mercoledì 18 settembre 2013

SOLDATO A PROGETTO di Gianni Sarti



Contrazione.
Alla prima contrazione Marco aveva già troppi motivi per bestemmiare. Quello spasmo della gamba sinistra era all’ultimo posto nella lista delle preoccupazioni. Dall’alto la contraerea pisciava raggi spargibudella, linee porpora che rendevano il cielo verde un gessato, la palude corrosiva inghiottiva lui e la sua armatura dalla vita in giù, il sergente lo considerava un imbecille e alla prima occasione l’avrebbe sacrificato, e dalla foresta di tronchi secchi intorno alla palude potevano arrivare in quello stesso momento le truppedella Nestlé-Cola a sterminarli come se tirassero alle paperelle di un Luna Park. E il vento, quel vento avrebbe fatto impazzire i sassi.
Marco si stupì. In quell’inferno l’idea anacronistica del gessato restava nella sua mente.
Doveva essere concentrato, aveva il cuore a mille e il sapore di metallo in bocca, eppure quel cielo scuro con le righe verticali porpora gli ricordava un abito gessato.
Lui si era sposato con un gessato.
Quindi non fece caso alla prima contrazione.
Era un novellino: seconda missione. Nella prima non aveva nemmeno combattuto. Era nelle retrovie. Aveva visto i lampi nel cielo e il combattimento sullo schermo.
Trentasette anni ed era un novellino, alla sua seconda battaglia. Il sergente aveva vent’anni. E probabilmente aveva combattuto un centinaio di campagne. Il sergente non aveva una moglie e un figlio a casa da sfamare. Sapeva cosa significasse combattere, ma non sapeva cosa significasse doverlo fare per poter comprare il cibo per la propria famiglia.
Contrazione.
Alla seconda contrazione ogni altra cosa perse importanza.
Marco sgranò gli occhi, e iniziò a contare per un riflesso automatico. Era un cardiologo, non un soldato, eppure non esitò un attimo. Il cuore che batteva come un tamburo africano, il respiro roco veloce e spezzato, le urla del fango fritto dai raggi porpora tutto intorno non aiutavano il conteggio. Tre, quattro, cinque. Sei secondi. Le armature cibernetiche erano uno schifo, tutti i sistemi più dispendiosi erano stati disinnescati per risparmiare, eppure era ovvio, ovvio che quella contrazione non dipendeva dall’armatura difettosa. Essere un medico aveva dei vantaggi. C’erano più cose di cui avere paura.
Nove, dieci. Undici secondi. Mentre contava seguiva il plotone avanzando veloce nel fango, se fosse rimasto indietro lo scudo mimetico non lo avrebbe coperto e sarebbe stato un bersaglio. Bastava un raggio e per lui la guerra sarebbe finita.
Chiese alla sua armatura un check medico. Scansione virus.
Crepa!” rispose il modulo dello scan medico nella sua mente.
Qualche genio di graduato aveva avuto la splendida idea di programmare risposte offensive dall’attrezzatura militare per far aumentare la rabbia e quindi l’adrenalina nei soldati. E “Crepa!” aveva sostituito il vecchio demoralizzante “Modulo non funzionante, impossibile eseguire”.
Quindici secondi, e…
Contrazione.
Sapeva cos’era. Ci aveva lavorato sei mesi prima per la Virtual Toys, un capannone anonimo sulla Tiburtina. Era il virus per arene da combattimento. Un bonus per i giocatori che arrivavano al ventesimo livello. Potevano spruzzare il virus nelle paludi nemiche e far partire il cronometro. In cinque minuti ogni armatura cibernetica veniva ridotta a un bloccodi metallo inutile.
E se l’era beccato anche lui.
Soldato, che cazzo di problemi hai?” gli urlò il sergente, puntandogli contro un braccio di metallo, quaranta chili di canne da fuoco ben armate allineate sulla fronte di Marco.
Nessuno, signore. Nessuno.”
Era in prova. Era sacrificabile. Non poteva permettersi di avere problemi. Il sergente non sapeva nulla del bisogno di un lavoro per mantenere la propria famiglia.
E allora stai al passo o abbandona la squadra e vaffanculo!” gli ringhiò. Vent’anni, un centinaio di campagne.
