giovedì 8 maggio 2014

LA LOTTERIA di Danilo Concas



La luce bluastra del sole, una stella gigante blu che di lì a poco avrebbe riempito il cielo, cominciava a colorare il paesaggio di Bezhel-II facendolo assomigliare alle profondità di un immenso acquario. Quel giorno Lina si era alzata più presto del solito e, come di consuetudine, non aveva fatto colazione. Avrebbe mangiato a pranzo, abbuffandosi con le sue deliziose focacce sintetiche calde e altamente nutrienti, ma ora doveva assolutamente far presto.
La voce sintetica del suo compagno la salutò non appena entrò in salotto, anch'esso immerso nel blu  soffuso proveniente dall'esterno.
«Buongiorno Lina, sei pronta ad affrontare la giornata?»
«Eccome se lo sono, Raf. Oggi c'è la lotteria, ricordi?»
«Sì... e speri di vincere, quest'anno?»
«Certo! Mica voglio restare per sempre su questo pianeta bastardo.»
«Hai ragione. Ma una possibilità l'hai già avuta, ricordi?»
La ragazza strinse con forza le mascelle; sentiva formarsi una piccola falla nella spessa diga che controllava la sua rabbia. E il suo dolore.
Due anni prima lei e Raf si erano sposati. Erano entrambi nati su Bezhel-II e appartenevano alla seconda generazione, discendente dai teletrasportati in esilio forzato dalla Terra sovrappopolata. L'esilio era stata una decisione inevitabile presa più di due secoli prima, quando la concomitanza della disponibilità del teletrasporto, la scoperta di nuovi pianeti vivibili o da terraformare e il grave problema della mancanza di risorse, avevano convinto il governo terrestre ad espatriare forzatamente otto miliardi di persone e a distribuirle come pionieri su diversi pianeti della galassia. La decisione era stata presa con favore dai più intraprendenti e avventurosi, mentre i più nostalgici protestarono con forza ma invano.
Col passare del tempo però, poiché la distanza di migliaia di anni luce e le condizioni di vita solo lontanamente simili a quelle terrestri piegarono anche lo spirito più indomito, venne indetta una lotteria annuale che, in caso di vincita, dava diritto alla cittadinanza permanente terrestre, quindi al ritorno al pianeta madre, diventato un luogo mitico anche per le nuove generazioni. Solo una persona per singolo pianeta, però, indipendentemente dal fatto di far parte di una famiglia, avrebbe potuto avere un tale privilegio. Ciò era il motivo per cui sulla Terra facevano ritorno esclusivamente persone sole o diventate tali nel corso della loro vita, anche se alla lotteria poteva partecipare chiunque.
L'anno precedente, Lina beccò il biglietto vincente sebbene fosse la prima volta che giocava. Ralf si trovava in orbita insieme alla squadra di riparazione del collettore di particelle solari, che le avrebbe  immagazzinate in speciali contenitori elettromagnetici per poi spedirle alla centrale energetica di Bezhel-II. Lina era sovreccitata dall'incredibile colpo di fortuna, non perché il biglietto le consentisse di tornare sulla Terra (non avrebbe abbandonato Ralf per nulla al mondo), ma per il valore intrinseco dello stesso, che avrebbe potuto rivendere al miglior offerente ricavandone una grossa somma. Quella stessa mattina, però, assieme alla fantastica notizia arrivò anche il lugubre annuncio della morte di Ralf. Mentre il giovane operava su un compattatore di particelle, infatti, un raggio ad altissima energia eruppe dal collettore per un brevissimo istante, sufficiente a tagliarlo in due. Di punto in bianco, Lina si ritrovò nella situazione di poter scegliere di lasciare Bezhel-II per sempre, e rifarsi una nuova vita sulla Terra. Ma c'era un'altra cosa che il suo attaccamento a Ralf gli suggeriva di fare, benché le sue possibilità economiche non fossero decisamente in grado di soddisfare una scelta così onerosa.
