mercoledì 15 gennaio 2014

BIANCO E NERO di Giuseppe Novellino



     Ron intravide l’uomo a cavallo solo quando fu uscito dal banco di nebbia.
     Gli abeti scintillavano al sole invernale. Un cielo cristallino sovrastava gli aspri rilievi e i valloncelli ricoperti di neve.
     Si arrestò sulla sommità del declivio. A una distanza di circa cinquecento metri, il bianco animale portava un uomo dal cappello ad ampie tese e il mantello nero. Quella figura umana faceva contrasto con la pigmentazione del suo destriero, al punto che sembrava fluttuare sopra la compatta distesa nevosa.
     Ron cominciò a scendere per la dolce fiancata della collina. In quel punto il manto era spesso e il suo ronzino procedeva a fatica. Davanti a lui, sempre alla stessa distanza, avanzava lo sconosciuto. Da quando aveva lasciato Laramie, due giorni prima, Ron non aveva incontrato anima viva, quindi quella comparsa gli mise addosso una specie di agitazione.
     Risalirono il versante di un altro basso rilievo. Poi il cavaliere con il mantello scomparve in una macchia di pini. Una coppia di falchi volteggiò sopra le cime degli alberi. Un debole ululato si perse in lontananza.
     Il sole era ormai alto. La neve rifletteva accecanti bagliori. Il luogo sembrava incantato.
     – Questa era la terra dei Sioux Lakota – pensò Ron a voce alta. – Dovrei trovarmi ormai dalle parti del Little Bighorn.
     Una decina di anni prima, in quella zona, si era consumato il dramma degli indiani delle grandi praterie. Adesso i pellerossa si trovavano nella riserva, dalle parti del White River, e da loro non veniva più alcuna minaccia. Lungo la pista di Bozeman, che Ron stava percorrendo, avevano cominciato a costruire una ferrovia per facilitare il passaggio dal Wyoming al Montana. La via a nord ovest, per raggiungere la West Coast, finalmente stava diventando più agevole. Ma lui procedeva a piccole tappe, in quell’inverno del 1886.
     Quando fu uscito dal boschetto di abeti, rivide il suo misterioso compagno di viaggio. Poiché si trovavano sopra un ampio pianoro, dove la coltre nevosa appariva meno spessa, Ron spronò il cavallo, deciso a raggiungere il tizio che procedeva sempre alla stessa distanza davanti a lui. Ma quello manteneva il vantaggio e non sembrava essersi accorto del suo inseguitore.
     Prima l’uno e poi l’altro scesero quindi verso un fiumiciattolo che appariva ghiacciato. Doveva essere l’alto corso del Little Bighorn, pensò Ron, oppure il Tougue.
     Si fermò e stette un attimo a riflettere. Se avesse attraversato una brulla collina che si ergeva oltre la sponda destra del torrente, certamente avrebbe tagliato la strada al suo misterioso compagno di viaggio e si sarebbe trovato a faccia a faccia con lui.
     Così fece. Si arrampicò in modo agevole sul nudo crinale poco innevato, raggiunse la cresta e scese dall’altra parte. Ma quando scorse il cavaliere vestito di nero, costui procedeva ancora davanti, ad uguale distanza. Non era possibile. Il percorso che Ron aveva fatto, scavalcando la collina, avrebbe dovuto metterlo in posizione avanzata rispetto allo sconosciuto. Allora provò a chiamarlo: – Ehi, laggiù! – Ma la sua voce morì nello scenario gelido e imbiancato.
     Poi venne loro incontro un altro banco di nebbia. Quando ne uscì, Ron vide due casupole costruite con tronchi d’abete, in un punto dove la neve si ammassava più abbondante che altrove. Dell’altro cavaliere nessuna traccia.
     La luce del sole si era eclissata dietro un nuvolone nero. Le tenebre invernali sembravano affacciarsi in anticipo. Un fioco lume era acceso dietro i vetri opachi di una finestrella.
     Ron si avvicinò al piccolo trotto, reso faticoso dalla neve. Poi, mentre smontava da cavallo, vide la porta di una delle due costruzioni aprirsi. Sull’uscio comparve un vecchio con la grigia testa scoperta e una barba che gli arrivava fino al petto. Indossava un giubbotto rattoppato e impugnava un lungo fucile Sharp per la caccia ai bisonti.
     – Chi siete? – chiese costui con diffidenza.
     Ron, tenendo in mano le redini, rispose:
     – State tranquillo, amico. Non ho cattive intenzioni. Sono diretto a Fort C.F. Smith. Non deve essere molto lontano, vero?
     – Ci vorranno un paio d’ore. Arriverete con le tenebre. Per fortuna è luna piena.
     – Okay! – fece Ron in tono amichevole. – Potrei perdere una manciata di minuti per bere un goccio di caffè caldo?
     Il vecchio posò a terra il calcio del fucile e disse:
     – Giungete in un triste momento.
     Ron gli lanciò un’occhiata interrogativa.
     – Una brutta febbre si è portato via il figlio undicenne di mia figlia Florence.
     In quel momento, rotti singhiozzi di donna si udirono attraverso la porta socchiusa.
     Ron si strinse nelle spalle e annuì. Domandò:
     – Avete visto un tizio con un cavallo bianco? Indossava un mantello nero, probabilmente di foggia militare. Dovrebbe essere passato di qui, poco prima di me.
     – No, mister. Di qui è passata solo la morte.

6 commenti:

  1. Devo dire, Giuseppe, che la narrativa western ti è molto congeniale. A essa abbini, con indubbia maestria, una particolare componente horror che fa dei tuoi racconti, a mio avviso, dei piccoli capolavori “fantastici”. Piacevolissimo lo stile: semplice, essenziale.

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  2. Un racconto davvero intrigante e mi è piaciuta molto l'ambientazione e la cura con cui è stato descritto. Complimenti.

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  3. Bellissima l'ambientazione di questo racconto, mi sono sentito trasportato nel paesaggio mentre lo leggevo. Il finale, semplice e secco, lo chiude in maniera magistrale, lasciando quella figura oscura, definita e indefinita allo stesso tempo, ad aleggiare nell'immaginario.

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  4. Bello, avvincente, scritto bene.
    G.S.

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  5. Un altro bel racconto fanta western. Scritto benissimo e con un'atmosfera coinvolgente.
    Ho apprezzato il finale crudo, che ti lascia lì, davanti allo shermo, quasi senza fiato.
    Molto bravo, Giuseppe.

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  6. Grazie a tutti... e lieto di avervi spaventati!

    Giuseppe Novellino

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