Marco strangolò tra i denti la risposta che gli era salita spontanea e la sostituì con un “Sissignore” fulminando il sergente con lo sguardo.
Quindici secondi. Se lo scan medico fosse stato attivo avrebbe trasmesso i dati dell’infezione al sergente e lui sarebbe stato abbandonato e disintegrato. Era un uomo fortunato. Magari la manciata di minuti che gli restava sarebbe bastata a fargli terminare la missione. Doveva solo stare attento alla contrazione. Duecento settantadue chili di carne e acciaio possono crollare giù come corpo morto se l’arto inferiore si contrae nel momento sbagliato. E presto il virus avrebbe infettato il resto del sistema.
Marco seguiva gli altri soldati, chino per resistere al terribile vento laterale, ondeggiando per tenere il ritmo nei liquami corrosivi della palude infetta.
Contrazione.
Missione” risuonò nella sua testa. Se gli ufficiali spiegavano perché la sua squadra si trovava lì significava che l’obiettivo era vicino. A giudicare dalla contraerea e dall’enorme marcia di quindici minuti dal portale di sbarco a lì, ormai dovevano essere a pochi passi dall’obiettivo. “La Nestlè-Cola ha terminato la costruzione di un portale di sbarco per farscendere su questo settore le nuove truppe corazzate di demoni. Armature con intelligenza artificiale, senza ospite umano. Non sono ammesse dal contratto di guerra vigente ma nel tempo necessario a presentare un reclamo alle super partes loro avranno annientato gran parte delle nostre forze infliggendoci gravi danni economici. Il vostro compito è rendere inoperativo il portale di sbarco. Abbiamo inviato tre squadroni conmissione suicida a Nord dell’area per attirare le forze nemiche di guardia al portale. Voi siete a Sud. Gli scanner indicano che è rimasto solo un guardiano nemico nell’area. Si tratta di un Veterano Argento, è richiesta massima attenzione. Vi stiamo fornendo lemappe aggiornate con i piani d’attacco. Buona fortuna soldati.”
Nel cuore dell’uragano. Marco non poteva impedirsi di tremare. Pochi minuti allo scontro. Pochi minuti e il virus avrebbe terminato la sua opera. Una gara a tempo. Non attese l’ordine del sergente, iniziò subito a correre verso la sponda della palude, a pochi metri. Tempo. Era un novellino e non aveva tempo. Il sergente urlò una bestemmia vedendolo, puntò il braccio attivando i puntamenti delle armi. Sparò. Non aspettava altro.
Ma erano passati quindici secondi.
Contrazione.
Marco cadde violentemente in avanti, lo spasmo l’aveva preso un attimo prima di appoggiare tutto il peso sulla gamba destra in corsa. I microrazzi sparati dal sergente gli passarono a pochi centimetri dalla nuca e esplosero contro un nero tronco d’albero sullariva, tre metri avanti, nel momento in cui Marco sprofondava tutto nella melma acida della palude. Era totalmente sommerso quando le difese automatiche reagirono all’esplosione, avvenuta fuori dall’occultamento dello scudo. Dalle torrette anti intrusione mimetizzate partì immediatamente un’unica onda sonica. L’onda nell’aria avanzava a una velocità differente che nel liquido. Tutto quello che si trovava immerso fu spostato di pochi millimetri una frazione di secondo prima di tutto ciò che si trovava sopra la superficie della palude. Il colpo fu tremendo per Marco ma fu letale per la sua compagnia. Marco annaspando riuscì a trovare un appiglio per rimettersi in piedi dopo più di dieci secondi. Emerse inghiottendo aria come se fosse rimasto immerso per minuti. Quando riuscì ad aprire gli occhi vide ciò che restava dei suoi compagni. Le loro gambe erano rimaste in equilibrio, ben piantate dal proprio peso. La superficie del liquido viscido, ora rossa, era interrotta dai disegni ovali simili a entrografie mediche. I busti e il resto dei corpi, caduti sotto l’effetto del vento cometronchi tagliati, stavano lentamente affondando. Erano stati segati come da una lama, loro e tutto ciò che sporgeva dalla palude.
