
Solo allora un barlume di luce si fa strada nei miei pensieri; forse ho cercato una soluzione troppo immediata. Forse le cose non sono così semplici. Forse non devo concentrarmi su ogni singolo punto, ma lavorare per cercare dei collegamenti che diano un significato a tutto l'insieme.
Mi guardo attorno, e pensare di fare ordine del caos che mi circonda, sembra impossibile; ci vorrebbe una vita intera. Ma come al solito non ho altro da fare e pian piano mi metto all'opera.
Inizio a catalogare tutto, riponendo in ordine i fogli che mi sembrano importanti, gettando dalla finestra quelli che invece appaiono irrilevanti oppure ripetono concetti già espressi altrove.
Dopo un’intera giornata di lavoro non ho fatto praticamente nulla; una goccia nel mare, un granello di sabbia. Mi lascio prendere dallo sconforto, crollo disfatto dalla fatica.
Quando mi sveglio, mi guardo attorno. La situazione non è cambiata ma devo pur passare il tempo, in qualche modo. Cerco di farmi forza pensando che dopotutto una spiaggia è fatta da granelli di sabbia.
La mente è tanto stanca che mi duole in ogni sua parte, ho delle fitte insopportabili alla memoria e un dolore cupo e pulsante ai sentimenti, la creatività brucia di un’infiammazione letale.
Nonostante tutto cerco di scuotermi per portare a termine ciò che ho iniziato.
Intanto il tempo continua la sua marcia inarrestabile; non esistono ancora dei calendari capaci di misurarne la reale essenza.
Io sono ancora qua, che sistemo i miei fogli e ogni tanto prendo qualche appunto. Il lavoro è ancora ben lontano dall'essere finito, ma un mucchietto di sabbia fa bella mostra di sé, proprio al centro della stanza. La mia barba e i miei capelli sono lunghi e hanno un aspetto candido e selvaggio, la pelle è solcata di rughe.
Poi un giorno mi sveglio e sento in me qualcosa di diverso. Mi frugo per capire cosa sia cambiato e lo trovo subito. Dentro di me si è creato un grosso spazio vuoto, questo vuoto ha preso il posto che prima era occupato da quell'angoscia insopportabile. Un senso di libertà mi pervade l'anima.
Dalla finestra socchiusa filtra un raggio di sole, la spalanco e mi affaccio a guardare il mondo, dopo tanto tempo. Guardo fuori e cerco il mondo con lo sguardo, ma non c'è più alcun mondo là fuori, solo un’infinità di fogli accartocciati, macchiati d'inchiostro e sudore, intrisi di solitudine. La mia angoscia ha preso la forma di un deserto bianco sporco che si estende a perdita d'occhio.
Chiudo la finestra e torno a stendermi nel letto; il lavoro è finito e ormai non ho più molto da fare.

(Per gentile concessione dell’Autore)

4 commenti:

  1. Racconto intensamente psicologico. Ben scritto.
    Un benvenuto a Sauro.

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  2. Bel racconto, scritto molto bene. Interessante è la carica simbolica che coinvolge il protagonista nella sua fatica di scrivere. In quell'atto c'è tutta la carica speculativa di chi vuole cogliere un senso di tutto quanto e del proprio esistere. Una fatica di sisifo che ci interroga oltre il coinvolgimento emotivo.

    Giuseppe Novellino

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  3. Un grazie, di cuore, a Giuseppe per il suo commento. Fa davvero piacere vedere che un racconto è stato compreso appieno. E grazie a Paolo, per aver accettato di ospitarmi sul suo blog.

    Sauro.

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    1. Grazie a te, e un benvenuto anche da parte mia!

      Giuseppe Novellino

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