martedì 13 maggio 2014

ZEUS – DIOS di Giuseppe C. Budetta



  



Spinta da onda anomala, la zattera di Ulisse schizzò in cielo, navigando nell’infinità dell’etere sidereo. L’eroe era abituato alle lunghe traversie, causategli dall’ira di Nettuno. Adesso, era diverso perché era stato catapultato addirittura negl’infiniti spazi interstellari. In cuor suo, l’eroe sapeva che gli dei amici prima o poi, ne avrebbero consentito il ritorno in patria. Dopo un poco, la navigazione divenne placida come sul mare piatto. Si trovava a veleggiare nello spazio uniforme, buio e solitario. Per quanto allungasse lo sguardo non scorgeva promontori, isole, scogli, o amene spiagge. In lontananza, il luccichio di remote stelle. Non c’erano venti avversi, o Arpie selvagge, o il canto traditore delle sirene. Navigava senza limiti di riferimento in un indefinito oceano nero. Spariti per incanto il sole e la luna. Pensò di essere nel regno di Ade. Aveva cibo, acqua e vino donatigli in abbondanza dalla maga Circe.
   Gli venne incontro un grosso meteorite, rischiarato appena da un lontano astro. Ivi attraccò senza indugiare. Confidando negli dei amici, scese dalla zattera e scrutò verso l’alto dov’era un cocuzzolo arrotondato e calvo con sopra una dimora sontuosa, rivestita di marmo bianco. Sembrava il tempio di un dio sconosciuto. Restava da capire se il dio gli fosse amico. Se ci abitava Nettuno era fottuto. Da quando aveva seguito gli Atridi nell’avventura contro Troia, Odisseo aveva sfidato la morte. Non temeva più la sorte. Salì con circospezione per l’ampia scalinata, stringendo la spada rinfoderata al fianco. Il titubante piede calpestò i lucidi marmi dell’atrio di un palazzo antico, o di un sontuoso tempio, sormontato da altissime colonne la cui fine non si vedeva. Tutto sembrava strano. Non si vedeva nessuno nei paraggi. Gli apparve un’aurea e massiccia porta, immensa che si aprì all’istante. Curioso penetrò nell’ampia sala interna, illuminata da lumi luminescenti, ma senza vampa. Ogni angolazione dell’edificio splendente di marmi, ogni altissima colonna dorata, ogni apertura laterale piena di luce, aveva un’anima misteriosa, un vero enigma che accompagnava ogni cosa, come in  una nuova esistenza. Quel grandioso palazzo, pieno di luminescenza, poteva essere già esistito, ma quando? ma dove? Gli venne in mente la reggia di Priamo che i Greci avevano distrutto. Suadente voce gli disse: “Vieni avanti e non temere.”
    Dal lato opposto, ad una certa distanza, apparve una figura smilza come anoressica, barbuta con incolta chioma grigia. Indossava una lunga tunica sacerdotale, grigiastra. Quando gli fu di fronte, il tunicato scompigliato nei capelli, disse:
“Tu sei Ulisse, il re della selvaggia Itaca. Non dire no che non ci credo.”
Ulisse ne fu certo: era un dio. Chi se no? Solo un dio poteva conoscere all’istante uno sconosciuto. Disse riverente e sorridente: “A quale dio che in casa sua mi accoglie, rendo onore?”
 “Ti dirò tutto tosto. Ho piacere che qualcuno di tanto in tanto passi per di qua. Adesso, però togliti quel brutto tanfo di sudore e cambiati. In quella stanza, c’è il bagno con la vasca e l’acqua calda, resinosa. Lavati bene, asciugati ed indossa la tunica che troverai appesa al muro. Torna qui e parleremo con calma, seduti intorno a questo fuoco.”
   Alle spalle del dio c’era un caminetto con una vampa, alimentata da tizzoni ardenti e di lato due lettighe riposanti. Più che il tempio di un dio, sembrava la sala di un re. Ulisse si lavò ed uscì dal bagno ben temprato, tunicato e profumato. Accanto al fuoco bevvero del nettare ed il dio infine così parlò: “O tu che vieni da remote sponde, ascolta le mie parole pronte. Sono relegato qui perché la gente questo vuole e solo questo accetta. Per la cronaca, siamo nell’anno 2013, cioè trenta secoli dopo le tue peripezie…più o meno trenta secoli dopo.”
   Ulisse non conosceva le leggi della relatività quantistica, pensò: “Com’è che sono ancora vivo?”
   Non profferì parola da uomo furbo e attento. Il dio a Ulisse disse:
   “Una volta, mi chiamarono Zeus e come tale anche tu mi conosci.”
  L’eroe d’Itaca tirò un sospiro di sollievo. Non era un camuffamento di Nettuno, o di un mago avverso. Era Zeus che in fondo in fondo gli era amico. Zeus disse: 
“Abitavo il celeste Olimpo, circondato dalle eccelse dee e dei. Ah, quanti banchetti ed orge e feste a più non posso! E quanti figli avevo legittimi e illegittimi. Mi scopavo anche le più belle donne della terra che a me si davano, senza esitazione. I miei figli erano dei, semidei ed eroi. Questa era la religione di quel tempo, la tua religione in fondo. Poi, le cose a poco a poco permutarono. Arrivò il Cristianesimo monoteista e la maggioranza dei popoli scelse questa religione, adesso maggioritaria. Per questo, come vedi, sono solo. Non mi chiamo più Zeus, ma Dio.”
   Ulisse ascoltò e gli saltò impellente una domanda che estrinsecò: “Che differenza c’è?”
   “Te l’ho detto. Secondo la religione corrente esiste un unico dio. Ed io sono unico e solo. Altre figure sono state assimilate agli dei di una volta. Che so: santi, eroine, martiri beati di vario genere. Ma sono incorporee e caste. Non amano e non odiano come gli dei di una volta. Dopo morti passano sotto spirito, persi in etere sidereo, oranti e sempre preoccupati per le umane sorti.”