Lo avrebbero licenziato per questo.
Poi pensò che non era colpa sua. Era stato il sergente a far scattare le difese, non lui.
Era stato quell’imbecille ragazzino rincoglionito a sbagliare.
Spontaneamente Marco fece il gesto dell’ombrello in direzione di ciò che restava di quelcretino del sergente. Lo fece troppo forte, la mano metallica sinistra ammaccò l’acciaio dell’incavo del gomito destro e rimase incastrata. Non poteva più muoverla.
Marco bestemmiò.
Non era religioso, quindi non aveva senso per lui bestemmiare un dio. Usava bestemmiare la causa di tutti quei problemi, colui che aveva trasformato l’Italia in una terra invivibile per stupidi interessi personali. Bestemmiò quindi il Presidente del Consiglio, e corse sulla riva.
Era l’ultimo superstite, quindi lo scudo di mimetizzazione si era spostato su di lui.
Contrazione.
Più lunga di prima. Due secondi con la gamba inutilizzabile. E la contrazione aveva preso anche il bacino.
Pochi minuti. Porco Presidente.
Rotolò in terra e perse tre secondi preziosi per cercare di staccare la mano sinistra dal braccio destro. Niente da fare. Aveva una funzionalità limitata, era prossimo alla fine e per far saltare il portale prima dell’invasione dei demoni avrebbe dovuto affrontare un Veterano Argento. Ci volevano duecentocinquanta vittorie di fila e cinquemila soldati uccisi per meritarsi il titolo di Veterano Argento. C’erano meno di cento Veterani Argento nell’Universo. Il gradino superiore era il massimo a cui si poteva aspirare, Veterano Oro,cinquecento vittorie e diecimila soldati. Si raccontava che ci fossero solo tre aspiranti al titolo ma nessuno l’aveva mai ottenuto. E ora lui, novellino, avrebbe dovuto affrontare un Veterano. Lottando senza mani.
Esaminò il radar alla ricerca di movimenti intorno a lui: nulla.
Si rialzò e corse prudentemente nella direzione indicata dalla mappa nella sua testa.
Obiettivo a cinquanta metri. Il vento lo spingeva in avanti con una forza tremenda.
Magari il Veterano era andato anche lui verso Nord dove le squadre suicide movimentavano la scena…
Chiese all’armatura un check del danno agli arti superiori in cerca di un modo per liberarli.
Crepa!”
Il portale era davanti a lui. Sotto il cielo verde gessato di porpora il portale appariva come una porta girevole d’albergo alta sette metri. Il vento ululava e fischiava intorno a esso. Controllò sul radar, nessun corpo in movimento nell’area. Esaminò le armi a cui riusciva ad accedere. Il lanciagranate del braccio destro era operativo. Forse. Sarebbe bastato. Aveva due granate in buono stato.
Corsa contro il tempo.
Ora la diffusione del virus sarebbe stata esponenziale, la sua armatura sarebbe stata disattivata entro un minuto, due al massimo.
Corse verso il portale stringendo i denti. Non c’era il tempo per pensare ma non poteva fare sbagli.
Avaria. Scudo mimetico terminato per esaurimento energia. Crepa.” Annunciò l’armatura.
Perfetto, un tempismo perfetto. Peggio di così che altro poteva…?
Contrazione.
Mentre correva. Una contrazione orrenda, potente, tutto il fianco destro dal tallone di plastacciaio alla spalla in finto titanio. Per non perdere l’equilibrio cadde in ginocchio ruotando su se stesso, e lo vide.
Il Veterano Argento era alle sue spalle, a dieci metri. La sua armatura era un capolavoro di apparente argento brunito interrotto solo dal simbolo della Nestlè-Cola, alto almeno cinque metri, agile come un felino e con tutti i sistemi funzionanti. Lo fissava tenendolo sotto mira.
Marco indossava un insieme di pezzi riparati che formavano un’armatura di tre metri e mezzo intorno al suo corpo standard da marine, e in questo momento era senza nient’altro che due granate, in ginocchio con un gesto spudoratamente offensivo rivolto al Veterano.
