giovedì 22 agosto 2013

CACCIA GROSSA di Matteo Bigarella




A certe cose non ci si abitua mai, pensò il Monco.
Faceva il disinfestatore da trent'anni, e ancora non sopportava il caldo del deserto.
Accucciato dietro a un grande masso sulla sommità del crinale, il Monco afferrò la borraccia che gli pendeva dal collo e bevve una lunga sorsata avida.
Poi lo vide.
Un Obbrobrio caracollava per la pietraia, la testa bassa come un cane che fiuta. Doveva essere un maschio, a giudicare dalla stazza. Difficile stabilirlo, sotto tutte quelle piaghe e quegli stracci laceri.
Dannato mangiacarogne, ringhiò il Monco. Si guardò la mano sinistra. Era stato uno di quei cosi a strappargli in un morso medio e anulare, durante una delle sue prime battute di caccia. Da allora, aveva un conto aperto con gli Obbrobri.
Lasciò che si avvicinasse ancora qualche metro, poi impugnò il fucile a raggi.
Quando la testa deforme del mutante fu all'interno del mirino, il Monco sparò. L'Obbrobrio mandò un gemito più di sorpresa che di dolore, e cadde all'indietro scalciando.
Il Monco si alzò con uno scrocchio di ginocchia. Discese lentamente il crinale, sollevando una nuvola di polvere rossa.
L'Obbrobrio ormai era immobile. Il Monco gli sparò comunque un altro colpo in mezzo agli occhi. Meglio non rischiare.
Adesso veniva la parte peggiore.
Il Monco impugnò con la mano buona il bisturi laser. Trattenendo un brivido di disgusto, si inginocchiò a fianco dell'Obbrobrio e iniziò a tagliargli la testa. Nell'aria si alzò un lezzo di carne bruciata.
Anche se non gli piaceva, quello era l'unico modo per farsi pagare dai Signori delle Città.
Quando gli Obbrobri diventavano troppo aggressivi, o semplicemente troppo numerosi, e si avvicinavano alle loro cittadelle, i Signori correvano a rivolgersi a quelli come lui, i disinfestatori.
Quando però andava a riscuotere il suo compenso, ecco che tiravano sul prezzo, o accampavano scuse. Come faccio a sapere che lei ha davvero ucciso quei mostri? gli dicevano.
Il Monco allora aveva cominciato a tagliare le teste degli Obbrobri e a portarle ai suoi clienti. Ecco le teste, diceva, se volete contarle.
I Signori delle Città non tiravano più sul prezzo. Pagavano il compenso pattuito, e anche qualcosa in più, pur di levarselo di torno.
In pochi minuti completò la dissezione. La testa si staccò con un ultimo sciacquio molliccio. Lo squarcio, cauterizzato dal laser, quasi non sanguinava. Il Monco estrasse un sacco dallo zainetto e ci mise dentro la testa.
A passi lenti e pesanti, prese ad arrampicarsi sulla cresta rocciosa.
Il corpo lo lasciò là. Gli sarebbe servito più tardi da esca.
Gli Obbrobri non erano solo brutti, erano anche stupidi. Attratti dal cadavere in decomposizione del loro compagno, sarebbero accorsi in massa sul posto. E il Monco, al riparo sul crinale, li avrebbe sterminati uno dopo l'altro.
Un lavoretto facile e ben pagato.
Bisognava solo avere pazienza. E sopportare quel caldo fottuto.
Il Monco si asciugò il sudore da una guancia cotta dal sole e sospirò.
Pensare che quella una volta era terra fertile. Pianura Padana, la chiamavano gli antichi.


5 commenti:

  1. Bellissimo.
    Il finale mi ha colto di sorpresa.

    Antonio Ognibene

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  2. Bel racconto di fantasciesa, teso e incalzante. Il finale è davvero fulminante, dopo che si è pensato di trovarsi su un arido pianeta ai confini della Galassia, ecco la rivelazione. Scritto molto bene, con efficacia espressiva.

    Giuseppe Novellino

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  3. Carino, affresco divertente di un futuro sotto casa.

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  4. Grazie a tutti per i commenti positivi.
    Matteo Bigarella

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