mercoledì 22 ottobre 2014

STELLE CADENTI di Giuseppe Novellino


    
        

Quella del 10 agosto 1890 era stata, per il dottor Robinson, una giornata da dimenticare.
     Da un po’ si era fatto buio. Stava sulla veranda e si lasciava dondolare nella sedia, guardando le stelle in un cielo terso, insondabile. Ogni tanto trangugiava un sorso di whisky da una bottiglia quasi vuota. I grilli frinivano fra la sterpaglia che si estendeva oltre le ultime case di Silverthorne.
     Aveva dovuto prestare le sue cure a una decina di persone seriamente ammalate. Poi c’era stato l’intervento per estrarre una pallottola dalla pancia di Hans Lettermann, il quale aveva avuto un diverbio con un balordo di passaggio, dileguatosi subito dopo nella polvere della strada per Denver. E come ciliegina sulla torta, gli avevano inviato un messaggio telegrafico per annunciargli la morte di sua sorella Susan, stroncata da un male incurabile.
     Già aveva avvistato due stelle cadenti. Ma ciò che vide, dopo aver tracannato l’ultimo goccio di liquore, fu davvero straordinario. Una luminosissima scia, dopo aver percorso il firmamento, si spense dietro le colline del Blue River. Il suo punto di osservazione era molto favorevole, dal momento che l’abitazione si trovava sull’estremo limite nord della cittadina. Ma sicuramente, pensò il dottore, molte altre persone rimaste ancora sveglie dovevano avere visto il fenomeno. Si era trattato di una stella cadente fuori dall’ordinario, se non altro per quella intensa luminosità azzurrognola che per un momento aveva inviato i suoi riflessi da oltre la cresta dei rilievi.
     Fu assalito dal torpore. La fatica di essere medico in una cittadina sperduta del Colorado non era cosa da poco. Si sentiva oppresso dalla solitudine, dalla malinconia per la perdita della sorella lontana; ma era anche logorato dal ricordo ossessivo di essersi stupidamente giocato, a suo tempo, la carriera in un posto più civile come St. Louis.
     Scaraventò la bottiglia vuota oltre la ringhiera della veranda e chiuse gli occhi.
     Solo l’alcool e qualche volta il riposo riuscivano a lenire la sua pena esistenziale.


     Quando si svegliò, sentì uno strano freddo nelle ossa. Doveva essere l’umidità notturna.
     Trasse l’orologio dal taschino, ne illuminò il quadrante con un fiammifero. Era quasi mezzanotte. Doveva aver dormito una buona oretta sulla sedia a dondolo. Poi sentì una voce che sembrava dentro la sua testa:
     - Ti do l’ordine di soccorrere il qui presente cadetto di seconda classe Matwrhian. La prestazione a te richiesta è urgente. L’organismo del soggetto in questione è affetto da una reazione antagonista causata da eccesso di cripto nell’atmosfera terrestre… - Il resto venne da una voce metallica dall’estremità buia della veranda. – Sono l’unità PHZ-778003244559114. La sindrome del soggetto che sto accompagnando richiede la somministrazione di cloruro di acetile, di cui siamo sprovvisti. Tu sei quello che chiamano medico e dovresti essere in possesso della sostanza
     Così il dottor Robinson vide i due individui: uno alto non più di un metro, avvolto in quello che sembrava un lungo mantello leggermente fluorescente; l’altro, che aveva parlato, era una strana creatura dalle incerte fattezze umane.


     Quella fu una notte completamente dimenticata dal dottor Robinson.
     Lo vide, verso le quattro del mattino, Jack il boscaiolo, che con la sua mula se ne andava nella foresta di conifere sulle colline a nord di Silverthorne. Il dottore era abbandonato nella sedia a dondolo, irrigidito per l’umidità e il freddo della notte. Lo rianimò con un sorso di rum.
     Poi il dottore andò a buttarsi sul letto e dormì altre due ore.
     La luce del mattino portò il fastidio di un’altra giornata di frustrazione. E mentre ingollava un bicchiere di whisky nel saloon di Scarlett, il dottor Robinson sentì un tale di passaggio che diceva:
     - È davvero curioso quello che ho visto stamani dietro la collina. La vegetazione era tutta morta nel raggio di cento metri. Il cerchio era perfetto, come se fosse stato disegnato da un gigante. E poi, al limite dell’area sconvolta, ho trovato questo. -Mise sul bancone un tubetto di latta con la scritta: “cloruro di acetile”.
     Robinson vuotò il bicchiere e disse: - Strano, questa mattina sono diventato matto a cercare il cloruro di acetile per il composto antipiretico da somministrare al figlio della signora Milton. L’ultimo tubetto che mi era rimasto…proprio uguale a quello.
     Scrollò le spalle e si riempì di nuovo il bicchiere.
     Mormorò:
     - Ce ne sono di cose misteriose sotto questo cielo stellato.

3 commenti:

  1. Caro Giuseppe, la tua vena western è pressoché inesauribile, oltreché fantasticamente avvincente. Davvero un bel racconto.

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  2. Belle le descrizioni dei personaggi in questo racconto western fantastico...

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  3. Molto gradevole e ben descritto. Rende il personaggio e l'ambientazione con credibilità e calore. Davvero riuscito.

    Fabio Lastrucci

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