Non c’è manuale di guerra che dica cosa fare in questi casi.
Il Veterano, bello e potente come un dio, avanzò. Una dozzina di puntini di luce rosso rubino danzavano sulle parti vitali dell’armatura di Marco. Il Veterano non aveva fretta.
Hai coraggio a farmi quel gesto, soldato.”
Marco non poteva peggiorare oltre la sua situazione. Quindi alzò il dito medio della mano destra.
Sei finito, stronzo” disse calma la voce tuonante del Veterano. Con la sua mano brunita strinse quella dell’armatura di Marco e la stritolò, il dito medio si accartocciò come carta stagnola.
Dalle spalle splendenti si aprirono a coda di pavone dei supporti, ognuno con in cima un cannoncino.
Sai quanti soldati ho ucciso?” si prese il piacere di chiedere il dio.
E tu sai quanti ne ho uccisi io?” rispose Marco.
In quel momento accanto alla porta girevole d’albergo, in mezzo alla foresta pietrificata, sotto il cielo verde di quel luogo alieno, con un dio che stava per ucciderlo, con i demoni che sarebbero arrivati a minuti e un virus che avrebbe terminato l’opera a momenti, risuonò la sirena della pausa pranzo.
Laurentina, in prossimità del raccordo. Zona di uffici e squallore. Un luogo in cui non si mangia, al massimo ci si nutre. L'unica domanda è sempre la stessa: restare nell'affollata sala comune della ditta o uscire e fare una fila enorme per conquistarsi un panino dal venditore ambulante?
Marco era a metà della fila. Il tempo splendido della primavera romana e il fornetto a microonde aziendale rotto avevano deciso per lui. Chiuse gli occhi, il riverbero del sole riflesso sui vetri del grattacielo di uffici di fronte al suo gli riscaldava il viso, ed era unabella sensazione. Migliore del tenere per quattro ore un casco immersivo ben aderente alla faccia.
Con gli occhi chiusi la realtà era lontana, confusa, per metà composta dal verde gessato porpora del cielo e dalla palude acida, per metà rivelata dall'odore di hamburger e dal vocio degli altri ragazzi. E da un ritmo vicino, debole, acuto.
Aprì gli occhi. La ragazza dietro di lui non era bellissima, ma aveva un'aria sbarazzina, viva, che sembrava colorarla tra tutte le facce grigie degli altri impiegati. E aveva gli auricolari bianchi dell'iPod che si lasciavano sfuggire quel briciolo di ritmo. Cin titìn, cin titìn. Uno swing.
La cosa buffa è che quasi sorrideva. Unica tra tutti i ragazzi in fila. Insomma, se si era lì ad aspettare il panino la ragione era una sola: si lavorava a progetto sottopagati, supersfruttati e senza futuro. E non c’era nulla da ridere. Specie per Marco, unico trentasettenne in un mare di ventenni.
Eppure la ragazza dietro di lui quasi sorrideva. Venticinque anni e quasi sorrideva. E spandeva intorno quello swing.
La musica veniva da un apparecchietto della Apple, un i-qualcosa. Marco sapeva che i nomi delle diavolerie Apple iniziavano tutti con la i ma li confondeva sempre. Eppure ricordava bene i vecchissimi spot della stessa ditta: “Cambieremo il mondo, uno alla volta”.
Più o meno. Sì, il mondo era cambiato, ma la ragazza con l’i-qualcosa era in fila come tutti.
La ragazza gli sorrise.
A lui, proprio a lui.
D’altronde Marco la stava fissando mentre sorrideva ai propri ricordi. Oddio, non voleva certo che lei pensasse che lui fosse il classico quarantenne al rimorchio…
Scusa, ho sentito la musica e stavo ricordando la vecchia pubblicità di quell’i… i… icoso.”
Lei rise. “iCoso. Mi piace iCoso. Quale pubblicità?”
Una ragazza di buonumore tra gli uffici di Laurentina è rara come un posto di lavoro a tempo indeterminato.
Uh, Think Different, ma a te non dirà nulla… La IBM fece una campagna pubblicitaria chiamata Think, e la Apple la stese con Think Different... E c’era quello slogan, cambieremo il mondo uno alla volta. Qualcosa così. Beh, con te un po’ ci sono riusciti. Seil’unica che sorride, qui.”