Doveva decidere in fretta, tra l'altro.
E decise.
Dalla vendita del biglietto, comprato da un vedovo centenario che finalmente avrebbe rivisto il pianeta di suo nonno, Lina ricavò un notevole accredito sul suo conto, una parte del quale rimase come rendita attiva nella banca TransPlanet. Con il cuore gonfio di tutta l'amarezza per la scomparsa del suo amato, utilizzò la maggior parte dell'accredito per comprare una procedura di travaso di coscienza, una tecnica costosissima che avrebbe salvato la mente di Ralf su un supporto molecolare donandogli così una seconda vita, seppur artificiale. Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui, nella sala d'attesa della clinica CyberKlone, la chiamarono per dirle che il lavoro era andato a buon fine. Né avrebbe mai dimenticato l'emozione di sentire la voce di Ralf provenire dal dispositivo; una voce dalle lievi sfumature artificiali, filtrata dai circuiti bioquantronici ma indiscutibilmente sua.
Che ora la riportava alla realtà.
«Stai dormendo, Lina?»
«Eh? No... no, stavo solo pensando.»
«Ti conviene avviarti, se non vuoi che ti rubino il posto al mercato.»
«Sì, certo. Ora si parte.»
Si mise al collo il dispositivo con la coscienza di Ralf, una catenina con un grosso cristallo nero a forma di goccia il cui interno emanava brevi lampi azzurrini (i pensieri del suo abitante), si soffermò a guardare con speranza l'enorme sfera virtuale della Terra che adornava il salotto, quasi una finestra reale nel buio dello spazio, e uscì nel caldo umido del primo mattino, con i primi raggi del sole che davano al suo viso eburneo una tonalità cerulea e venivano totalmente assorbiti dal nero dei suoi capelli a caschetto. Indossò l'elmetto e abbassò la visiera protettiva, quindi saltò sul suo Levimech da carico che conteneva tutta la mercanzia da esporre nel suo stand al mercato. Non appena il portello fu richiuso gli strumenti sul cruscotto si attivarono e il mezzo si alzò dal suolo, alla giusta distanza per sfruttare la forza antigravità che si opponeva a quella del pianeta.
Il Levimech sfrecciò sulla superficie pietrosa di Bezhel-II, schivando gli arbusti e le altre piante erbacee geneticamente modificate per iniziare la terraformazione; tra quei vegetali ce n'erano alcuni capaci di metabolizzare l'anidride solforosa come se niente fosse, laddove una normale pianta terrestre sarebbe perita nel giro di un giorno. Alcuni anni prima di quelle piante, su quel suolo vi avevano attecchito microalghe, anch'esse ingegnerizzate per preparare il terreno prima che i primi coloni vi mettessero piede. Lina osservava distrattamente i numerosi fiori che, curiosamente, erano soltanto o bianchi o blu, indipendentemente dalla specie a cui appartenevano, e provava un certo disgusto se doveva paragonarli a quelli visti sulle fotografie dei suoi manuali di botanica terrestre. I suoi preferiti erano le margherite selvatiche, e non vedeva l'ora di poterle vedere dal vivo.
Dalla linea dell'orizzonte si avvicinava velocemente l'esteso profilo delle baracche del mercato, e via via che il mezzo levitante si approssimava all'insediamento, il cuore di Lina prese a battere più veloce. Il sole blu era arrivato a mezza altezza, e la temperatura saliva di pari passo; nel giro di poche ore sarebbe stato meglio che tutti si trovassero all'interno degli stand rinfrescati artificialmente.
