giovedì 30 gennaio 2014

L’Ultimo Volo di Sauro Nieddu



Le lacrime cominciarono a cadere sull’asfalto, chiazzandolo di macchie d’umido irregolari. La donna anziana non si prese la briga di attivare lo schermo antipioggia. Staccò una mano dal deambulatore e se la portò alla fronte, per proteggere gli occhi dalla luce che, seppur diffusa dalle nubi, era piuttosto intensa. Guardò verso il cielo aspettandosi di vedere lo sciame di facce dai cui occhi sgorgavano le lacrime, ma non c’era alcun volto, lassù. Solo un velo uniforme di nuvole azzurro chiaro; una foschia celeste.
Com’era possibile che nessuno piangesse?
La donna riportò lo sguardo di fronte a sé, la mano sul deambulatore. Una lacrima cadde davvero, scivolando lungo la pelle rugosa del viso, staccandosi dal mento a ricadere sulla mano, mischiandosi alla pioggia che l’incorporò in un istante. Anche il volto ormai era coperto dalla pioggia, e non si poteva dire, ormai, se lei piangesse o fosse stata solo una lacrima isolata.
La donna era rimasta sola, ma non era stata la solitudine a innescare il pianto. Lei sapeva di aver vissuto appieno la sua vita, e niente più la spaventava, quella solitudine momentanea, in un certo senso era una preparazione a quella più lunga che l’aspettava, quella a cui nessuno poteva sfuggire. Ma si sentiva pronta perfino alla morte, anche se certo non era intenzionata a darsela. Non lei che ne capiva il senso profondo. Non fino a che non ci fosse stata costretta. La morte era la fine. Doveva esserlo, perché l’uomo è fatto per morire.
Allora la sua mente tornò ai giorni della gioventù, quando aveva lottato con tutte le sue forze per costruire un mondo migliore. Un mondo in cui le persone fossero libere e consapevoli.
Ricordò le lotte contro una religione che, con la promessa di una vita eterna, rendeva schiavi gli uomini in terra. Ripensò con amarezza a quanto era costato ottenere che le donne potessero mettere al mondo i figli nel modo che preferivano, invece di sottostare a regole costruite per controllarle. Alle battaglie per far sì che il suicidio, in ogni sua forma e motivazione, fosse lasciato alla coscienza individuale, senza ingerenze da parte della società; una scelta e non un peccato. Perché l’uso di qualunque droga anziché essere condannato, o incentivato, restasse nell’ambito della responsabilità di ogni singolo. Così, senza questa linfa a sostenerle, erano crollate le grandi organizzazioni criminali. Ricordò quando aveva lottato perché si smettesse, finalmente, di fare scempio della Terra, utilizzandone le risorse in modo sostenibile. Ricordò… ma perché ricordare, quando faceva tanto male?
Lei, assieme a tanti altri come lei, aveva vinto la battaglia per ottenere un governo razionale, forse il primo della storia. E i libri di storia riportavano la cronaca della loro vittoria. Eppure si guardava attorno e vedeva la loro sconfitta impressa a fuoco in tutto quel che la circondava. I muri riportavano scritto, in lettere fiammeggianti; “hai fallito!”, i segnali stradali la deridevano, i grandi cartelloni pubblicitari la sbeffeggiavano, perfino le piccole pozze d’acqua, che riuscivano a resistere per qualche istante all’asfalto auto-drenante, si prendevano gioco di lei, dei suoi sogni di gioventù, dei suoi compagni di lotta.
Ma com’era possibile? Che stupida domanda; era inevitabile. Il potere vince, sempre e sa sempre a chi concedere i suoi favori perché se ne faccia araldo.
E lei era rimasta sola. I suoi amici se n’erano andati da molto tempo, e oggi lo aveva fatto anche l’ultimo pezzo della sua famiglia. Elisabetta aveva appena tredici anni. E si era infilata, quasi senza pensarci, come fosse una decisione da niente, in una delle cabine che portavano a Paradiso.
Il sistema di gestione dati Paradiso era stato costruito una ventina di anni prima. E il primo proposito dei suoi creatori non era stato malvagio. Lo avevano fatto perché anche chi non desiderava più vivere in questo mondo non andasse del tutto perso. Così, prima che la scarica di micro-onde gli bruciasse il cervello, un calco elettronico della personalità veniva prelevato dall’aspirante suicida e inviato al computer centrale del sistema Paradiso. Lì, avrebbe goduto di un esistenza diversa, profondamente diversa da quella umana, ma a detta dei suoi programmatori, comunque molto varia.
Che grande idea! Avevano detto tutti. E lo era stata davvero. Ma da qualche anno Paradiso aveva lanciato una delle più grandi campagne pubblicitarie che si fossero mai viste. Aveva stipato le proprie cabine da viaggio (che bell’eufemismo!) in ogni angolo di ogni città del pianeta. E la gente aveva incominciato a credere che dentro Paradiso si potesse vivere una vita migliore che non nel mondo reale. Una vita oltre la morte; esattamente quel che promettevano le vecchie religioni, quelle che lei aveva combattuto con tutte le sue forze.
