venerdì 15 novembre 2013

VERTIGINE di Giuliana Acanfora



– Stop ai crimini temporali! Fermiamo la MdT!
Era un ragazzo a gridare questo slogan e a distribuire volantini nel parco. Alba gli tenne gli occhi addosso e lui si avvicinò, le cacciò un volantino in mano e disse: – Visita il nostro sito web, prima che le autorità lo oscurino. Troverai cose interessanti.
Le strizzò l’occhio e si allontanò, per continuare la sua opera di divulgazione.
Un temporalino, pensò Alba. Venivano chiamati così quelli che facevano propaganda contro i furti commessi in altre epoche, con l’ausilio della MdT. Una battaglia onorevole, non fosse stato che la “Macchina del Tempo” non esisteva. Il teletrasporto permetteva sì di spostarsi da un luogo all’altro, ma non portava avanti o indietro nemmeno di un giorno. Sicché i temporalini non erano altro che un gruppetto di matti, alla stregua di quelli che predicavano “La fine del mondo è vicina” o “Gli alieni sono tra noi”.
Un poliziotto apparve in fondo al viale. Il ragazzo si mise a correre, entrò in un portale di teletrasporto e si smaterializzò.
Alba piegò il volantino, lo mise in tasca e continuò per la sua strada. Adorava passeggiare nel parco, soprattutto da quando la primavera lo aveva trasformato in un’immensa fioriera. Si accovacciò accanto a un’aiuola, dove tra foglie sottili e allungate svettavano grappoli di campanelle bianche e inspirò a lungo: il profumo del mughetto era il suo preferito, da sempre. La riportava a una sensazione di dolcezza e coccole, evanescente come un ricordo d’infanzia che era lì a un passo, e non riusciva mai ad afferrare.
– Alba!
La voce di Arianna interruppe l’estasi.
– Stai andando a lezione? – le domandò l’amica. La raggiunse e la baciò sulle guance. – Prendiamo un portale?
– Pensavo di andarci camminando, c’è tutto il tempo.
Arianna fece una smorfia. – È che devo copiare degli appunti… – buttò lì.
Alba la seguì controvoglia dentro a un portale. Le dita cicciotte dell’amica si mossero veloci sulla tastiera e la scritta “Viale Hack” comparve sul nastro di destinazione, insieme all’importo da pagare.
– Offro io – disse Aurora. Inserì la carta di credito nella fessura, fino al suono di avvenuto prelievo.
Entrambe posarono una mano sulla sfera iridescente e Alba strizzò gli occhi: smaterializzarsi le provocava vertigine; per fortuna gli spostamenti urbani erano quasi immediati. In pochi secondi si trovarono di fronte all’università. A quell’ora del mattino c’era un gran numero di studenti che entravano e uscivano da una fila di portali allineati.
Un po’ spostata sulla sinistra rispetto all’ingresso dell’ateneo, era esposta la statua in bronzo di un uomo nudo seduto su una roccia, con il gomito destro appoggiato sulla gamba sinistra e il dorso della mano a sostenere il mento. “L’intellettuale” dell’artista contemporaneo Ermes Lovato, non aveva mai avuto niente di attrattivo per Alba, ma quel giorno si fermò a guardarlo con interesse. La sua foto compariva sul volantino che le aveva dato il ragazzo, con sovraimposta la scritta “PENSA!” e si ricordò che anni prima il Lovato era stato al centro di una contestazione da parte dei temporalini, che lo accusavano di saccheggio temporale.
Le ragazze entrarono nell’aula magna dieci minuti prima della lezione e Arianna si mise a chiacchierare con altri studenti. Alba se l’aspettava, aveva capito subito che l’amica non doveva copiare nessun appunto: era solo che non aveva voglia di camminare. La diffusione del teletrasporto aveva creato una generazione pigra e obesa. Benché si investisse denaro in campagne per esortare la gente a praticare sport, le statistiche dicevano che solo il trenta per cento della popolazione rispondeva a questo appello; i restanti preferivano teletrasportarsi da un tavolino del McDonald’s a una sala di proiezione interattiva, dove avevano l’illusione di fare tante cose, restando seduti in poltrona.
E si perdono uno spettacolo meraviglioso, pensò Alba, guardando dalla vetrata dell’aula magna le file ordinate di alberi in fiore che costeggiavano i viali sterrati, il prato ricco di aiuole variopinte, le facciate di cristallo degli edifici circostanti che riflettevano luce e colori in armonia con l’ambiente.
Nell’attesa che iniziasse la lezione, Alba sedette alla postazione Internet e si collegò al sito dei temporalini riportato sul volantino. Sull’home page non c’era niente di rilevante e per accedere alle pagine successive era necessario inserire una password che lei non aveva. Ne provò alcune a caso: > temporalini > macchina del tempo > MdT... Dava sempre ACCESSO NEGATO. L’arrivo del professore interruppe la sua ricerca.
Dopo le lezioni del mattino, Arianna prese un portale per tornare a casa mentre lei, che si era portata il pranzo al sacco, sedette sull’erba, accanto alla statua del Lovato e ai ciuffi di mughetto. Mentre mangiava, uno scampanellio attirò il suo sguardo sul viale. – Bella! – le urlò un tipo che passava in bicicletta. Alba sorrise e guardò ipnotizzata il movimento delle ruote, fino a quando la bici non scomparve dietro alla curva. Le biciclette la incantavano. Avevano una storia molto antica ed erano sopravvissute nel tempo subendo pochi cambiamenti estetici. Raramente se ne vedeva passare qualcuna più veloce, che lasciava dietro di sé un odore fastidioso: erano quelle truccate illegalmente. I mezzi a motore erano vietati da una cinquantina d’anni e chi veniva sorpreso a usarne uno, era punito con pesanti sanzioni e con il sequestro del veicolo. Del resto era molto difficile procurarsi il liquido che serviva a far muovere questi mezzi. Secondo i temporalini, era una di quelle cose che veniva rubata con la MdT.
Il rumore di una frenata a poca distanza da lei la fece sobbalzare: quando si perdeva nei pensieri, si estraniava dal mondo. Il ciclista di prima le era di fronte  e stava smontando dalla bici. Alba lo guardò in viso e lo riconobbe. Fu lui il primo a parlare.
– Sei la ragazza di stamattina, al parco Pavarotti.
– Sono io – confermò Alba. –  E tu sei il…temporalino.
– Lo dici come fosse un demerito.
Alba arrossì. – Non ti volevo offendere.
– Mi chiamo Emilio.
– Alba.
Si strinsero la mano e il ragazzo si accovacciò di fronte a lei.
– Non ci credi, vero? Nella battaglia dei temporalini.
Alba si strinse nelle spalle. – La Macchina del Tempo non esiste – disse.
– Come fai a esserne sicura?
– E tu del contrario?
– Ho le prove. Hai visitato il nostro sito?
– Sì. – Alba recitò: – “La MdT è in mano a un’organizzazione criminale, il governo è connivente...” Le solite cose che ribadite da anni. Non sono mai state confermate.
– Né smentite. Devi andare nella sezione speciale, per vedere il meglio. Tutte le notizie che vengono nascoste o distorte.
– È coperta da una password.
– Non è difficile trovarla. Le sei seduta accanto.
Emilio scrisse qualcosa su un pezzo di carta e glielo sporse.
– Non posso fermarmi adesso, ma ti lascio il mio numero di telefono. Se scopri qualcosa di interessante e hai voglia di parlarne.
– Una scusa originale per chiedere un appuntamento.
Emilio le sorrise senza rispondere, poi le strizzò l’occhio e rimontò in bici.