Rallentò non appena i primi stand le scorsero ai lati. Alla sua sinistra c'era quello di Darius, che vendeva estratti di piante e semi vari, mentre alla sua sinistra c'era Il Turco, con il suo armamentario di microcircuiti bioquantronici alcuni dei quali costosissimi e totalmente illegali, come il dispositivo che, se innestato, annichiliva la volontà dell'interlocutore che ci si trovava davanti soltanto fissandolo negli occhi. Mentre procedeva a passo d'uomo, le strutture organometalliche degli stand scorrevano ai lati del Levimech come delle modernissime tende da deserto, all'interno delle quali la temperatura veniva tenuta confortevole e costante. Lina arrivò finalmente allo spiazzo a lei destinato e vi parcheggiò, scese dal mezzo e attivò il dispositivo automontante dello stand sfiorando un pulsante. In pochi secondi la struttura inglobò lei e il Levimech e il sistema di condizionamento dell'aria si avviò.  Tutti gli stand erano disposti in cerchi concentrici intorno a un grande piazzale normalmente vuoto, tranne quel giorno. Era lì infatti che in capo a poche ore sarebbe atterrato il disco della nave interplanetaria proveniente dalla Terra; uno dei tanti che partivano dal pianeta madre con a bordo gli emissari diplomatici che avrebbero generato la sequenza casuale della lotteria. Se Lina odiava quel pianeta, il suo odio era ancora più viscerale per quel posto assegnatole. Si trovava infatti proprio davanti allo stand di Greg e Lea, una coppia riservata e diffidente che vendeva organi umani coltivati, stock di cellule artificiali in parte nanomeccaniche e perfino una serie di cervelli flottanti dentro sofisticati contenitori nutritivi; Lina aveva sentito dire, provando una certa repulsione, che ci si poteva dialogare come se fossero persone normali.
Accese il forno sintetizzatore e vi inserì alcune cartucce di bio-plastone, la materia prima dalla quale sarebbero derivate le sue fragranti e richiestissime focacce.
Poco prima di mezzogiorno aveva già venduto una buona quantità di merce e, mentre inseriva nuove cartucce nel forno, sentì un boato di acclamazioni appena smorzato dalle pareti dello stand.  L'astronave terrestre era stata appena avvistata nel cielo.
Nel giro di mezz'ora l'enorme disco si posava sullo spiazzo centrale del mercato con un fragore assordante, ma senza causare il benché minimo disordine attorno. I suoi possenti motori antigravità urlavano come demoni ma la loro lotta contro il campo gravitazionale era ben confinata e pulita. Sul bianco della faccia inferiore del disco campeggiava una enorme foglia verde. Lina la trovava bellissima.
Il boato delle persone presenti riprese il sopravvento non appena i motori si spensero; erano tutti usciti dai rispettivi stand per accalcarsi, sfidando il caldo infernale, in prossimità del portello d'ingresso che si stava aprendo. Sopra il portello una porzione della superficie dell'astronave si deopacizzò, rivelando un gigantesco display nero con dieci cifre bianche e luminosissime in rapido cambiamento. Dalla sua posizione Lina aveva un'ottima visuale, e con il biglietto di plastica ben stretto in mano, al pari di tutti gli altri presenti, attendeva trepidante l'inizio dell'estrazione. Le acclamazioni della folla salirono di tono non appena l'ambasciatore terrestre comparve nell'apertura del portello. Si trattava di un anziano signore molto alto, con un'espressione autorevole ma benevola allo stesso tempo; alzò il braccio destro in segno di saluto e per la prima volta si ud' la sua voce amplificata.
«Popolo di Bezhel-II! Tenete pronti i vostri biglietti: anche quest'anno l'estrazione che porterà uno solo di voi sul meraviglioso pianeta madre sta per cominciare. Adesso!»
I numeri sul display presero a cambiare più velocemente e divennero macchie indistinguibili di luce bianca, mentre la folla costituita da tutti gli abitanti di Bezhel-II ammutolì trattenendo il fiato; il loro cuore prese a battere col ritmo familiare solo ai giocatori d'azzardo più incalliti, sobbalzando ogni volta che una cifra prendeva forma sul display. Prima un cinque, poi un tre, un otto e un quattro in rapida successione. La tensione era talmente elevata da prendere sembianze materiali, quasi fosse un demone che si cibava dell'atmosfera carica di attesa e speranza. Per chi voleva partire o per chi voleva racimolare un sostanzioso gruzzolo con la vendita del biglietto.