Solo perché è un bel giorno per me. Di solito mordo. Mi chiamo Sonia. Ma tu sei un pubblicitario?”
No, sono solo un cardiologo. Marco, piacere.”
Maremma zucchina, un cardiologo davvero? E a quale Call Desk lavori, al Recupero Crediti” disse indicando il grattacielo di fronte, quello che rifletteva il sole, “al War Desk,” indicò alle loro spalle, “o alle intercettazioni?”
Li ho fatti tutti e tre. Ora sono nel War Desk.” Stava per dire “Secondo giorno, sono in prova” ma un minimo di amor proprio glielo impedì.
Maremma partigiana! Figooo! Io sono solo nel Recupero Crediti…”
Davvero? Quello sì che è infernale!”
Scherzo Marco, sono un’operatrice di War Desk anch’io! Maremma cicoria, sei al terzo piano? NC contro ACSA? O GreenPeace contro WWF?”
NC contro ACSA. La peggiore.”
Intanto era quasi arrivato il loro turno dal venditore.
Già. ‘No schifo’. Non hanno una lira, Marco. Non so mica se ci pagheranno. Di questi tempi vai sul sicuro solo se combatti per il Vaticano.”
Ho sentito che la guerra va avanti da un mucchio. Almeno tre giorni. Incredibile. Se avessero avuto i soldi avrebbero fatto una guerra vera, non questa virtuale. Sai? Nel mio reparto abbiamo quasi tutti i sistemi disattivati per risparmiare.”
Ma dai, non credo lo facciano solo per risparmiare. Una guerra vera avrebbe un effetto negativo sull’immagine della società, quindi sul valore delle azioni. Beh meglio così, no? Non muore nessuno e noi abbiamo un lavoro.”
Sonia in punta di piedi stava cercando di vedere cosa offriva il banchetto. Mortadella Pirelli. Quasiprosciutto cotto con tracce di vera carne. Formaggi sintetici. Similporchetta. Pane per celiaci al mais riciclato. Ciriole di schiuma di pane. Il tipo di cibo che possono permettersi gli impiegati.
Ordinarono due panini e una bottiglietta di acqua ACEA, e si sedettero fianco a fianco sul marciapiede del parcheggio aziendale, tra una bicicletta e una vecchia Renault 4 da cui gocciolava in terra olio di colza.
Il sole era incantevole sulla schiena.
Parlarono di come le paludi fossero piene di virus, si lamentarono del fatto che lo scenario fosse stato messo su col materiale gratuito ma scadente degli studenti dei corsi di Progettazione di Mondi Virtuali, risero del fatto che i propri compagni di squadra potevano essere ovunque nel mondo, in un ufficio con un casco immersivo in testa, in una delle nazioni più povere dove gli impiegati venivano pagati una miseria. Come l’Italia.
Poi Sonia chiese: “Senti, non metterti a ridere, non ho mai combattuto con la ACSA. NC so che sta per Nestlé-Coke, e sono in guerra per mantenere il monopolio di mercato in Sud America. Ma la ACSA cosa maremma cicuta è?”
Marco si calò definitivamente nell’appagante ruolo del più esperto. Il sole, una compagnia stimolante, un po’ di cibo sullo stomaco, un lavoro anche se pessimo e in prova, lo fecero sentire all’altezza del ruolo.
ACSA è l’acronimo di Associazione Consumatori Sud Americani. Ufficialmente vogliono impedire la zozzeria della tirannia di mercato della Nestlé-Cola, ma in realtà vogliono acquistare spazi per i propri prodotti, bibite gasate, acqua e dolciumi. Non sono migliori dei primi.”
Ah ecco”
Posso farti una domanda, Sonia?” Era ormai ora di rientrare, la minimale pausa pranzo stava terminando.
Vuoi domandarmi se ho un ragazzo, eh? Sì, ce l’ho, e non è una scusa per non accettare appuntamenti da te.”
No, no, ferma! Sono sposato, no, figurati… Mi sei simpatica ma non, certo che non… Insomma volevo solo chiederti il motivo per cui per te oggi è una bella giornata!”
Oh maremma sgangherata come un uscio rotto… Scusa, che figura! Scusascusa! Beh… Oggi se va bene mi confermano, sai? Mi passano a contratto biennale!”
A Marco poteva entrare una pallina da tennis intera in bocca. Contratto biennale. Era quanto di più simile ai vecchi contratti a tempo indeterminato esistesse.