Finito il pranzo, incuriosita dalla conversazione, Alba si recò in biblioteca e cercò la postazione Internet più isolata. Digitò l’indirizzo web dei temporalini e si trovò nella home page che già conosceva. In fondo alla pagina la scritta “accedi agli altri contenuti” e la casella dove digitare la password. Sì, ma quale? Le sei seduta accanto, aveva detto Emilio. Doveva essere la statua del Lovato. Provò con > intellettuale e poi con > Lovato. Niente da fare.
Si ricordò della scritta PENSA! sovraimpressa sull’immagine, nel volantino. Provò a digitarla. ACCESSO NEGATO.
– Uffa! – sbuffò.  Osservò il volantino come se volesse bucarlo con lo sguardo. PENSA! era un’esortazione a pensare…o era ciò che stava facendo la statua? La posa raccolta, lo sguardo abbassato…
Digitò > pensatore
Si aprì una nuova pagina, con la foto della statua in primo piano.  C’era scritto che si trattava del “Pensatore” opera di un artista francese, tale Auguste Rodin, vissuto tra il 1800 e il 1900. La statua era stata rubata a Parigi nel ventunesimo secolo. A seguire c’erano le foto di alcuni vecchissimi articoli di giornale, che riportavano la notizia del misterioso furto. Scorrendo la pagina si trovavano altre notizie di statue, quadri, gioielli spariti in anni remoti; tutte opere che facevano mostra di sé nelle piazze, nei palazzi e nelle collezioni private contemporanee.
Alba leggeva a bocca aperta, indecisa se crederci o no.
In fondo alla pagina due link: Opere scomparse e Persone scomparse.
Persone? Questi sono matti forte!, pensò Alba e la curiosità la fece cliccare sul link.
Si aprì un archivio fotografico di persone scomparse in varie epoche, bambini soprattutto, di cui non si era più saputo nulla. Alba fece scorrere le immagini con l’animo diviso tra l’incredulità e il divertimento, fino a quando una fotografia le fece accelerare i battiti. La ricerca aveva perso i connotati del gioco.
Nella miniatura compariva lei bambina. Era sicura che non si trattasse di una sosia, perché era identica alla prima foto che le aveva scattato sua madre, il giorno in cui era stata adottata.
Sotto la foto c’era la scritta: scomparsa nel 1990. Assurdo: quasi trecento anni prima!
Con la mano che tremava, cliccò sulla foto. Vi era associato un contributo video. Lo fece partire.
Si trattava di un notiziario. L’audio non era perfetto, ma si capiva abbastanza bene. “È scomparsa ieri pomeriggio ad Asti, Alba Caneparo, di quattro anni. La bambina si trovava nel cortile di casa sua, con il cancello chiuso a chiave. La madre, che era rientrata un attimo a rispondere al telefono, non sa darsi una spiegazione. Nessuno ha visto la bambina, che sembra essersi volatilizzata nel nulla.” Le immagini mostrarono una strada asfaltata, sui cui correvano le automobili, poi si spostarono su un cortile, dove la madre della bambina, in lacrime, raccontava a una giornalista l’accaduto.
Alba si coprì la bocca con la mano, a trattenere un grido. Le tempie le pulsavano impazzite.
Ricordò il cortile. E quella donna, la sua prima madre, che si chinava su di lei e le solleticava le guance con i capelli. Alba le aveva affondato il viso nel petto e ne aveva aspirato un profumo dolce e pulito, il profumo del mughetto. Ricordò la donna che si allontanava. E poi la palla. Una sfera trasparente, con tutti i colori dell’arcobaleno, che le porgeva un signore al di là del cancello. Alba si era avvicinata, vi aveva posato sopra le manine e un senso di vertigine le aveva fatto strizzare forte gli occhi.
Quando li aveva riaperti era tutto giardini, viali e case di cristallo.