Ancora un cinque e poi, un po' in ritardo, un due.
Lina sentiva la testa farsi sempre più leggera, mentre il cuore cercava di sfondarle lo sterno con colpi sempre più forti e rapidi: il suo biglietto conteneva tutti i numeri finora usciti, e nell'ordine giusto. In un angolo lontano della sua mente si chiedeva che probabilità ci fossero di comprare il biglietto vincente per due anni di seguito, ma la parte istintiva del suo essere era talmente forte in quel momento che teneva soggiogato il suo raziocinio come un crudele tiranno.
Mancavano quattro numeri e la folla cominciava nuovamente a dare segni di vita con qualche motto  di delusione.
Uscì un tre, poi un otto, entrambi presenti sulla superficie plastificata del biglietto di Lina. Sul suo petto Ralf emise qualche lampo azzurro.
«A che punto siamo, Lina?» Ma non ottenne risposta, era come se alla ragazza stessero strappando via il senno.
Un quattro si fermò alla penultima posizione, la stessa del biglietto. Ora a Lina sembrava di vivere in una dimensione impossibile, una piccola sfera d'irrealtà con una probabilità infinitesima di verificarsi.
La gran parte della folla, ormai vociante, si stava disperdendo delusa.
Dopo un lasso di tempo che pareva più grande dell'età stessa del cosmo, l'ultima cifra prese forma: un sette.
Lina lasciò andare il fiato, inspirò profondamente e urlò a squarciagola, agitando il biglietto in una mano e stringendo il ciondolo-Ralf nell'altra.
«Ce l'ho! Ce l'ho io! Ho vinto di nuovo! Ho vinto ancora!» le lacrime di gioia le sgorgavano copiose sulle guance arrossate dal sole blu.
«Non ci credo!» disse la voce sintetica di Ralf. «No, è troppo sfacciato da parte tua.»
Lina corse urlando verso il gigantesco disco dell'astronave, all'interno della quale l'aspettava l'ambasciatore per la convalida della vincita; il ciondolo-Ralf sobbalzava sul suo morbido petto come se anche lui stesse saltando di gioia.
Poco prima di arrivare all'ingresso, in cima alla rampa comparve l'ambasciatore terrestre. Indossava una mantella rossa sopra una tuta sintetica bianca, e i capelli erano corti e grigi; sul suo viso non eccessivamente rugoso campeggiava un sorriso appena accennato che gli conferiva un aspetto saggio e maestosamente calmo.
«Di nuovo tu!» disse alla ragazza che ansimava felice di fronte a lui, mezzo metro più in basso. Lei gli rispose con un sorriso, annuendo contenta come una bimba. Gli occhi dell'anziano signore si abbassarono sul suo petto, fissando il ciondolo.
«Un caro estinto sintetico, vedo.»
«Sì, è il mio ragazzo. Si chiama Ralf.»
«Mmh... tecnicamente sei quindi una vincitrice singola.»
«Sì»
«Bene. Allora ci possiamo accomodare nel mio ufficio per espletare le formalità burocratiche. In qualità di ufficiale diplomatico, essendo questa astronave territorio terrestre, ti do il benvenuto sul pianeta Terra.»
A quelle parole Lina sentì le guance arrossire, mentre l'orgoglio e la gioia di avercela finalmente fatta le provocarono un brivido in tutto il corpo. Entrare nell'astronave e percorrere i sui corridoi pieni di bellissime immagini della Terra le davano un senso di euforia che non aveva sperimentato più da quando, ragazzina e insieme a due sue amiche, aveva assunto per gioco un lampo psicostimolante direttamente nella pupilla.
Finalmente giunsero nell'ufficio dell'ambasciatore, una stanza completamente bianca con al centro una scrivania in vetro e due sedie dello stesso materiale. L'uomo passò la mano sul ripiano e questo si attivò illuminandosi di blu e verde cangianti. Una frazione di secondo dopo, la stanza bianca diventò una foresta pluviale rigogliosa e piena di rumori, con il sole giallo che filtrava dalla volta frondosa. Lina si irrigidì e spalancò gli occhi.