Com… Complimenti! Auguri!”
Già. E l’iCoso è il regalo che mi sono fatta in anticipo proprio per questa promozione.”
Grande! Andrà tutto bene, Sonia, andrà tutto bene.”
Già, ma devo vincere solo l’ultimo incontro.”
Si erano rialzati e stavano tornando verso il portone del grattacielo.
Beh, smetti di sorridere allora se devi vincere una guerra, e digrigna i denti! Prendi qualche droga per aumentare l’aggressività, una volta collegata?”
No, no, oggi no: ho il ciclo. Mi basta quello. Ora sorrido, ma una volta collegata è un’altra storia.”
Già: mordi.”
Ascensori aziendali, ma solo per dirigenti. Marco e Sonia si persero nella folla di impiegati che salivano le scale per guadagnarsi la propria minuscola postazione. Un gesto, un ciao perso nel rumore, un ultimo sorriso confuso tra le mille facce serie.
Sirena. Fine pausa pranzo.
Marco era pronto, il casco che indossava tornò a proiettare immagini, i sensori sulle sue mani pilotavano il corpo standard da marine nella realtà virtuale e l’altrettanto virtuale armatura danneggiata intorno a quel corpo.
Di colpo fu di nuovo nel campo da guerra creato dagli studenti di Progettazione Mondi Virtuali, con tanto di cielo verde e raggi spargibudella porpora. Di colpo la sua mente reagì dandogli un forte sapore di metallo e fango in bocca, di colpo rivisse accelerati gli ultimi venti secondi di combattimento. E finalmente si ritrovò nella stessa disperata situazione di prima.
Solo che ora la pancia piena, il sorriso della ragazza, il suo calarsi nei panni dell’esperto operatore di War Desk gli davano un’energia che prima non possedeva. Immaginò suo figlio davanti a un monitor a vedere questa scena e decise di non arrendersi all’inevitabile sconfitta. “Guarda papà che sa fare”.
Il Veterano lo teneva sotto mira e stava per vaporizzarlo. L’armatura di Marco era un blocco di metallo quasi inservibile ormai. Entro cinque secondi sarebbe stato distrutto dal dio nemico, entro dieci secondi l’armatura sarebbe stata distrutta dal virus, entro trenta secondi il livello sarebbe stato distrutto dall’arrivo dei demoni dal portale. Ma lui era un cardiologo, e per mestiere aveva imparato a non arrendersi sino all’ultimo battito di cuore.
Sganciò le due granate, ma senza lanciarle. Caddero come se il loro supporto danneggiato si fosse rotto. Controllò la traiettoria, poi diede i due impulsi: si lanciò in avanti e contemporaneamente uscì dall’armatura. I soldati virtuali entravano in quelle armature fittizie economiche da uno sportello sulla schiena che poi si richiudeva a protezione. E lui, o meglio il suo corpo virtuale da marine standard, si catapultò in terra mentre l’armatura saltava in avanti, contro il Veterano. I razzi saettavano dalla coda di pavone sulle spalle del dio d’argento brunito iniziando il loro spettacolo di distruzione, e l’armatura abbandonata iniziò a fumare e a lanciare brandelli intorno. Marco nascosto dalla propria armatura raccolse la prima granata, la disinnescò e la lanciò dentro lo sportello posteriore da cui era appena uscito. Poi raccolse la seconda granata e correndo come un pazzo col vento alle spalle la disinnescò e la lanciò nel portale urlando un poco professionale “fanculoooo!” e rotolando subito a terra.
Il Veterano tra il fumo e le fiamme delle proprie armi si rese conto di cosa era accaduto.
Mollò la presa sull’armatura vuota, ma troppo tardi. Un attimo prima dell’esplosione che distrusse armatura e Veterano d’Argento il dio brunito riuscì a dire con la sua voce sintetica “E mi mancavi solo tu per diventare un Veterano d’Oro e avere il contratto,
maremma zoccola!”
Marco si fece piccolo piccolo mentre tutto intorno a lui il mondo diventava un inferno di fiamme e una scritta confermava che la missione era completata e il periodo di prova superato.