8 commenti:

  1. Bel racconto fantascientifico di Giuliana: esempio di come sappia essere valida scrittrice oltre che brava traduttrice.

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  2. Complimenti Giuliana! Uno splendido racconto (ma non è una novità), inquietante al punto giusto, con un finale costruito con grande intelligenza che lo arricchisce ulteriormente. Ottime le considerazioni sulla tecnologia "futura" e anche quelle più personali, che rendono davvero viva la protagonista.
    Sauro Nieddu

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  3. Un racconto eccellente e ben scritto, stile Matrix. Il finale è da incorniciare.
    Danilo

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  4. Grazie! A parte qualche racconto brevissimo, è il mio primo vero tentativo di scrivere fantascienza. Contenta che sia riuscito. Diciamo che leggere - e tradurre - con costanza i racconti pubblicati su Pegasus sf, mi ha aiutato a familiarizzare col genere.
    Giuliana Acanfora

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  5. Certo che il teletrasporto urbano è un'idea davvero originale. Lunedì prossimo la propongo al sindaco della mia città che è anche mio amico.
    Racconto simpatico che ho riletto con piacere. Avevo già avuto occasione di leggerlo in altra sede. Ribadisco che mi sembra molto buono lo scenario fantascientifico. Invito quindi Giuliana, che è una brillante penna, a cimentarsi ancora con racconti di questo genere. Magari, vista la sua inclinazione all'horror, potrebbe regalarci del fantahorror davvero di qualità.

    Giuseppe Novellino

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  6. Un altro grande successo.....complimenti Giuliana.

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  7. Avevo già avuto occasione di leggere il bellissimo racconto di Giuliana, ma voglio rinnovarle i miei complimenti.
    Un ottimo stile narrativo.

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