«Che roba è?» domandò.
«Un quantogramma cerebrale di ultima generazione.»
«Sembra di stare in un ambiente reale.»
«Lo è. Nella tua mente, ovvio. Tutti i tuoi sensi sono inondati di potenti risonanze neurali, cosicché sono effettivamente ed efficacemente ingannati. Tocca quella foglia.»
Lina allungò una mano verso una larga foglia di banano, appena sopra la sua testa.
«Ma è reale!» esclamò.
«Solo nella tua mente, ti ripeto. Ora, gentilmente, se ti vuoi accomodare possiamo iniziare la procedura.»
Lina sedette su un tronco ricoperto di muschio, mentre l'ambasciatore si accomodò su una roccia piatta. Quelle dovevano essere di sicuro le sedie in vetro, pensò la ragazza.
«Ora, la questione è semplice» disse l'uomo, sorridendo e guardando negli occhi Lina. «Molto semplice ad essere precisi. Per prima cosa devi essere disposta a partire entro oggi...»
«Ottimo!» lo interruppe Lina, eccitata. Con entrambe le mani stringeva il ciondolo-Ralf come avrebbe fatto un religioso di tre secoli prima con un crocifisso.
«Poi», proseguì il vecchio. «Dovrai essere disposta a non tornare mai più indietro.»
Quella affermazione turbò un poco la ragazza, che non riusciva a capire che bisogno c'era di ribadire un fatto certo. Era ovvio che non sarebbe più tornata indietro, non era forse quello che tutti sognavano per una vita?
«Questo mi sembra chiaro.» rispose, fissando l'ambasciatore che sorrideva.
Circa un'ora più tardi, tuttavia, il suo breve turbamento era già stato spazzato via dalla gioia di stipare le sue cose personali in un capiente zaino. Tra gli applausi, le incitazioni e i saluti dei suoi compatrioti, si diresse verso l'astronave.

La poltrona dove stava seduta era di una comodità incredibile; l'abbracciava dolcemente dandole la sensazione di galleggiare in aria. Il vecchio ambasciatore stava in piedi di fronte a lei, e il suo perenne sorriso enigmatico parve accentuarsi ancora di più quando la nave iniziò il decollo.
Con un gesto repentino mosse le dita sottili e bianche davanti a sé, come su uno schermo invisibile, e quasi subito comparve un'immagine tridimensionale, talmente nitida da sembrare una finestra affacciata su un'altra realtà. La ragazza trattenne il fiato per lo stupore.
L'immagine mostrava il pianeta Terra, un gioiello blu macchiato di bianco e ocra che Lina aveva sempre sognato di raggiungere e abitare. Gli occhi le luccicavano nel vedere il posto che presto avrebbe avrebbe potuto considerare come la sua nuova patria. Il blu erano gli oceani, una immensa distesa d'acqua che ospitava milioni di esseri viventi, sulle cui rive avrebbe voluto costruire la sua casa.
«È... è meraviglioso.» mormorò, con un groppo in gola.
Lo sfondo nero del cosmo accentuava quei fantastici colori; sulla destra dell'immagine c'era solo uno spicchio oscuro, che indicava la parte nascosta al sole. Vicino a quello spicchio risaltava una perla bianca e brillante: la Luna.
Un'improvviso tremolio parve distorcere l'immagine. Poi Lina si corresse: non era stata l'immagine per intero a tremolare, ma solo il disco terrestre. Ora sembrava addirittura che si stesse contraendo, anche se poteva essere un'illusione ottica. D'un tratto i colori brillanti del pianeta si offuscarono, e qua e là comparvero delle chiazze nere in rapida crescita. Lina era attonita nel vedere quel gioiello abbruttirsi.