   “In poche parole una rivoluzione. E’ cambiato l’ordinamento celeste.”
   “Macché. E’ cambiato in apparenza. I risultati sono sempre gli stessi: guerre, omicidi, odi etnici, tentativi di distruzione di massa…e, spesso questo avviene con il paravento della religione. Chi ci è andato di mezzo sono io, costretto a cambiare identità e tenore di esistenza. Come Zeus, me la passavo bene, amando ed odiando a volontà. Per Zeus, non c’erano restrizioni. Adesso Onnipotente, posso solamente amare castamente e l’odio è da me avulso. Anche gli uomini per meritarsi la vita ultraterrena in questo etere sidereo, devono solo amare. Bello eh? Invece, presso l’umanità terrena, i sentimenti d’odio sono prevalenti. Hai capito?”
   Assaporando dal kylix il dolce nettare Ulisse chiese: “Che è giusto fare?”
   Rispose orbene Zeus: “Cosa è giusto fare? Niente. Ah, il libero arbitrio! Prima intervenivo fulminando i miei nemici. Adesso, non posso farci niente. Posso solo agire bene ed indirettamente. Ai sacerdoti di religione cattolica è devoluta la benevolenza minuta. Intercedo presso i santi per migliorare situazioni familiari compromesse, alcuni tipi di devianze, certe avversità, ma devo rispettare il libero arbitrio. Questo stabilisce la nuova religione. Una volta su di me agiva solo l’oscura volontà del Fato. Adesso, devo rispettare la volontà dei popoli monoteisti. Per questo, muto nome: da Zeus a Dios. Hai capito?”
   “Secondo me, era meglio prima. Nonostante le avversità di Poseidone, il mio potere era sancito dagli dei la cui benevolenza mi assicuravo con celesti voti ed are sacrificali.”
Sospirando il tunicato ad Ulisse disse:
   “Adesso, invece sarebbe importante il sentimento di profondo amore: o c’è o non c’è. Se c’è, l’uomo può chiedere l’eternità dopo morto. Se non c’è, muore dannato. Tutto qui.”
   “Capiranno che è una fregatura e torneranno a desiderare i vecchi dei.”
   “Il pericolo è un altro. Eh, caro mio. L’uomo è imprevedibile e tendenzialmente stronzo. Homo sapiens sapiens è una brutta bestia. E’ terribile dentro. Può stabilire per esempio che Dio è morto.”
   “Come?”
   “Eh sì caro mio. Lo ha affermato uno molto tempo fa. Tempo fa rispetto a questo presente e non al tuo che chissà qual è. Un filosofo di nome Nietzsche, uno mezzo pazzo, lo ha detto esplicitamente: Dio è morto. Se prende piede l’ateismo, io sono fottuto. Fottuto sono io se piede prende l’ateismo. Dovrò sparire insieme con le folle dei santi impetranti, delle anime oranti e sacerdotale gerarchia. Tutti via, oplà.”
   Zeus fece uno schiocco secco tra indice e pollice. Uno schiocco secco egli fece ad indicare l’inevitabilità dell’evento. Ulisse incredulo esclamò:
   “Allora è tutto relativo. Non solo il tempo a quanto pare, ma anche religioni ed istituzioni. Non esistono certezze. Immensa onda può sommergere o cambiare tutto improvvisamente.”
      Lo aveva detto Eraclito che all’inizio era il Chaos. Odisseo ora sa: tutto tornerà nel Chaos, la grande voragine. Solo il Chaos è eterno, immutabile, indistruttibile.
   Zeus disse ad Ulisse ancora solo queste cose:
   “Da uomo intelligente lo hai capito. Ricorda: è la scoperta più importante nei tuoi anni di peripezie, ma non voglio tenerti a lungo qui. So che vuoi tornartene alla tua isola. Vuoi rivedere la tua reggia ed i tuoi dei. Ti guiderò nella strada del ritorno e non temere l’ira di Poseidone che placherò. Io come Zeus, placherò gli dei avversi…gli dei avversi dell’epoca in cui vivi.”
   Ulisse salpò con la zattera, diretto verso la Terra, ammarando nello Ionio. Nel breve viaggio tra le pieghe dello Spazio-Tempo, aveva compreso l’infinita vastità del futuro remoto, dove gli dei e la storia umana si allungano senza confini netti. Ammarò nello Ionio felice e dopo poche ore di mare calmo approdò nella sua isola. Ringraziò Zeus ed in cuore si rasserenò.

3 commenti:

  1. Sempre interessanti e originali i racconti di Giuseppe.

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  2. Povero Ulisse e povero Zeus! Mi danno l'impressione di quelle rockstar decadute. Una volta erano sulla cresta dell'onda, rappresentavano la leggenda, oggi vivono all'ombra sbiadita di se stessi.
    Ho apprezzato molto questo racconto di fantamitoteologia, davvero scritto bene e intrigante. Personalmente consolerei il povero Zeus, dicendogli questo: non è vero che il origine c'era il Logos il quale tutto ha ordinato e tutto ordina come un architetto ragioniere, come non è vero che c'era solo il Caos ed esiste solo il Caos. Sesi guarda bene, la realtà è un'altra... e più complessa. Esistono da sempre Caos e Logos. Il secondo patisce l'esistenza del Caos e influisce su di esso attuando una creazione che è sempre in corso, fino a una meta che solo il Logos conosce. Lavori in corso, dunque!

    Giuseppe Novellino

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  3. Un bel racconto. :)
    G.S.

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