I capelli bagnati le ricadevano lungo il viso in ciocche argentee che somigliavano vagamente a cavi elettrici. La donna si fermò, staccò di nuovo la mano dal deambulatore per scostarne una che sfiorandole le ciglia le faceva vibrare una palpebra quasi avesse un tic nervoso.
 Si guardò attorno; i passanti, molto più sporadici che nel passato recente, camminavano indifferenti sotto la pioggia, protetti dagli schermi. Un ologramma pubblicitario, in forma di uccellino stilizzato, vagava dall’uno all’altro cinguettando le virtù di una qualche marca di biscotti al burro sintetico. Non vide nessun proiettore nei paraggi; doveva essere uno di quegli ologrammi auto-proiettanti di ultima generazione. Riprese la via di casa.
Nel passare di fianco a una cabina Paradiso, si voltò bruscamente dalla parte opposta.
Paradiso… non esistevano prove che i calchi mentali fossero fedeli agli originali, e nemmeno che la cosa funzionasse, e anche in quel caso restava il dubbio che effettivamente i padroni di Paradiso si prendessero la briga di inserirli nel sistema, eppure in troppi ci avevano creduto e altri continuavano a crederci. In ogni caso non c’era modo di saperlo; nessuno tornava da Paradiso. Paradiso= Fede=Religione; la donna fremette dal disgusto.
Si chiese quali fossero in realtà gli interessi che muovevano quella rapida espansione del sistema Paradiso. Era ovvio pensare che ci fossero dietro le classi più ricche, interessate, ora che la manodopera era completamente automatizzata, a riavere indietro un mondo meno popolato e più godibile. Qualcuno riteneva che il sistema sfruttasse i calchi per aumentare la propria capacità di calcolo a favore di chi poteva permettersene i frutti. Altri azzardavano l’idea che il sistema Paradiso, avendo raggiunto un grado d’intelligenza (e consapevolezza) superumana, si fosse auto-acquistato e ora, essendo padrone di se stesso, mirasse allo sterminio completo degli esseri biologici. Ma anche queste erano dispute senza senso; quel che contava erano i risultati, e i risultati…
La donna arrivò finalmente all’ingresso del suo palazzo, entrò nell’ascensore e disse, rivolta al monitor:
- Piano trecento.
I risultati… da un anno a quella parte, Paradiso aveva rivolto la sua campagna acquisti ai più giovani. E il bersaglio si era dimostrato persino più reattivo del previsto. Dopotutto si trattava di una generazione abituata a passare più tempo nella realtà virtuale che non in quella materiale. Alla promessa di vivere in un videogioco con un numero quasi infinito di opportunità, con un tempo virtualmente infinito per esplorarle, come altro avrebbero potuto reagire quei bambini? Dopotutto gli si chiedeva solo di rinunciare a quei corpi goffi e limitati. E cosi anche Elisabetta lo aveva fatto; era entrata in una di quelle dannate cabine e non ne era più venuta fuori.
L’ascensore si fermò. La donna anziana uscì nel terrazzo del grattacielo e fu quasi inebriata dall’aria rarefatta e dalla brezza sostenuta, tipici dell’alta quota. Si avvicinò al parapetto e guardare l’abisso sottostante le diede un brivido di eccitazione. La sua mente si divincolò dal corpo e si lanciò oltre la ringhiera. L’ebrezza di quel volo immaginario ‒ ma la sua immaginazione allenata sapeva essere molto efficace ‒ le diede la sensazione più vicina all’orgasmo tra quelle che poteva pretendere alla sua età, dopo aver visto troppo, vissuto troppo. Eppure, nonostante il piacere del volo, ciò che vedeva dall’alto era sconfortante quanto visto dal basso.
Si staccò dalla ringhiera e tornò verso il suo appartamento. Era davvero avanti con gli anni, e ormai, nonostante la medicina facesse quasi miracoli, non gliene restavano ancora molti da vivere. Quando la sua ora fosse stata davvero vicina, allora lo avrebbe fatto, per non rischiare che a qualcuno saltasse in mente di salvarla ficcandola in Paradiso o in qualche altra banca dati del genere. Ma era intenzionata a rinviare il più possibile quel momento.
Eppure nel suo intimo covava il terrore che davvero esistesse qualche dio, un bastardo di livello superiore, che all’ultimo momento le avrebbe sottratto l’agognato oblio per spedirla nel suo paradiso arbitrario, condannandola così a una vita d’ingiustizia eterna.

5 commenti:

  1. Bel racconto di fantascienza, quello di Sauro, con chiare implicazioni politico-religiose.

    RispondiElimina
  2. Devo fare i miei complimenti a Sauro per aver scritto un racconto davvero intetessante.

    RispondiElimina
  3. Complimenti Sauro, il tuo racconto mi è piaciuto molto è molto intrigante e per nulla banale.

    RispondiElimina
  4. Racconto intrigante, quasi di fantateologia. Una bella idea narrativa per fornire la visione di una specie di aldilà da incubo. Comunque appare come una riflessione in forma ludica sul mistero della fine di un'esistenza. Scritto bene.

    Giuseppe Novellino

    RispondiElimina