«Ma che succede?» domandò. Ma il vecchio, sempre sorridente, non le rispose.
Intanto la Terra stava rapidamente scomparendo, e la poco distante Luna si tuffò in quel nero, sgretolandosi, quasi a voler seguire la sua genitrice nella sua infausta fine.
«Che significa questo?» chiese ancora Lina, con gli occhi spalancati e lucidi.
«Significa esattamente ciò che hai visto. Il pianeta Terra non esiste più.»
«Come è possibile?» chiese la voce sintetica di Ralf.
«È successo un giorno di centoventi anni fa, a causa di un esperimento troppo ardito...»
«Centoventi anni fa?» quasi urlò, Lina. «È ridicolo. Come mai nessuno ne ha mai parlato? Una cosa del genere dovrebbe essere ormai un fatto storico...»
«Lo è, infatti. Un giorno tutti sapranno, ma fino a quel giorno è necessario tenere nascosta la verità.»
«Ma perché?»
L'ambasciatore sospirò, come se dovesse ripetere per l'ennesima volta una verità imbarazzante.
«La lotteria costituisce un'autentica miniera d'oro per l'Organizzazione Interplanetaria. Nella nostra galassia ci sono centinaia di colonie, abitate da decine di miliardi di esseri umani ciascuno dei quali anela al ritorno nel pianeta madre, anche se non l'ha mai conosciuto; per fare ciò è disposto a pagare l'equivalente di un mese di lavoro ogni anno. Abbiamo il dovere di tenere alta questa brama in ogni cittadino, pena il crollo economico dell'intera Organizzazione e il decadimento di ciascuna colonia nell'anarchia. Nessuno, al momento, deve sapere la verità.»
Lina era esterrefatta. Stringeva nella sua mano il ciondolo-Ralf, cercando conforto.
«Ma se la Terra non esiste più, dove vanno i vincitori?» chiese, con la voce strozzata.
«La Terra non esiste più in quest'epoca» le rispose il vecchio. «ma sarà sempre presente nel passato.»
Lina rimase attonita. Pur non essendo una risposta diretta, quella frase le mostrò con forza una realtà che mai avrebbe immaginato. Nessuno aveva mai menzionato una tecnologia tale da permettere di muoversi a ritroso nel tempo, anche considerando la loro avanzata civiltà.
«Devi solo scegliere l'epoca in cui vivere, ma sarai comunque sulla Terra come desideravi.» continuò l'ambasciatore.
La ragazza ebbe un moto di rabbia di fronte a tale inganno. La Terra era sempre la stessa in qualunque epoca, ma si sentiva comunque presa in giro. Ralf sentiva le sue emozioni, e le diede sostegno.
«Una volta che saremo là non ci accorgeremo della differenza» disse. «sarà come se fossimo nati lì.»
«Sagge parole, giovanotto.» disse il vecchio. «Ora possiamo cominciare. È rimasto un posto a metà del ventesimo secolo, poiché lo giudico adatto a te. Non ti dovrai preoccupare di nulla, ci sarà qualcuno del nostro tempo a darti una mano ad inserirti nella società di arrivo. Fa parte della vincita, del resto.
Il vecchio toccò l'aria con le dita in una precisa sequenza, come su dei tasti invisibili.
«Ancora congratulazioni e buona fortuna.» disse.
Lina svanì dalla poltrona, come se non fosse mai esistita.
Si sentì gelare. Il buio l'avvolse per pochi secondi, poi attorno a lei prese man mano consistenza una nuova realtà. Sentì la materia che prendeva forma sotto i suoi piedi, l'aria fresca che le riempiva i polmoni. Poi un rumore di risacca. Osservò con gli occhi lucidi le onde bianche e blu dell'oceano venirle incontro, la brezza marina che le sfiorava la pelle e le scompigliava i capelli. Sul petto il dolce peso di Ralf.
Era arrivata sulla Terra, finalmente.
Due persone, ancora lontane sulla spiaggia, venivano verso di lei. Per lei.

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