7 commenti:

  1. Ecco un bel racconto di Gianni Sarti (cui diamo il benvenuto su Pegasus Sf), magistralmente scritto e con un finale davvero sorprendente.

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  2. Bel racconto di fantascienza, articolato con maestria, interessante nella sua tematica.

    Giuseppe Novellino

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  3. Splendido racconto! L'idea di base è ormai abbastanza inflazionata e il finale si lascia intuire in anticipo, ma la struttura, l'acume nelle considerazioni del protagonista e uno stile impeccabile ne fanno un gioiellino. Benissimo anche il ritmo, grazie al quale il racconto mi ha preso dalla prima all'ultima parola.
    Sauro Nieddu

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  4. Proprio bello. Bello stile, tosto, storia divertente, ambientazione spettacolare... Ma davvero esistono altre ambientazioni in cui la nestlè-cola combatte una guerra virtuale contro i sudamericani servendosi di precari di call center? Ancora complimenti.

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    1. Mi scuso in anticipo se la domanda non era rivolta a me.
      Riguardo all'originalità, non mi riferivo a quello che hai citato; piuttosto all'idea delle multinazionali che si armano per delle vere e proprie guerre che è abbastanza frequente. La virtualizzazione della guerra è presente in diverse opere, tra cui anche una puntata di Star Trek (in cui però le conseguenze sono pagate in vite, e non in moneta). Inoltre, l'incontro tra nemici - uomo e donna anche in quel caso - in cui a uno dei due manca una vittoria per raggiungere un obbiettivo importante, mi ha ricordato "La settima vittima" di Robert Sheckley (in cui però lo scontro è tutt'altro che virtuale).
      Il mio appunto non voleva essere una critica a Gianni, visto che tirar fuori delle idee originali è ormai quasi impossibile e del resto, da quanto ho scritto, credo venga fuori il mio apprezzamento per le qualità del racconto.
      Sauro Nieddu

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  5. Ottimo racconto e bella idea. Molto dinamico nella descrizione della battaglia.
    Bravissimo.

    Antonio Ognibene

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  6. Grazie a tutti, non mi aspettavo un riscontro così positivo per questo racconto senza pretese!
    In realtà tempo fa mi avevano commissionato un racconto per una antologia di fantascienza militare, erano richiesti tecnoguerrieri contro nemici orrendi, sarei finito accanto a racconti di esperti in supersoldati e letto da lettori avidi di mech tech brutt zozz. Ma io, che la cosa più militare che conosco è lo slogan "l'unico generale che ci piace si chiama sciopero", l'unica cosa che sono riuscito a pensare immaginando questi scaricatori di porto intrappolati nelle mega armature era la domanda "E se gli scappa la pipì?".
    Così ho fatto il racconto più militare che la mia indole mi ha concesso: questo. Beh, no, una prima versione era troppo psichedelica (gli sfondi da guerra a basso prezzo degli studenti in scenari virtuali comprendevano biciclette che covavano il loro nido di piccoli tricicli e scempiaggini simili) e l'ho riscritto imponendomi serietà. :)
    L'antologia non è più andata in porto, maremma editrice, ma vederlo su Pegasus SF non è da meno. :)

    Complimenti a Sauro per aver scovato il palese omaggio a Robert Sheckley! ;) E un grazie alla mia amica toscana Monica per avermi insegnato usi e abusi de "Maremma XXX". :D

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