giovedì 6 giugno 2013

AUTOSTOP di Giuliana Acanfora

                                                   
 La ragazza apparve all’improvviso, in mezzo alla strada, appena girato il tornante. Augusto schiacciò a fondo il pedale del freno e le inchiodò davanti, senza che lei accennasse a spostarsi o desse segni di spavento. La veste bianca, i capelli neri: sotto la luce degli abbaglianti sembrava irreale, tanto quanto la sua presenza su quel tratto di strada in mezzo al nulla.
– Sei matta? – esclamò Augusto sporgendosi dal finestrino, il cuore in tumulto perché lui sì, s’era spaventato.
La ragazza si avvicinò. I grandi occhi neri, cerchiati, spiccavano nella carnagione pallida.
– Mi puoi dare un passaggio?
– Certo, sali.
Si girò per aprirle la portiera e la trovò già seduta accanto. Provò a scherzare, per stemperare l’inquietudine che lo aveva preso:
– Che velocità. Cosa sei, un ninja?
Lei non rispose. Appoggiò la schiena al sedile e tenne lo sguardo fisso sulla strada. Augusto ripartì in silenzio.
Quando i fari illuminarono un grosso faggio sul ciglio della strada, la ragazza lo indicò col dito.
– Vedi quell’albero? Lì ho fatto l’incidente. – La voce era quasi un sussurro, lenta e solenne, con un insolito riverbero. Augusto stava per rispondere, ma lei aggiunse: – È lì che sono morta.
Le parole continuarono a echeggiare nell’abitacolo, mentre il corpo della ragazza scomparve davanti ai suoi occhi.
Augusto perse il controllo dell’automobile, che fece un paio di giri su se stessa e si fermò col muso a un passo dal faggio incriminato. Lui appoggiò una mano sul petto; sentiva il cuore schizzargli via dalla cassa toracica e faticava a respirare. Prima che potesse formulare un solo pensiero, la ragazza ricomparve sul sedile a fianco.
– Scusa. Sono scomparsa prima del tempo. Non è questo il posto. Vai avanti, non è questo l’albero giusto. Non è qui che sono morta.
Riappiccicò la schiena al sedile e riassunse la posa ingessata di prima.
Augusto per un attimo credette di essere morto anche lui. Non sta accadendo davvero, si disse. Ma la ragazza era seduta lì accanto, in attesa, e sembrava anche spazientita. Strizzò gli occhi un paio di volte: niente, la visione non se ne andava. Per quanto fosse assurdo, era reale. Preoccupato delle possibili conseguenze di fare arrabbiare il fantasma, respirò a fondo, rimise l’auto in carreggiata e ripartì.
– Qui! – si animò lei poco più avanti. – Ah no, non è nemmeno questo il posto. C’era un albero grande e subito dopo una stradina sulla destra, che portava a un gruppo di case con il tetto rosso.
–Non sono pratico della zona – balbettò Augusto.
– Ah – rispose lei delusa. – Ce l’hai una cartina?
– Nel cassettino.
Lei lo aprì, estrasse la cartina e trovò sotto un Cd di Valerio Scanu.
– Hey, questo è della mia epoca! – esclamò. – Lo possiamo ascoltare?
– Epoca? – si sorprese Augusto. E prendendo coraggio le chiese: – Ma tu quando sei morta?
– Non lo ricordo di preciso – confessò lei. – Sai, l’eternità non è scandita da orari, è facile perdere il conto.
– Già, immagino. E come funziona? Ti ritrovi di notte con gli altri fantasmi e decidete se infestare i castelli o spaventare i passanti o che?
– Come me, non ho ancora incontrato nessuno.
– Ah, mi spiace. E come passi il tempo?
– Con l’autostop!
– Ovvio.
Augusto trattenne un sorriso. Per quanto strana e inquietante la situazione cominciava a divertirlo.
Lei aprì la cartina.
– Adesso dove siamo?
Augusto vi buttò un occhio e l’auto sbandò leggermente.
– Attento! – urlò lei. – Tieni gli occhi sulla strada, è pericoloso.
– E a te che importa? – disse lui piccato. – Sei già defunta, no?
– Lo dico per te. Basta un attimo di distrazione, sai? E parlo con cognizione di causa, hai davanti la prova vivente… morente… morta.
Lui portò una mano tra le gambe per una strizzata scaramantica. Lei guardò la strada.
– Fermati è qui! Sono sicura.
Augusto accostò al ciglio della strada ed entrambi scesero dalla macchina, lei senza aprire la portiera. I fari accesi illuminavano un grosso faggio, ai piedi del quale era appoggiato un mazzo di fiori. Fissato al tronco, un manifesto mostrava la foto di una bella ragazza con i capelli neri, gli occhi scuri non cerchiati e un viso roseo dai lineamenti delicati.
– Ti chiamavi Monica?
– Credo di sì – rispose lei a bassa voce.
– Ti lascio qui?
– Grazie. Scusa per l’equivoco di prima.
– Ah, figurati. Beh allora, buon proseguimento… cioè, riposa in pace. Insomma… qualsiasi cosa tu faccia.
– E tu? Dove vai adesso?
– Proseguo per Montecastello.
– Dev’essere un bel posto. Non ci sono mai stata. Ci volevo andare ma poi – toccò il faggio, – eh.
– Ok, ciao.
– Ciao.
Augusto aprì la portiera, poi si fermò a guardare Monica che si accucciava mogia ai piedi del tronco.
– Senti, se vuoi venire a Montecastello…– Lei si rialzò di scatto. – Però dovrai cercarti un altro passaggio per tornare indietro.
– Certo certo, va bene.
In un attimo era già sul sedile passeggero.
Anche Augusto salì a bordo e mise in moto. Il silenzio calò nell’abitacolo. Monica fissava la strada nella sua posa rigida e lui non sapeva cosa dirle. Prese il CD di Valerio Scanu e lo inserì nel lettore.
Un attimo dopo entrambi cantavano di far l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi.




4 commenti:

  1. Avvincente racconto, dal finale per niente scontato. Mi è piaciuto anche il sottile umorismo nero che lo pervade.

    Giuseppe Novellino

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  2. Dalla tragedia nasce uno splendido racconto umoristico, scritto davvero bene, che mi ha preso dall'inizio alla fine. La storia inoltre, pur nella sua giocosità, nell'evocare il fantasma (quello della solitudine, non di Monica) riesce anche a dare un bello spunto di riflessione. Bravissima!

    Sauro nieddu

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  3. Grazie a tutti e tre.

    Giuliana Acanfora

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